giovedì 24 dicembre 2015

Il Dio in fasce di Federico Garcìa Lorca


Il Dio in fasce di Federico Garcìa Lorca

  

Il blog “La memoria di Adriano”, appena (ri)nato, va subito in vacanza. L’appuntamento è per i primi giorni del nuovo anno. Ma, nel frattempo, vi lascia in compagnia di Federico Garcìa Lorca con la sua Ode al Santissimo Sacramento dell’Altare.

Nel 1928, il successo del Romancero Gitano, appena pubblicato, fu in parte rovinato dalle critiche degli amici Salvador Dalì e Luis Bunuel, che accusarono Lorca di essere un poeta tradizionalista e folkloristico. In preda a una crisi esistenziale e sentimentale, Lorca si gettò d’impegno a comporre l’Ode al Santissimo Sacramento dell’Altare, che apparve nel mese di dicembre sulla  “Revista de Occidente”, corredata dalla dicitura “Homenaje a Manuel de Falla”. Tuttavia il musicista – andaluso come Lorca, e grazie al quale aveva fondato una compagnia di spettacoli e balletti – pare non gradisse molto l’omaggio, al punto da incrinare l’amicizia che li legava.

Negli anni a venire l’Ode, personalissima visione della figura di Gesù, bambino e adulto, incontrò il gradimento di importanti uomini di Chiesa. Tra questi, il nostro don Primo Mazzolari, conquistato dai versi che aveva letto nella traduzione eseguita da Carlo Bo e pubblicati da Guanda nel 1940, in una collana diretta da Attilio Bertolucci.

Più recentemente, è stata la volta del cardinale Marcelo González Martín, arcivescovo di Toledo, il quale, nel 1989, ammirava di quell’Ode la “libera e stravagante interpretazione dell’Eucaristia, in fin dei conti, però, rivelatrice di una fede mai estinta nell’anima del poeta”.

L’Ode ha come acrostico “Pange lingua gloriosi corporis misterium” (Canta, o mia lingua, il mistero del corpo glorioso).

 

 
 

Federico Garcìa Lorca
Ode al Santissimo Sacramento dell'Altare
(traduzione di Carlo Bo)
  

Cantavano le donne lungo il muro inchiodato
quanto ti vidi, Dio forte, vivo nel Sacramento,
palpitante e nudo come un bambino che corre
inseguito da sette torelli capitali.

Vivo eri, Dio mio, nell'estensorio.
Trafitto dal tuo Padre con ago di fuoco.
Palpitando come il povero cuore della rana
che i medici mettono nel fiasco di vetro. 

Pietra di solitudine dove l'erba geme
e dove l'acqua scura perde i suoi tre accenti.
alzano la tua colonna di nardo sotto la neve
sopra il mondo che gira di ruote e di falli. 

Io guardavo la tua forma deliziosa fluttuante
nella piaga d'olî, nel panno d'agonia,
e socchiudevo gli occhi per centrare il dolce
tiro a segno d'insonnia senza un uccello nero. 

È così, Dio accorato, che voglio averti.
Tamburello di farina per il neonato.
Brezza e materia unite in espressione esatta,
per amore della carne che non sa il tuo nome. 

È così, forma breve d'ineffabile rumore,
Dio in fasce, Cristo minuscolo ed eterno,
mille volte ripetuto, morto, crocifisso,
dall'impura parola dell'uomo che suda. 

Cantavano le donne nell'arena senza guida,
quando ti vidi presente sopra il tuo Sacramento.
Cinquecento serafini di splendore e di colore
nella cupola neutra gustavano il tuo grappolo. 

O Forma consacrata, vertice dei fiori,
dove tutti gli angoli prendono luci fisse,
dove numero e bocca costruiscono un presente
corpo di luce umana con muscoli di farina! 

O Forma limitata per esprimere concreta
moltitudine di luci e clamore ascoltato!
O neve circondata da timpani di musica!
O fiamma crepitante sopra tutte le vene!

 

 

martedì 8 dicembre 2015

"Amante", una poesia di Jude Stefan

Amante
 
O tu che non avverti il peso del tempo
la fuga del tempo la catastrofe del tempo
quando consacra la foglia al fango
quando loda l'inverno spoglio per i suoi venti
quando tempesta di colpi la pianta
tu che sei una fortuna non provvisoria
più leggera del tuo destino troppo leggera
per  la morte abbi pietà di coloro
la cui anima pesa scoperta ad ogni
istinto non sorridere vela
dormiente gli occhi che sognano l’estate
ciascun essere può straziare ogni essere 

Jude Stefan, poeta della Normandia, scriveva queste parole nella raccolta Cipressi del 1967, e noi la accogliamo celebrando l’estate, in questo nostro dicembre ancora assai lontana.