venerdì 19 ottobre 2018


Cinzia BALDAZZI - “Attimi… ritagli di vita”
tra pittura e poesia 

 

I quadri di Mario Spagnoli e le liriche di Veruska Vertuani in una mostra ad Aprilia (LT) - Biblioteca Comunale, Sala Manzù, fino al 28 ottobre. 

 

La pittura è una poesia muta, e la poesia è una pittura cieca.
(Leonardo da Vinci, Trattato della pittura, XVI sec.)

 Nell’Ars Poetica del 13 a.C. di Quintus Horatius Flaccus, nell’epistola indirizzata ai Pisoni, famiglia aristocratica del tempo, leggiamo: 

Qual è un quadro, tal è la poesia;
alcuni ti catturano di più
se sei vicino, altri invece lontano;
amano alcuni la penombra ed altri
esser visti alla luce non temendo
l’occhio severo del critico; piacque
quel dipinto una volta sola, questo
piacerà anche rivisto dieci volte.  

Ut pictura pŏēsis: Orazio inserisce e colloca nell'intelletto umano il precetto aristotelico della ποίησις-poiesis e degli elementi figurativi quali organismi viventi: successive letture e giudizi confermano la scoperta in principio di un quid, illuminando la mèta della comprensione.
In “Attimi… ritagli di Vita”, titolo della mostra pittorico-poetica allestita presso la Sala Manzù della Biblioteca Comunale di Aprilia (LT) fino al 28 ottobre, risulta centrale l’idea di accompagnare i dipinti di Mario Spagnoli ai brani di Veruska Vertuani, ossia combinare idealmente linee e colori sulla tela con liriche su fogli: un Kunstwollen (cioè, consapevolezza e gusto) programmatico, suggerirebbe lo studioso Walter Binni, promotore del concetto di poetica moderna. 

 Noi. Piccoli artisti.
 Come nuclei di pioggia scrosciante
 siamo proiettati dagli uteri delle nuvole
 nell'oceano dell’Arte.
 Il destino ci ha regalato i remi,
 la passione ci indica la stella Polare.
 E ora tocca a noi navigare a vista. 

«Questa poesia di Veruska», racconta lo Spagnoli, alla sua prima “personale”, «mi ha colpito direttamente al cuore, appena l'ho letta...». Nasce da lì il progetto di una galleria dove quadri e versi possano dar luogo a “un’arte terza”, composta di fantasie cromatiche ispirate dalla letteratura. Insomma, qualcosa di analogo a quanto sosteneva il greco Σιμωνίδης-Simōnídēs di Ceo, maestro eccelso in elegie, inni, encomi e ditirambi, vissuto tra il VI e il V secolo a.C.: «La pittura è poesia silenziosa, la poesia è pittura che parla». 

 
Reputo opportuno valutare una simile riflessione in un piano referenziale attuale, non solo nei confronti degli autori-creatori, ma anche dei lettori-spettatori, poiché, a tal proposito, ancora Binni, agli inizi degli anni Sessanta, quasi profetizzava - in Poetica, critica e storia letteraria - l’esigenza di sapere e la volontà di adibire «tecniche e conoscenze, coscienza storica e senso dell’arte alla ricostruzione e interpretazione delle personalità nel movimento della storia generale» in modo che «nel suo atto storico-critico siano presenti e disponibili tutti gli strumenti atti a realizzare la sua operazione», dovendo essere chi ne usufruisce, nella pratica, «tecnico, storico e uomo vivo nella cultura, nella storia, nell’arte…».
La nostra coppia, quindi, munita di penna e pennello, espone produzioni nell’arco temporale di un decennio: accostamento già sperimentato, la cui riuscita ed efficacia, tuttavia, rimarrebbe comunque affidata alla compresenza nel significante di nuances di colore e dati del codice alfabetico, alla coesistenza semantica di toni arricchiti pittorici e di quelli declinati in una grammatica polivalente. Così, in I miei sogni di Mario Spagnoli, le ricorrenze del blu-viola, la delicatezza delle movenze, la curva del corpo, la magrezza affusolata, rimandano a determinati e fattuali τόποι-tópoi del testo omonimo della Vertuani:  

Ancora nei miei sogni
hai tra i capelli il gesto di un’onda,
coccinelle di sale ti ridono sul naso
e gli occhi -senza giorno o sera-
li appendi come stelle azzurre
a ogni piccola cosa
che ti faccia sentire nella sua casa.
Curvo sul tempo
sto capendo le tue ciglia socchiuse
le scapole che si aprono al vento
e s’irruga la voce
a chiamarti nei miei sogni
di strade senza arrivo
e tu, mai partita. 

                   Nei miei sogni, olio e acrilico con sabbia e foglia argento su tela, 70x100 

Lungo vettori ambigui per libero arbitrio, forse divergenti, poetessa e pittore hanno invece deciso di avvicinare le rispettive opere dal comune titolo Universi paralleli: intendendo stabilire, con segni-segnali linguistici, lessicali-sintattici o figurati in linea diretta, l’impossibilità di incontro tra le sagome delle torri newyorkesi, le altezze vertiginose degli sky scraper, l’altalenante spezzatura dell’orizzonte dello skyline della Grande Mela, e il mondo ristretto, minuscolo, a misura di umano, ritagliato nei «dirimpettai», nella «luna lampionaia delle case», nella «tenda», nelle «scale a capofitto»:  

A tracciare due linee parallele
sono abili i sognatori a mano libera
lascia loro questo compito
e pensa, Amore, a dosare l'equilibrio
nel poggiare qui il tuo universo.
Io farò lo stesso
saremo dirimpettai e di certo infelici
perché due rette parallele ci insegnano
a non incontrarci mai.
Avremo però gioia nella notte
con la luna lampionaia delle case
perché io saprò che dietro quella tenda
quella è la tua ombra, e tu saprai
che dietro questo vetro
questo è l'amore che ti aspetta.
Correremo allora
le scale a capofitto
ripidi i respiri scenderanno in strada.
Lasciate a noi questo compito
tracciare due linee che si incontrano
che siamo abili, innamorati a mano libera. 

Universi paralleli, acrilico su tela, 50x70 

Se l’arte dello Spagnoli riconduce l’interesse alla natura materiale degli strumenti utilizzati (sabbia e lamine d’argento oltre ad acrilici, olio e tecniche miste), inviterei però a non dimenticare - sempre sul livello della concretezza delle ars coinvolte - il fattore evocativo costituito dalla sonorità delle strofe. A sorpresa, privi di una pianificazione aprioristica, i versi godrebbero della chance di risuonare nella sala Manzù: «Io e Mario ci alterneremo», spiega Veruska Vertuani rivolgendosi ai visitatori, «per cui potreste avere due ciceroni di tutto rispetto a illustrarvi i quadri e, perché no, a declamare qualche poesia». Aggiunge Mario Spagnoli, estendendo il recitare anche ai presenti in sala: «L'incanto che mi ha rapito nella lettura delle poesie, sono sicuro verrà condiviso da tutti coloro che si cimenteranno a leggerle».
Autorevole testimonial di un tale connubio è di certo il nostro Leonardo da Vinci, con il Trattato della pittura del tardo ‘400 dove teorizzava: «La pittura è una poesia che si vede e non si sente, e la poesia è una pittura che si sente e non si vede».
Del resto Walter Binni, l’insigne accademico già citato, nella sua innovativa ricerca critica ha ritenuto proficuo dedicare un saggio, Michelangelo scrittore (1975), appunto al supremo Buonarroti, nel quale è in grado di dedurre, in virtù di tesi potenziate da ricche documentazioni, quanto l’arte figurativa e la poesia siano complici esemplari nel suscitare - con urgenza e solidarietà - tensioni sentimentali o di matrice esistenziale, costruttive e dinamiche. Con tutto ciò, lo studioso era ben lontano dal presupporre «l’assoluta similarità delle forme espressive dell’artista e del poeta in nome di una centrale e unitaria tendenza plastica», enfatizzando al contrario l’autonomia e la genialità indipendente dei due campi. 

Portami
dove le farfalle abitano l'immortalità
parlami dei sogni qui e solo qui
perché alla luce basta un attimo
per bagnarli di ruggine.
Dimmi che ci sarà una vita degna di questo istante
noi come foglie che si avviluppano alla penombra
e in verticali di linfa ci facciamo carne. 
 
Nella favola, olio e acrilico con sabbia su tela, 70x100 
 
Un elegante snodo di nastri istoriati con ideogrammi orientali, il groviglio di foglie originate da mosaici e vetri dipinti, due perfetti circoli agli estremi, con cromie calde e fredde oppositive: il comporre di Spagnoli in Nella favola viaggia tra geometrie astratte e reminiscenze del decorativismo vegetale, ritrovando nel repertorio della Vertuani la dimensione onirica delle sfere variopinte, il viluppo del fogliame, la lotta eterna tra la «linfa» vitale e la «carne» da una parte, in continua crescita e progress, e la «ruggine» dall’altra, deterioramento inevitabile di un mondo inanimato.
All’evento inaugurale interviene il Presidente della Federlazio, dott. Silvio Rossignoli, con la compagna Giovanna Prina, e il M° Antonio De Waure, presidente di “Arte Mediterranea”, fucina pittorica ospite dei primi passi artistici di Mario Spagnoli. Letture poetiche a cura di Maria Costanzo e Veruska Vertuani.
L’esposizione, aperta fino al 28 ottobre, effettua i seguenti orari: feriali 9-13 e 16-19, festivi 10-13 e 16-20. Ingresso libero.

 

martedì 16 ottobre 2018

Cinzia BALDAZZI - Luci e magie tra le parole e l’infinito


Nel sito monumentale di San Leucio, a Caserta,  si è svolta la cerimonia del XIX Award Cultural Festival International “Tra le parole e l’infinito”: concorso letterario, premi alla carriera e un’intera orchestra in scena. 


Mai gli uomini indietreggiano davanti a un ostacolo
se saranno proposti grandi premi a chi tenta grandi imprese.
Tito Livio


Talvolta vorrei immaginare una favola scenica o teatrale dove ambientare performance efficaci di correnti espressive, civiltà letterarie, figurative, musicali, eccelsi operati dell’uomo, quotidiani o storici nel percorso diacronico-sincronico di una certa epoca: la nostra, in particolare. Assorta in un simile stato d’animo, con gli altri raggiungo da Caserta il borgo di San Leucio mentre scende il crepuscolo. Lasciata l’automobile al di fuori dell’arco borbonico, ben sorvegliata da una coppia di rassicuranti leoni di pietra (non quelli del Potëmkin a Odessa!), salgo l’imponente scalinata a doppia rampa diretta al Belvedere: oltre la facciata con il monumentale timpano centrale, ecco una serie di vasti cortili, delimitate da architetture eleganti, leggere, scandite da un duplice ordine di lesene e da finestre rischiarate da un incisivo biancore a contrasto con la cima della collina sovrastante immersa in un buio fitto.  


Il nero e il bianco: lo Yin e lo Yang? Forse il medesimo nodo ancestrale della vita: eppure, quando nell’ultimo spiazzo scorgo giochi di luce colorare di tinte pastello i portici laterali, rimango sorpresa. I riflettori illuminano l’orchestra già in prova e la platea è occupata da numerosissimi invitati. Sono tutti lì: artisti, rappresentanti degli enti locali, personaggi insigni, scrittori premiati con ammiratori e conoscenti, professionisti, imprenditori di larga fama, campioni della diplomazia e delle Forze Armate, gente dello spettacolo, musicisti.
Il cav. Nicola Paone mostra un’indole discreta, saluta, si dilegua, riappare con un sorriso, svanisce di nuovo. Il suo Festival Internazionale “Tra le parole e l’infinito”, adesso sotto l’egida dell’Award Cultural Festival International, è al traguardo della XIX edizione, con il patrocinio dell’Amministrazione Comunale di Caserta. Una location sempre prestigiosa, nelle varie stagioni: il Real Sito di San Leucio oggi, nel 2017 la Casina Vanvitelliana di Bacoli, in precedenza teatri popolari come l’Italia di Acerra o il Garibaldi di S. Maria Capua Vetere. «Il rapporto con il territorio è per noi fondamentale», sostiene Paone: «Crediamo fortemente nel progetto di rinascita culturale della provincia di Napoli. Il concorso “Tra le parole e l’infinito” è ormai diventato appuntamento fisso nel panorama delle attività culturali e sociali della Regione Campania, ed è sicuramente un’occasione fondamentale per far veicolare l’immagine di un paese fortemente deciso a rendere “leggibili” bisogni, operosità, voglia di essere protagonisti nel percorso culturale». 

«Alcune persone sognano il successo, mentre altre si svegliano e lavorano sodo», asserisce un anonimo. Il cav. Paone, di certo, appartiene a entrambe le categorie, perché il sogno di un autorevole rendez-vous annuale dedicato all’incremento della cultura, alle sue pause di fratellanza, è stato possibile solo per mezzo di scrupolo, capacità e diligenza assidui concentrati su se stesso, pur coadiuvato da collaboratori efficienti. Ne scaturisce un dialogo intenso, vivacissimo, con spettatori, scrittori, lettori, insegnanti o discepoli, sulla tensione a gestire una visione dell’aisthetiké complice di prassi dinamiche originali, adeguata a cogliere il messaggio di profili sintomatici nella tradizione: come Dante, suggeriva Emilio Cecchi, con Michelangelo, Campanella, Leopardi, oppure Ariosto insieme a Shakespeare. In loro, il fluire sinergico della “filosofia dello spirito” sprofondava nello storicismo concreto, in una trama di confronti ininterrotti con il reale, inseriti nella contingente saggezza accresciuta da un impeto libero, trionfante.
«Il nobile possesso della scienza non deperisce se sparso tra molti, e, distribuito in parti, non sente danno alcuno di diminuzione, anzi tanto più vive nei tempi, quanto più, con la divulgazione, diffonde la sua fecondità». Sono parole del re Federico II, poi duca, in seguito imperatore: intellettuale innovatore, aiutò artisti e studiosi nei decenni iniziali del XIII secolo. Lo ricorda Nicola Paone introducendo il classico, lineare schema dell’evento: il concorso letterario “Tra le parole e l’infinito”, riservato alla prosa; il Premio alla Carriera “Ad Haustum Doctrinarum” (cioè “alla fonte delle dottrine”, secondo la circolare di fondazione dello Studium napoletano costituito nel 1224 da Federico II); il Riconoscimento alla Carriera “Labore Civitatis”, testimone del rigore professionale, etico e di sacrificio per la comunità.   

Sul palco, il compito di condurre la serata viene affidato alla giornalista Ertilia Giordano. Avvenente, competente nell’esibire un perfetto eloquium alla Stanislavskij, accompagna lo spettacolo con intuizioni-espressioni basate su una dialettica brillante ed erudita, non strumentale né superflua, maieutica, quasi filologica: forse, nell’intento di proiettare in noi un grado effettivo di quel prezioso esemplare di correttezza, a smentita di false culture ufficiali intervallate da silenzi mal calcolati e lodi esagerate.
 Ecco in scena i vincitori del settore narrativo. «Il concorso nasce nel 2000», precisa Paone, «come motivo d’incontro per l’apertura di nuovi interessi ai nascosti bisogni della sfera emotivo-sentimentale dei giovani del nostro Paese, e lo scopo è stato di scoprire, promuovere ed evidenziare opere e autori esordienti o già affermati, nonché di esortare alla scrittura e alla lettura le nuove generazioni». Si acquisisce così lo sprone a incunearsi nelle diverse prospettive creative animate da una forza espansiva diretta al domani, mai inibita da orme categoriali del passato, incentivata invece dal corpus critico della storia, incline in chiave duttile alle tendenze rinnovate, niente affatto demolite, di ogni periodo.    

Una commissione superiore ai cinquanta giurati, presieduta con lungimiranza da Vincenzo Falcone, ha valutato centinaia di brani in prosa (compresi interi volumi), assegnando sette distinti livelli di awards, con candidati dall’Italia e dall’estero (Argentina, Romania, Filippine, Spagna, Brasile, Germania, Bolivia, Francia, Polonia, Serbia). «Già dalla prima edizione si era manifestata una notevole partecipazione nazionale», commenta il cav. Paone: «Ciò ha condotto, anno dopo anno, a una vasta adesione di autori di tutte le età e di molte nazionalità. Abbiamo avuto gemellaggi con associazioni estere, ottenuto notevoli partecipazioni addirittura da persone recluse nelle case circondariali». 
La vetta del podio tocca a Orazio Tognozzi di Pistoia per il libro Leggenda del contadino soldato, iter di mezzo secolo di vita di Leopoldo soprannominato “Poldino”, fante nella Grande Guerra, quindi esploratore nel conflitto mondiale tra il ‘39 e il ‘45: un’esistenza praticamente vissuta combattendo nel deserto della Libia contro i Turchi, o in Valsugana a respingere gli Austroungarici, nella lotta per sopravvivere nell’inferno di Mauthausen, nell’impatto con i fascisti appena rientrato in patria. Cervello fino e pelle dura lo preservano dalla sciagura («la paura, io l’ho vista in groppa a una lepre»), ma altri, in modo analogo incastrati in simili follie, riescono a conquistare la salvezza al prezzo di cambiamenti radicali della propria natura. Leopoldo - l’autore ne è consapevole - non comparirà su antologie scolastiche ed enciclopedie: eppure, quanto da lui affrontato risulta proficuo rammentarlo e rispettarlo, tramandandolo di padre in figlio. 


Salgono sul palco due testimonial “in atto”, ossia non in uno standard di modelli emulativi: anzi, segno e segnale della ricerca di una costruzione non scontata, inedita nella persuasione, avversaria delle chiuse istituzioni mortificanti rispetto a istanze idonee alternative. Sono l’on. Flora Beneduce, madrina dell’evento, consigliere regionale della Campania, Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Medicina Generale e Pronto soccorso degli Ospedali Riuniti Penisola Sorrentina; e Gerry Danesi, console onorario del Nicaragua a Napoli, presidente dell’Associazione onlus Alma Mundi e fondatore un anno fa dell’omonima orchestra ora schierata sul palco. Illustrano dunque l’area promotrice dell’arte, l’impegno nelle strutture, l’allargamento culturale a vantaggio dei valori positivi, da sempre emblemi della fisionomia del meeting internazionale. Insieme, espongono quindi l’iniziativa umanitaria “Un farmaco per tutti”, dove l’ambito ospedaliero e clinico della Beneduce è riunito alla lotta - in difesa dei poveri, per cancellare diseguaglianze nonché ingiustizie - condotta dalla onlus di Danesi in Centro America e in Africa.
Scegliendo l’icona di Dante Alighieri per il logo della XIX edizione, Nicola Paone evoca le matrici della lingua italiana, poi, con un ipotetico salto di cinque secoli, si ricollega a Giacomo Leopardi, intitolando il concorso per racconti “Tra le parole e l’infinito”: immagini significative, giganteschi guardiani di langue e parole, garanti del buon esito, in un topos denso di richiami simbolici del lavoro, del merito, della solidarietà.  

Nel tardo ‘700 San Leucio vide, del resto, la nascita di un esperimento unico in campo produttivo, compiuto da re Carlo di Borbone, quindi dall’erede Ferdinando IV. Una manifattura di differenti tessuti, soprattutto seta, con annesse dimore per gli operai (munite di acqua corrente e servizi igienici), addestramento professionale, scuola primaria gratuita, alcuni prototipi di attuali “benefit” tra i quali l’assistenza sanitaria, senza dimenticare un cruciale passo verso la par condicio tra donna e uomo.

Lo descrive Vincenzo Mignone in apertura del sofisticato catalogo: «furono codificati i comportamenti e le relazioni fra i “setaioli” con particolare attenzione alle figure femminili, la cui dignità sul lavoro e indipendenza nelle scelte anche familiari erano sancite ufficialmente» (non è difficile scorgere, a riguardo del ruolo convenzionale del sesso debole, l’intervento della regina Maria Carolina d’Asburgo-Lorena al momento della stesura degli Statuti della Real Colonia). Un progetto, insomma, sviluppato sulla convivenza del colbertismo e del metodo cognitivo illuminista, intercalato a un’utopia socialista ante litteram, non svincolata però da un concreto pendant: profitti aziendali reinvestiti nella struttura collettiva in compagnia di un paternalismo utilitaristico che consigliò di installare un telaio persino nelle case degli artigiani.  


In sostanza, colpisce la riflessione sull’aspetto diremmo oggi “meritocratico” di determinate consuetudini leuciane: per contrarre matrimonio i futuri sposi (di almeno venti anni gli uomini, mentre le donne minimo sedicenni), dovevano dimostrare di aver conseguito uno speciale “diploma al merito” concesso dai Direttori dei Mestieri; inoltre i dipendenti ricevevano un bonus in denaro in base al livello di perizia guadagnata.
La famiglia regnante a cavallo tra Sette-Ottocento sembra ricoprire l’incarico di patrocinatore ideali dei ulteriori settori voluti dal cav. Paone accanto al concorso: il Premio alla Carriera “Ad Haustum Doctrinarum” (conferito a «persone che con il loro agire hanno contribuito al progresso della Regione e della nostra Nazione, come luogo di aggregazione e di fermento culturale,  rappresentando essi stessi fonte di dottrina»); il Riconoscimento alla Carriera “Labore Civitatis” («destinato a rappresentare l’impegno laborioso, fatto con etica e sacrificio, per coloro che, affrontando difficoltà e fatica,  si pongono al  servizio della comunità per il progresso socio-culturale della Nazione»). Dall’India, da Ahmedabad, pare di udire l’eco della voce dell’imprenditore Vaibhav Shah: «Ogni volta che il mondo vede una persona di successo, nota solo la gloria pubblica, e mai i sacrifici fatti in privato per raggiungerla».  

Suggestiva la performance dell’orchestra Alma Mundi, formata da musicisti cui è stata fornita una chance unica: «Lo scopo è stato di dare visibilità ai tanti giovani talenti musicali della nostra terra», spiega Gerry Danesi, «soprattutto a quelli provenienti da fasce sociali non abbienti». Al classico incipit con l’Inno di Mameli, seguono brani dalla Carmen di Georges Bizet, dalla Cavalleria Rusticana di Pietro Mascagni, dalla Tosca (“Recondita armonia”), dalla Traviata (“Brindisi”) di Giuseppe Verdi, con l’apporto pregiato di due virtuosi del bel canto, la soprano russa Marina Zyatkova, il tenore Giacomo Mosca.  

Nell’ambito della lirica ritira il Riconoscimento alla Carriera il famoso M° Alberto Veronesi, Direttore Musicale del Festival Pucciniano di Torre del Lago e dell’Opera Orchestra di New York. Con lui, seduto nella fila avanti a me, ho avuto il piacere di conversare, comunicando tra l’altro l’incanto del repertorio dell’Opera e dell’Operetta che coltivo nel cuore sin dall’infanzia. 


Intanto Nicola Paone, indaffarato “tra le quinte”, richiesto di frequente (invano) sul palco, accoglie il folto gruppo dell’UNAC - Unione Nazionale Arma Carabinieri, presente sul territorio campano in primis grazie alla sede di Maddaloni fondata dal presidente cav. dott. Gaetano Letizia, cui è inoltre affidato il coordinamento di Caserta e della Regione Campania. Una circostanza preziosa per incontrare la comunità dei Carabinieri – anche in congedo, nonché i famigliari e i simpatizzanti dell’Arma – apprezzandone il volontariato a tutela dell’ambiente, della cultura, della Protezione Civile, del patrimonio artistico, dell’assistenza a disabili e minori. «Queste manifestazioni culturali», osserva Paone, «creano l’occasione per portare a conoscenza fermenti e aspirazioni di quanti quotidianamente sono impegnati nell’abbattimento delle barriere sociali».

Poi la ruota gira a mio favore. Camminando verso il palcoscenico, dove riceverò il Riconoscimento alla Carriera “Labore Civitatis” per il mestiere di critico letterario e l’opera di diffusione a sostegno della poesia, considero come il fenomeno estetico, nel tramandarsi, sebbene mantenendo un giusto quid competitivo, abbia questa sera mirato a radunare ladies and gentlemen, ragazzi e anziani, per gioia e diletto a celebrare il misterioso fascino della bellezza.

Ragiono su Pericle, allorché, nell’eccelsa democratica Atene del V secolo a.C., ultimate le guerre Persiane e del Peloponneso, proclamava: «Molte occasioni di svago dai travagli della vita abbiamo creato per lo spirito, istituendo giochi e feste che si succedono dall’inizio alla fine dell’anno». Il grande Περικλῆς, con il suo Partenone, incentivando così i seguaci delle Muse, auspicava la coesione perfetta della collettività in un’alta qualificazione intellettuale delle cerimonie: inserendole nel corpo omogeneo dello stato, richiamava comuni appartenenze in grado di identificare l’organismo della polis con la storia passata, disseminata a quei tempi di elementi della mitologia.  


Emozionatissima, stringo in mano lo schema di un breve discorso da leggere. Poi, aiutata da un’atmosfera rassicurante e cordiale, dopo ringraziamenti sinceri, ignorando gli appunti, commossa dichiaro: «Se ricevo un riconoscimento tanto gratificante per l’attività svolta nel campo della critica e della promozione letteraria, lo devo anche a tutti coloro di cui mi sono occupata: poeti, scrittori, oppure uomini di teatro o esponenti del mondo dell’arte. Senza di loro, un simile lavoro non avrebbe potuto aver luogo. È come se la luce che li caratterizza si riflettesse su di me e illuminasse quello che scrivo».

Tornando tra il pubblico, nella mente trapela un altro ricordo, ovvero una quartina di Collodi situata a “morale” di una favoletta (a proposito della “favola scenica” citata nelle righe d’esordio) in una sfumatura di magia assai consona all’hic et nunc vissuto: «La cortesia che le bell'alme accende, / Costa talora acerbi affanni e pene; / Ma presto o tardi la virtù risplende, / E quando men ci pensa il premio ottiene».  
Al termine cala la penombra, complice nell’evitare di interrompere la sorgente del sogno condiviso, poiché era reale: ricollegandomi alle parole pronunciate, provando a scendere dal cielo assoluto dantesco all’Olimpo in cui credeva Virgilio, compagno di viaggio nell’oltretomba, azzardo nel porre Ugo Foscolo vicino a Dante, a Leopardi. Concludo con i versi del primo Inno de Le grazie, dove la poetica foscoliana acquistava un profilo di vittoria, di maggiore energia, proiettate nel mito eterno della giovinezza, ossia dell’immortalità: «Fra l’arti io coronato e fra le muse / alla patria dirò come indulgenti / tornate ospiti a lei, sì che più grata / in più splendida reggia, e con solenni / pompe v’onori».

Ringrazio l'ing. Adriano Camerini per la collaborazione durante la stesura del testo.