sabato 13 novembre 2021

 

Cinzia BALDAZZI - Pirandello e l’Accademia d’Italia. Un libro di Alberto Raffaelli

 

Alberto Raffaelli

La comparseria

Luigi Pirandello accademico d’Italia

Firenze, Franco Cesati Editore, 2018

pp. 212, € 25,00

 


Dal 1929 al 1936, negli ultimi otto anni della sua esistenza, Luigi Pirandello ha fatto parte dell’Accademia d’Italia. Lo studioso Alberto Raffaelli ha ricostruito l’intera vicenda nel volume La comparseria, attraverso un lungo e complesso lavoro archivistico unito alla definizione approfondita di un profilo psicologico tormentato e complesso. 

 

   Nonostante abbia sempre creduto nell’importanza di un ruolo non indifferente svolto dalla τχη (tiùche-sorte) nella produzione artistica, maturando le basi della mia struttura critica ho ritenuto fondamentale conoscere il contesto nel quale ogni autore ha realizzato, come suggerisce il maestro Walter Binni, «la propria natura artistica, il suo ideale estetico, il suo programma, i modi secondo i quali si propone di costruire». Mi sento allora dalla parte di Alberto Raffaelli quando, a premessa del suo studio La comparseria. Luigi Pirandello accademico d’Italia, scrive: 

Si tratta di una ricognizione che con l’ausilio di documenti anche inediti intende porsi nella scia della corrente storiografica originata dal «ritorno ai testi» risalente agli anni Sessanta, ma i cui punti di riferimento più pertinenti sono le ricerche che negli ultimi decenni, all’insegna di un filologismo variamente orientato, hanno teso a sfatare luoghi comuni e a sfrondare zone d’ombra non solo del profilo esistenziale dello scrittore, ma anche della sua poetica. 

   Si tratta della medesima poetica - analizzata dal professore perugino nella rinomata Poetica, critica e storia letteraria (1963) - equivalente allo «sfondo culturale animato dalle preferenze personali del poeta», oppure al «meccanismo inerente del fare poetico», alla «psicologia del poeta tradotta in termini letterari»

. Ebbene, ogni tessera di tale mosaico si svilupperebbe in sintonia con una chiave logico-euristica sequenziale di un divenire lineare, se non fosse che la poetica, al pari del personaggio storico-concreto di Pirandello, non risultassero, almeno agli occhi dei loro attenti destinatari, una zona d’ombra essi stessi. Pertanto, il traguardo prefissato da Raffaelli appare singolarmente impegnativo, dedicato com’è all’esplorazione analitica dei quasi otto anni in cui il commediografo appartenne alla Reale Accademia d’Italia, dalla nomina nel marzo 1929 alla morte nel dicembre 1936.

   Un’assidua opera di ricerca e consultazione effettuata presso l’Archivio dell’Accademia Nazionale dei Lincei è alla base del libro, dove si affida al primo e all’ultimo capitolo il nucleo del racconto, focalizzando negli altri alcune vicende nelle quali venne coinvolto lo scrittore dopo la nomina: la prolusione su Giovanni Verga nel 1931 per il cinquantenario de I Malavoglia, il premio Mussolini fatto avere a Rosso di San Secondo nel 1934, il convegno Volta sul teatro nello stesso anno. Una vera novità editoriale è costituita dalla collocazione in apertura del libro di un Siglario Bibliografico di ben trentadue pagine. 

Luigi Pirandello nell'uniforme di Accademico d'Italia

   Abbiamo accennato alla “zona d’ombra”, con riguardo alle difficoltà di interpretazione della sua figura complessiva. Raffaelli ne è cosciente, al punto di configurare l’appartenenza all’Accademia «come misura della socialità di Pirandello»: 

Nella vicenda dello scrittore siciliano […] l’osservazione del suo vissuto all’interno della massima istituzione culturale fascista fornisce conferme di uno stretto legame tra temperamento nevrotico e visibilità pubblica, nonché dell’alternanza tra fuga ripiegante e un’ansia gratificatoria a cui non sembra quasi mai rinunciare. 

   Si veda in proposito, nel primo capitolo, la gustosa ricostruzione delle ansie, delle palpitazioni, dell’attesa frenetica legata alla ufficializzazione dei primi ventinove personaggi “cooptati” nell’Accademia appena costituita. Prosegue Raffaelli (citando Luigi Martellini): 

Anche sotto una prospettiva politica, dal 1929 la feluca costituì per lo scrittore - negli alti e bassi della sua umoralità e più di quanto fosse avvenuto in precedenza col semplice tesseramento - la cartina di tornasole della sua «adesione al fascismo vissuta tra insofferenze e incomprensioni e in netto contrasto con i valori etici della sua opera, del suo sentimento disgregante della realtà». 

   Laddove, comunque, il repertorio pirandelliano poggia su una radice ispirativa naturale che si complica su se stessa, Raffaelli osserva: 

Dai documenti rivelanti i contorni e le coulisses di Pirandello accademico si ricava l’impressione della soggiacenza di un sentimento destrutturante che, come diffidava da sempre dei sistemi di pensiero, allo stesso modo condannava quella che poteva esserne considerata un omologo concreto: la concentrazione articolata ed estremamente formalizzata dei (supposti) massimi ingegni della nazione era cioè da lui avvertita come verticismo pseudo-meritocratico e non rappresentativo. 

   Nel saggio L’umorismo (1908), in attinenza alle teorie di Hippolyte Taine, fautore del positivismo sociologico, Pirandello spiega: 

Dopo aver considerato il cielo, il clima, il sole, la società, i costumi i pregiudizii, ecc., non dobbiamo forse appuntar lo sguardo sui singoli individui e domandarci che cosa siano divenuti in ciascuno di essi questi elementi, secondo lo speciale organamento psichico, la combinazione originaria, unica, che costituisce questo o quell’individuo? Dove uno s’abbandona, l’altro si rivolta; dove uno piange, l’altro ride; e ci può esser sempre qualcuno che ride e piange a un tempo.

 

Villa Farnesina, sede dell'Accademia d'Italia, in una stampa dell'epoca.


   In un simile fluire esistenziale ove convivono entità del tipo tesi-antitesi di ordine hegeliano, in un paio di occasioni - e La comparseria le espone in dettaglio - l’Accademia coincise con un punto di riferimento operativo nella trama-intreccio creativa del macrocosmo pirandelliano. Non solo: 

Nel quadro del faticoso rapporto dello scrittore col regime, l’Accademia contribuì a mantenere formalmente impeccabile l’adesione a esso, assicurando con efficienza la regolarità del suo tesseramento e risolvendogli anche alcuni problemi. 

   Non a caso il primo capitolo del libro di Raffaelli si chiude con un paragrafo dedicato a «tornaconti personali e guai»: l’influenza dell’Accademia gli permette accomodamenti piuttosto accettabili su questioni fiscali, risolvendo anche ostacoli legati a passaporti, diritti d’autore e quote sociali. In un passo de L’umorismo, Pirandello sembra parlare di se stesso: 

Del mondo che lo circonda, l’uomo, in questo o in quel tempo, non vede se non ciò che lo interessa: fin dall’infanzia, senza neppur sospettarlo, egli fa una scelta d’elementi e li accetta e accoglie in sé, e questi elementi, più tardi, sotto l’azione del sentimento, s’agiteranno per combinarsi nei modi più svariati.   

   Numerosi sono i documenti riportati nelle pagine de La comparseria attraverso cui trapela - oltre l’indagine storico-cronologica, specifica-obbiettiva - l’istanza esemplare di un’aura di analisi esegetica completa, poiché, nell’accogliere i suggerimenti binniani, suppongo Alberto Raffaelli abbia voluto, nella veste di critico, rafforzare la responsabilità del suo lavoro collaborando all’ulteriore enunciato del valore artistico dell’universo di segni-segnali pirandelliano, «della sua vita attuale nella continuità della sua vita critica precedente, e come opposizione a ogni forma di scostamento impressionistico o degustativo dell’opera d’arte». Il professor Arcangelo Leone de Castris, a proposito di alcuni brani pirandelliani tratti dai Saggi, Poesie, Scritti vari commentava: 

Una realtà dominata dall’irrazionale e dal relativo non può rispecchiarsi in un’arte che nel simbolo elude i termini concreti dal dramma storico, né un’arte che gli sovrapponga un’immagine falsamente ottimistica, arbitraria: l’arte moderna deve cogliere e rappresentare le mille voci discordi della coscienza contemporanea. 

   Ricostruendo la vicenda pirandelliana dell’Accademia, Raffaelli ha saputo ben difendere le istanze personali e storiche dell’autore di Uno, nessuno e centomila (1926), confrontandole in misura oggettiva con l’alternanza presente-passato, conservando nella propria esegesi una totale consapevolezza della polisemia del tema sviluppato, del suo composito svolgimento diacronico-sincronico. Improbabile appare infatti, in una poetica così caratterizzata - programmatica o in atto - individuare piani referenziali, materiali o affettivo-spirituali assoluti, in quanto nello spazio dell’Io conscio generatore (in contatto con le tracce dell’Inconscio) ciò è di per sé fuori luogo. Precisa è la notazione psicologica di Raffaelli: 

Fu anche la sfiducia in un reale fedelmente referenziale a renderlo riottoso verso l’Accademia, come in fondo egli era sempre stato nei riguardi di filiazioni e inquadramenti. 

   Nel 1931, dalla Francia il commediografo raccomandava alla secondogenita Rosalia Caterina detta Lietta: 

Cerca e trova in te una certezza, Lietta mia, e tieniti a essa aggrappata che non ti sturba. Non potrai trovarla, se non te la crei. E dunque non cercare nulla che non ti venga da te. Un sentimento di te, della tua vita, che sia di qualche cosa in cui possa consistere, certa. È difficile. 

Luigi Pirandello posa per il pittore Primo Conti.


   L’episodio del Nobel entra a pieno titolo in questa atmosfera. Sui centosette accademici complessivi nel periodo di attività dell’istituzione (tra il 1929 e il 1944), tre risulteranno titolari del premio conferito dall’Accademia Svedese: Guglielmo Marconi (1909) ed Enrico Fermi (1938) per la Fisica, Luigi Pirandello (1934) per la Letteratura. Riguardo al riconoscimento assegnato a quest’ultimo, la cui risonanza in Italia fu oggettivamente scarsa, in termini appropriati Raffaelli sottolinea: 

Tale complessiva modestia della valorizzazione del premio da parte dell’Accademia - che pure nell’avanzamento della proposta dimostrò una seppur relativa autonomia operativa nel contesto istituzionale del fascismo - riflette, anche come conseguenza del poco slancio con cui la candidatura fu appoggiata dal regime, lo scarso entusiasmo col quale fu celebrata la vittoria in Italia. 

   La scomparsa dovuta a una grave polmonite, nel dicembre del 1936, trovò l’Accademia «pronta alla celebrazione di un rito del resto abituale, vista l’età avanzata di gran parte dei suoi membri», racconta Raffaelli: «Solo le festività natalizie dovettero indurre a spostare di alcune settimane la commemorazione, pronunciata com’è noto alla Farnesina da Massimo Bontempelli».  

   Tutto nella norma, quindi, sino all’estrema dimora. Ne La vita nuda (1907), uno dei maggiori esempi della novellistica pirandelliana, l’esordio recita: 

Un morto, che pure è un morto, caro mio, vuole anche lui la sua casa. E se è un morto per bene, bella la vuole; e ha ragione! 

   In parallelo al personaggio di Giulio Sorini della novella, Pirandello e le sue ceneri acquisirono - anch’esse in seguito a un tormentato iter - una “bella casa”, in base alle ultime volontà, nel giardino della villa di famiglia nella contrada “Caos” accanto alla scultura monolitica di Renato Marino Mazzacurati. Una scelta di ritorno all’infanzia, alla terra natìa, consona a un brano del discorso funebre del Bontempelli di cui Raffaelli riporta le parole-chiave, là dove si accenna a un «candore, qualità elementare, nativa […], divinamente incauta, piena di senso del mistero, provvista di un suo proprio linguaggio semplificato, […] profondamente sincera» e in grado di sfiorare subito il cuore delle cose, che vede «degli atteggiamenti altrui […] in modo immediato fino alle ultime conseguenze e senz’altro le denunzia».

"La vita nuda"

   Di una simile disposizione, legata a uno stato d’animo di sofferenza-ribellione, Pirandello dava prova in una lettera indirizzata alla figlia da Milano nell’ottobre del 1931:   

Più di cinquanta ne ho pagate di tasse; e poi supplementi straordinarii a te, a Stefano, a Fausto; sapete bene che mi sono spogliato di tutto; e bisognerà pure che pensi un poco alla mia vecchiaja, se proprio non volete che vada a finire in un ospedale. Sono esausto! Un po’ di considerazione. Avreste potuto essere ricchi e vi siete condannati tutti e tre alla povertà e ai continui bisogni, con me e i vostri figliuoli. A 64 anni io non ho nessuna posizione e sono ancora obbligato a lavorare per vivere e farvi vivere! È duro. Basta. Recriminazioni inutili. Ti bacio, Lietta mia, con la tua piccola, il tuo Papà. 


   Il limite precario della storia, animato da un continuo divenire, in Pirandello ha i caratteri dell’unicità e della globalità: pervade non solo le creature del suo teatro, il territorio delle novelle, l’universo dei romanzi, ma ispira pensiero e azioni personali, adesioni e rifiuti, gioie e inquietudini. Alberto Raffaelli è attento a scandire la ricostruzione degli anni dell’Accademia descrivendo i timori lancinanti di un’eventuale esclusione («Sono preparato a tutto; e ormai non mi aspetto nulla da nessuno»), il moderato entusiasmo alla conferma («Dunque sono Accademico d’Italia»), la sorpresa per l’elenco dei “colleghi” prescelti (salvando solo gli amici Salvatore Di Giacomo e Roberto Bracco), i giudizi feroci («L’Accademia? Una buffonata»). Del resto, la potente Margherita Sarfatti (del cui salotto Pirandello era stato frequentatore) si chiedeva con perplessità: «Può l'Accademia non essere accademica?».

   Atteggiamenti del tutto presenti alla coscienza del grande autore, e in certo qual modo elencati in un passo di una conferenza tenuta nel 1922: 

È naturale che ogni espressione raggiunta, mondo creato, a sé, unico e senza confronti, che non può essere più né nuovo né vecchio, ma semplicemente «quello che è», in sé e per sé in eterno, trovi in questa sua stessa «unicità» le ragioni: prima, della sua incomprensione; e poi, per sempre, della sua spaventosa solitudine: la solitudine delle cose che sono state espresse così, immediatamente, come vollero essere, e dunque «per se stesse». 

   Ma per fortuna, almeno una volta, il nostro Pirandello è stato sin troppo incline al nichilismo, al suo «sentimento destrutturante» (così ben definito da Raffaelli): le «cose» da lui significate e rappresentate, invece di finire racchiuse in sé, sono giunte lontano, molto lontano.   


Alberto Raffaelli, PhD in Letteratura Italiana, è docente nelle scuole medie e studioso d'Italianistica, con all'attivo svariate monografie specialistiche. Tra queste, La comparseria. Luigi Pirandello accademico d'Italia (Firenze, Cesati, 2018) è risultata vincitrice di due premi per la saggistica: il 45° Premio Letterario Casentino, sezione narrativa/saggistica, e il 6° Premio Internazionale Salvatore Quasimodo, sezione saggio/tesi di laurea. L’autore si è poi occupato nei suoi volumi di argomenti quali la narrativa barocca, i periodici per l'infanzia nell'Italia post-unitaria, epistolari tra scrittori del Novecento, la politica linguistica del fascismo; ha inoltre all'attivo articoli e curatele in riviste e miscellanee universitarie. Si occupa attualmente di divulgazione libraria e culturale come amministratore del gruppo Facebook Segnalazioni Letterarie (https://www.facebook.com/groups/segnalazioniletterarie). Vive a Roma, dove partecipa attivamente a numerosi eventi culturali, organizzando tra le altre cose il premio “Lettere al Sempione".