Cinzia BALDAZZI – Sensazioni di Antonella Santoro: note
critiche sulla raccolta poetica.
Antonella Santoro
Sensazioni
Avola, Libreria Editrice Urso 2017
pp. 58, € 10,00
Le sensazioni
di Antonella Santoro raccolte nel volume omonimo si formalizzano - per mezzo
del linguaggio scritto - in unità di significazione, anzi, in un articolato
universo significativo. Il componimento che dà il titolo al libro offre un’articolazione
esemplare di numerose istanze radicate nel terreno sensoriale-percettivo come
nella zona psichica:
Buio lieve
di fresca galleria
cieca...
ma io son io,
cuor d’aquilone,
di carta d’arance
che brucia nei bordi
e vola improvvisa.
Dolce odore
- caramella che
incolla -
nel caldo
avvincente, salato,
il corpo vestito di
pelle leggera
che tolgo a piacere…
La voce è quella che
so:
di colpo il ricordo
m'avvolge,
non triste, ma un
frizzo d’amore
un guizzo tra gioia
e dolore,
incredula, ascolto.
Spio il tempo che
ho.
Aspetto l’attesa
sottesa
- un sospeso di
cuore -
incerta, in un’aria
seriosa
le mani appoggiate
alla gonna,
dagli occhi svanita.
Pavimento come
scultura,
carezza di passi
svestiti.
Nella danza di anni
passati
si specchia
nostalgico un pivot.
[Sensazioni]
Un tale complesso di messaggi non viaggia in
uno spazio-tempo aleatorio o vago: a impedirlo è la funzione cruciale assegnata
dall’autrice ai nessi simbolici. Così asseriva il semiologo lituano Algirdas
Julien Greimas:
Il mondo umano ci
appare definibile essenzialmente come mondo della significazione: il mondo può
essere detto «umano» solo nella misura in cui esso significa qualche cosa.
Ebbene, suppongo il titolo Sensazioni sia ispirato dall’aura
generata nel comunicare segni-segnali corrispondenti a cose, idee, giudizi, soprattutto
a tropi (metafore, metonimie,
allegorie, e in genere figure retoriche), quando elaboriamo il tentativo di
descrivere il microcosmo delle qualità sensibili. Il tema ricorrente delle
parole, a volte inadeguate, impotenti, vuote ma necessarie, imprime svolte
significative ai componimenti: «non ho più saputo crescere», confessa la
Santoro, «volendo inventare poesie» [A
una madre]; e sempre nel segno di una figura materna prende vita
l’intenzionalità poetica:
Vorrei scrivere versi
originali, precisi
per poter sostituire
i fiori che non ho portato
le preghiere non dette
i saluti dimenticati,
quale ricompensa
al sollievo non recato.
[Madrina]
Spesso la Santoro sembra suggerire un
affidarsi dell’individuo alla distesa marina per conferire “senso”
all’indistinto:
Io ti volevo dire
che
basta che guardi
il mare
dalla finestra
aperta
e ti inzuppi degli
spruzzi
odorosi
per ricordare tutta
la tua vita,
recise lontananze
brevi
incrociate a
incontri.
[Lontananze recise]
E il mare
ritorna più volte, qua e là tra le pagine della silloge, a scandire passi
incespicanti sulla sabbia fino a placarsi [Amata
mia città], nostalgia delle promenade
sui «lungomare di infiniti soli» [Dolce
Francia], sino alla personificazione estrema: «E se di mare sei fatto / con
me a terra / sei voluto restare» [Nodo
marinaro].
Tracce discrete di ermetismo, disseminate
qua e là in Sensazioni, illuminano un
percorso lontano dall’astrazione, anzi, all’opposto, inteso a cercare e sentire
la verità come vita. La riflessione elaborata da Antonella Santoro ha solide basi
terrene, e assume sovente la configurazione di lotta contro il mondano, contro
la stanchezza, contro la morte. Ricordo le parole del nostro Enzo Paci nella
prefazione agli scritti di Gerd Brand sui manoscritti di Edmund Husserl:
La riflessione non è
nulla di astratto: è il farsi stesso della vita e della verità nel tempo, ed è
la verità che nel tempo mai e sempre si dà, riconducendoci, nella misura nella
quale riusciamo a riflettere, sia all’inesauribile origine che all’idea
teleologica infinita.
Il discorso in questione, però, risulterebbe
impenetrabile o addirittura caotico - nella indistinzione tra falso e vero,
apparente e concreto, personale e obbiettivo - se la voce narrante della
Santoro non fosse essa stessa garanzia, ovvero se non rendesse letterariamente conto
della coesione nonché della pertinenza di messaggio del testo. Il filosofo
Michel Foucault ha spiegato la questione generale innanzitutto circoscrivendo
il campo:
L’autore
considerato, naturalmente, non come l’individuo parlante che ha pronunciato o
scritto un testo, ma l’autore come principio di raggruppamento dei discorsi,
come unità ed origine dei loro significati, come fulcro della loro coerenza.
Poi, entrando nel merito dell’ordine del
discorso letterario:
Si chiede che
l’autore renda conto dell’unità del testo che va sotto il suo nome; gli si
chiede di rivelare, o almeno di portarsi appresso, il senso nascosto che li
attraversa; gli si chiede di articolarli sulla sua vita personale e sulle sue
esperienze vissute, sulla storia reale che li ha visti nascere. L’autore è ciò
che dà all’inquietante linguaggio della finzione le unità, i nodi di coerenza,
l’inserzione nel reale.
Poiché il testo di Antonella Santoro si
rivela particolarmente adatto a un simile genere di considerazioni, mi chiedo:
in qual modo sarebbe possibile adempiere allo scopo? con quali strumenti
l’autrice potrebbe portare a compimento una analoga operazione di reductio ad unum?
Credo di poter individuare il meccanismo
della nostra poetessa nel suo prediligere la scelta di rivelare il senso
nascosto dietro la totalità, mostrandosi in grado di animarlo nel coniugare hic et nunc individuale ed esperienze intraprese,
in un’accattivante struttura semantica da condividere. Traslando l’analisi di Sensazioni da un tessuto poetico a un ambito
filosofico, assistiamo al comporsi di una fitta trama tra l’Io e la realtà
esterna, all’altezza di riportare alla mente i concetti della fenomenologia. Ho già citato Edmond Husserl: il pensatore austriaco
spiegava la fisionomia di un Io come Io-nel mondo, nella forma di una
vita-che-esperisce-il-mondo. Non viene riservata maggior valenza né al campo oggettivo
né all’area soggettiva. Scrive Husserl:
Tutto ciò, la vita,
entro la quale io sono in rapporto al mondo, significa: non un mero io, e, di
fronte ad esso, una molteplicità di esseri privi di io, bensì, in tutto e prima
di tutto, in ogni percepito, in ogni avere, uno sforzo dell’io, un agire, un
potere.
I versi della Santoro impegnano una forza
interiore nel suo esternarsi, una possibilità di avvicinarsi al mondo, di
penetrare nell’estraneità del reale fino a dipanarla e portarla all’evidenza.
Il loro significato è nell’avvicinamento, nello sforzo di ottenere una
prossimità sempre maggiore alla realtà, al punto di sventarne i fraintendimenti,
le dimenticanze, i pericoli. Antonella Santoro ha sistematizzato nel brano Insieme questa poetica, aprendo e
chiudendo il componimento con la medesima espressione «Non sia mai», in un
avvertimento a metà tra lo scongiuro e la prevenzione:
Non sia mai
che quieto
il mio respiro non
rinasca
nell'ultimo ricordo
sopito nel sonno
che nel vortice del
giro
sia il falso passo
a confonderci nel
bianco
delle nostre membra
che si possa
cadere da questa
roccia
cui siamo aggrappati
insieme
da sempre.
Non sia mai
[Insieme]
I tentativi di energico intervento nel
panorama circostante producono anche la coscienza di percepire come sia
impossibile pervenire a un sapere totale: ogni qual volta scopriamo qualcosa,
emerge «un sapere di più», afferma Gerd Brand, «che è anche insieme un
non-sapere». Con un’affermazione di presunta impotenza, subito ribaltata in sfida
esistenziale, la Santoro conclude un brano centrale della sua raccolta:
Arrivati alle porte
della notte
in un dunque fatto
di braccia,
- allacciate disperatamente
nella stretta
dell'ultimo sogno -
sappiamo che ancora
vivremo...
perché null'altro
sappiamo fare.
[L’altrove]
L’ignoto non può mai essere completamente
dissipato: e allora, su un piano contiguo tra filosofia e poesia, la nostra scrittrice
sperimenta possibili comportamenti di auto-estraniazione per rischiarare se
stessa e mantenersi in costante movimento in un contesto seppure ignoto:
È che... non sono
più
gl'incerti passi
a darmi fremiti di
paura
ma sono strepiti di
cerniere
e la voce ferma,
nel pensiero ch'è
già lontano.
Frenàti del cuore i
sussulti
sorrido con malìa
bugiarda
e fingo,
immaginando già il
ritorno.
[Fremiti]
Le sensazioni
dell’antologia, in sostanza, coincidono con il senso, il quale non si esprime, però, esclusivamente nella psiche, nel
territorio raziocinante dell’anima: nascere donne e uomini è un evento iscritto
nell’ambiente naturale, pertanto non sembra opportuno scorgere nel vissuto peculiare
della coscienza la tappa suprema della nostra indagine conoscitiva. A riguardo la
Santoro confessa:
Si va alla cieca tra
siepi
nel labirinto di
giardini
[…]
Attratta di continuo
dal delirio dei
colori
e dei suoni
ho voluto vivere lo
stesso
seguendo la ragione,
[…]
Riempita di parole
l'ubriaca mente,
solo ora riesco a
percepire
a occhi ciechi
oltre i sensi.
[Oltre]
Cosa accade, poi, al passato, al presente,
al futuro? Non sussiste un oggi equivalente
a istanti chiusi in sé: esso gode di iter
continui, fluidi, vitali, e include il già-trascorso come attuale, a lato del
futuro in un ininterrotto esplicarsi. Il passato costituisce dunque un divenuto appartenente in certo modo al
presente, perché, anche se l’azione passa, l’agito rimane. Gerd Brand, parafrasando Husserl, scrive:
L’atto in cui io,
trascurando questo e quello, ho cercato di attuare questo e qualcos’altro, è
passato, ma il risultato di quest’atto rimane un mio risultato, qualunque sia
l’atto.
La poetica di
Antonella Santoro è attenta a questa sedimentazione di azioni, sentimenti, moti
dell’animo già avvenuti, al “perdurare” di scoperte e disinganni, entusiasmi e
amarezze. E se persiste l’eco di parole sussurrate «negli amplessi di ieri» [Tango argentino], più avanti leggiamo:
Accesa di lampioni
colorati
una risata a
sorprendermi
al lento epilogo
ove - morto il pianto
-
la delusione
perdura,
nello stupore di un
raggio.
[Inaspettatamente]
Il presente realizza ciò che è, il
già-trascorso invece conserva, nell’essere ricordato, l’intervallo di un sé in
futuro. Ed ecco l’appello della Santoro:
Tu solo
- l’attuale e il
remoto -
in un gorgo
inscindibile
[A te]
Il sensibile
di quest’opera si ritrova quindi in una Weltanschauung impegnata a costruire un’immagine dove ogni ripiegamento
sul lontano, sul «remoto», avviene in base a un interesse per l’avvenire. Senza
di noi, senza il nostro Io, l’asse temporale degli avvenimenti precedenti appare
vuoto: e così, le ripetute rimemorazioni della Santoro producono un’identità progressiva in grado di procedere entro
percorsi viventi sempre nuovi, mentre l’orizzonte in fieri dovrà restare ignoto perché sempre aperto:
avvolti in un
passato ignudo
persi a metà via,
sconosciuta la meta
[“Imagine”]
Ringrazio Adriano Camerini per la collaborazione alla stesura
del testo.
Antonella Santoro è nata e vive a Genova. Dopo la laurea in lingue ha insegnato francese
nella scuola secondaria. Ha pubblicato le raccolte poetiche Nell’aria come vela (2013), Pensami, ricordami, vedimi (2016), Sensazioni (2017) e il romanzo Azzurro come i suoi occhi (2014), tutti
della Libreria Editrice Urso di Avola; inoltre, la silloge Divertissement e la raccolta di prose Incontro al buio e altri racconti (2018), a cura delle Edizioni Vitale
di Sanremo. Nelle sue opere appare evidente la predilezione per la Francia: ha
tradotto una cinquantina delle sue poesie da Carta d'arance e Aspettando
notte, inserite nella raccolta Mélodine,
tutte edite nel 2011 a cura dell’autrice. Nell’arco di pochi anni ha
conseguito numerosi riconoscimenti in bandi letterari. È stata presente nella
giuria di diversi concorsi, ha scritto recensioni, effettuato traduzioni,
partecipato a reading poetici.