domenica 15 luglio 2018




Poeti dall’Italia e dall’estero all’incontro annuale “Sotto il cielo di luglio” dell’Associazione Culturale L@ Nuov@ Mus@.
 


 
«La mente muove tutta la mole del mondo», scrisse Publio Virgilio Varone nel Libro VI dell’Eneide, affermando il giusto e, inoltre, da sommo poeta, scegliendo di manifestare questa fiducia per mezzo dei versi. Uscendo per recarmi a seguire l’happening di poesia “Sotto il cielo di luglio”, organizzato da L@ Nuov@ Mus@, a Lavinio, ospiti del club “L’abbraccio” del tenore Massimiliano Drapello, riflettevo ancora una volta sull’esordio della nostra Æneis: «L’armi canto e ’l valor del grand’eroe / Che pria da Troia, per destino, ai lidi / D’Italia e di Lavinio errando venne». Così Annibal Caro, alla metà del ‘500, traduceva in endecasillabi sciolti il celebre incipit dell’epos (scritto in esametri dattilici e spondaici), commissionato da Augusto, con l’aiuto di Mecenate, allo scopo di onorare la restaurazione di Roma: appellandosi alla figura di Ascanio-Iulo, erede di Enea, la storia del poema permetteva a un’aristocratica casata romana, la gens Iulia della quale faceva parte l’Imperatore, di rivendicare per sé simili nobilissime origini.
In tale maniera Giulio Cesare, e il figlio adottivo Ottaviano, discendenti della stirpe, avevano saldato, con Virgilio, la distanza dall’èra omerica, proseguendone a loro modo il fascino dell’intreccio mitologico: nell’Iliade, infatti, Zeus profetizza le imprese degli eroi e l’annientamento della città di Priamo. Nell’opera virgiliana, Giove delinea le avventure di Aenēās, insieme alla futura grandezza augustea, capace di riportare finalmente in auge l’Età dell’Oro, colma di gioia, di arte, benessere e bellezza: come, guardando intorno, seduti sull’anfiteatro prospiciente il locale, pare di rivivere.
 


Ecco che, nella poësis epica dell’Eneide, tra i Libri VI e VII, superata la tappa di Gaeta le navi degli Argivi riprendono il Mediterraneo costeggiando il nord e ormeggiando alla foce del Tevere. Le barche dell’Età del Bronzo, a basso pescaggio, possono attraccare in una laguna interna. Lì, Αἰνείας-Aineías divide gli uomini: un gruppo risale il fiume, l’altro, guidato dallo stesso coraggioso troiano, avanza trasportato dalla leggera corrente del piccolo Numico in direzione sud, nell’intrico della fitta Silva Laurentina ricca di acqua e cibo. Poco prima della confluenza nel Tirreno, a meno di un chilometro, sostano ed esplorano l’entroterra. Tempo dopo, in quelle pianure, risolto nel sangue il conflitto con i Rutuli comandati dal re Turno, il cugino del prode Ettore getterà le fondamenta di Lavinium.
Il Lido di Enea, quindi, non in quanto sbarco casuale di un movimentato navigare, anzi luogo deputato, magari prescelto, per una convivenza adeguata a mitigare l’immane tragedia della patria Ilio, sconfitta solo due anni prima.
Per noi, grazie a una buona sorte, il viaggio non inizia dall’Ellesponto, sulle rive dell’Egeo, dall’Ἴλιον-Ilion distrutta. E dunque, per partecipare all’incontro “Sotto il cielo di luglio” dell’Associazione Culturale L@ Nuov@ Mus@, fuori da Roma percorriamo una strada breve e pacifica, tuttavia non dissimile dal mitico tragitto narrato dall’Eneide: trascorsi un paio di millenni seguiamo, con precisione, la via Pontina nel tracciato dell’antica Silva, superando Aprilia e virando a ovest per varcare l’Ardeatina. Alcuni incroci, un paio di rotonde, quindi, lasciata l’autovettura, continuiamo a piedi sulla ghiaia di un articolato vicoletto in discesa, delimitato da sottili canneti. Camminiamo orientati dal rumore delle onde in aumento di passo in passo, di curva in curva, sino a quando, a spalancare lo scorcio, repentina appare la distesa marina al crepuscolo, nella musica, nelle luci, nei colori.
 



I gradini della cavea addossata al pendio naturale sono assiepati di poeti e di ascoltatori, radunati dagli organizzatori Fiorella Giovannelli, coinvolgente quanto discreta nel ruolo di giurata e di sostegno operativo agli ospiti, e da Carmelo Salvaggio, coordinatore e impagabile anchorman della serata. Il timbro squillante della giovanissima soprano Eleonora Croce - con Tu si’ ‘na cosa grande di Modugno e Caruso di Dalla -  accompagna gli ultimi bagliori all’orizzonte, rimanendo visibili le schiume bianche infrante sulla spiaggia. In una notte senza Luna, il pianeta Venere accoglie e restituisce i raggi di un Sole ormai nascosto nell’emisfero opposto.
Voci recitanti soavi, riservate benché immedesimate, Veruska Vertuani e Antonella Rizzo (con il prezioso ausilio di Antonio D’Arienzo) “dicono” con bravura e passione i trentanove elaborati in gara, di cui venticinque corredati anche di un haiku. Ogni concorrente possiede la scheda per votare i “colleghi”; alle loro preferenze si unirà il parere di una commissione esaminatrice in loco. Quindi, due linee di componimento: un brano in lingua italiana a tema libero, e un haiku, con ulteriori relativi riconoscimenti. Una democrazia diretta e incrociata, da accostare, in scala utopica, alla civiltà greca del V secolo a.C., dove lo statista ateniese Pericle (la madre proveniva dall’influente famiglia degli Alcmeonidi), favorì le arti e la letteratura: questa fu la principale ragione per la quale la polis acquistò la fama (la celebre δόξα-dòxa) di centro della cultura nell'Antica Ellade.
Del resto, impiegando una strategia che oggi vorremmo si diffondesse, allo scopo di dare lavoro a migliaia di artigiani e cittadini, l’uomo politico sviluppò ambiziosi progetti edilizi: nacquero, così, molte opere sull'Acropoli (incluso il Partenone), gioielli urbanistici all’altezza di esibirne gloria indiscussa. Per quanto riguarda, infine, l’attività marittima, Pericle sostenne la democrazia (nel senso di Aristotele), stabilendo un salario per i rematori delle flotte.
Sono dell’opinione di Salvaggio quando ha previsto che sarebbe stata «una bellissima serata intensa di poesia, di bel canto, di emozioni, ospitata nella splendida location del club “L’Abbraccio”». Inoltre, «mossa dal maestrale che soffia forte sul mito e sulla poesia nel lido che accolse Enea dopo lunghe traversie nel “Mare nostrum”».
 


Il tenore Massimiliano Drapello, padrone di casa e anfitrione, direi, cultural-gastronomico, si aggira instancabile al piano superiore del “music theater and bio food” (da segnalare il pasticcio di patate e zucchine, le puntarelle con alici e fagioli bianchi, i bocconcini di melanzana con pomodorini: in fondo, non è arte anche questa?). D’altronde, è ben noto, presso i Greci e i Romani il simposio era una pratica conviviale (in latino convivium) seguente al banchetto: nel symposium, i commensali bevevano nelle modalità decise dal simposiarca e, con la cetra, o improvvisata, talora risuonava la melodia di uno σκολιόν-skoliòn, alternato a iniziative di vario tipo, come recitare carmi, danzare, dialogare.
Ecco che Drapello scende tra gli spettatori, manovra la consolle per le basi musicali e si confronta con una potente My Way. Ma siamo già alla seconda fase dell’evento, avendo banchettato e venerato il dio Bacco-Dioniso al tavolo con Fiorella Giovannelli, la presidente di giuria Paola Martino, maieutica e dialettica, il professore Farulla – fonte inesauribile di esperienze di beltà artistica unica da lui vissute – e la moglie con la quale ho conversato sull’importanza specifica dell’informazione nel terreno semantico delle poetiche.
Subito dopo, sopraggiungono soprani e tenori a intrattenere il pubblico mentre la commissione vaglia i punteggi e prepara la classifica definitiva. Nell’intervallo – cerniera tra i due momenti – Colombo Conti aveva imbracciato la chitarra e avviato un medley tra il western e il teutonico, passando poi lo strumento all’amico Antonio D’Arienzo, esecutore di versioni soft di Knockin’ On Heaven’s Door di Bob Dylan e Wish You Were Here dei Pink Floyd (e con un atto di interscambio tra generi, del tutto da apprezzare, aveva inoltre accennato, con un lieve pizzicato di corde, l’avvio di Stairway To Heaven dei Led Zeppelin).
 


Invitata da Carmelo sul palco a formulare concetti essenziali sul celebrare la poesia, approfitto dell’ospitalità per introdurre Arthur Schopenauer: quasi fossi ancora immersa nell’atmosfera della precedente serata di taglio leopardiano da me coordinata a Roma, in compagnia di tantissimi artisti, nei locali di Lettere Caffè a Trastevere in onore dell’ultima silloge di Nunzio Buono, Voli a matita. Sottolineo però, a sorpresa, la misura in cui l’immenso pessimismo dell’autore dell’opus maius Il mondo come volontà e rappresentazione sia attenuato proprio nel discorrere di arte e dunque del poetare: «Si deve necessariamente considerare come il grado più alto, come l'evoluzione più perfetta di quanto esiste. Offre infatti essenzialmente la stessa cosa che il mondo visibile, ma più concentrata, più perfetta, con scelta e con riflessione». Il filosofo di Danzica così prosegue: «Possiamo quindi, nel vero senso della parola, chiamarla il fiore della vita. Se il mondo come rappresentazione non è che volontà divenuta visibile, l'arte è precisamente tale visibilità resa più chiara. È la camera oscura che abbraccia meglio e con una sola occhiata. È lo spettacolo nello spettacolo, la scena nella scena».
Carmelo Salvaggio mantiene vivace il livello d’attesa procrastinando, nel tempo, la sempre imminente palma dei vincitori, mentre, da consumato entertainer, rende omaggio all’Associazione “Pro loco Città di Anzio”, nell’insigne figura di Augusto Mammola, delegato dal vice-presidente Elso Biancone, e a “L’Abbraccio”, che ha concesso una location da sogno ad occhi aperti.
Viene così inaugurato lo spazio degli artisti, consacrato a chi ha voluto dedicare e regalare proprie opere ai protagonisti del concorso.


Graziella Dell'Unto, apriliana, appartiene alla Scuola "Arte mediterranea” diretta dal maestro Antonio de Waure. Premiata di frequente dal Rotary Club della provincia di Latina, ha illustrato alcune copertine per le antologie dell’Associazione Culturale L@ Nuov@ Mus@. Alla pittura unisce lavori in ceramica, creta e mosaico. Le figurazioni occupano in prevalenza l’universo femminile e prediligono primi piani dai colori intensi, curiosità di sguardi, visioni esotiche. Il quadro donato a Fiorella Giovannelli riproduce una veduta del paese natale, il reatino Castel Sant’Angelo.


Yvonne Maria Teresa Gandini è una delle protagoniste del “rivelismo”, corrente pittorica e di pensiero con l’obiettivo, secondo le tesi del Manifesto, di portare alla luce «la natura più profonda dell’anima individuale». Eterogenei i soggetti: paesaggi urbani, icone dell’infanzia dimenticata, scorci marini, rovine della guerra. Negli studi incentrati sulla dinamica delle onde, della risacca, del ritrarsi dell’acqua sulla sabbia, si afferma evidente la tecnica a olio con l’uso alternato del pennello e della spatola. 


Il giovane scultore Rosario Luca Salvaggio, allievo dell’Accademia di Belle Arti, ha esposto L’elmo di Enea, un’inquietante e fedele rivisitazione del mitico eroe, guerriero ormai anziano, il cui copricapo guerresco è diventato tutt’uno con il viso. L’opera prima, eseguita assemblando, in un fitto reticolo, sottili strisce incurvate in bronzo, dalle suggestioni marine e vegetali, è stata presentata a Roma in questi giorni come prova dell’esame di Fonderia.
Giunge l’ora dei risultati. Carmelo chiama a raccolta i poeti e svela i nomi del podio: per la Poesia, nell’ordine Dimmi di te di Manuela Magi, Dalle finestre d’agosto di Franca Maria Canfora, Poesia per Pasolini di Antonella Rizzo; per gli Haiku, Daniela Lazzeri, Lia Grassi, Mario Serpillo. La professoressa Paola Martino, Presidente di Giuria, riserva un commento proficuo – e, nei limiti dello spazio consentito, dettagliato – ai vincitori, sia nell’ambito di strofe nel metro classico occidentale, sia nelle canoniche tre righe dello haiku di origine nipponica.
La performance canora appare strutturata in linea con un mini-festival pucciniano: dall’atto unico comico Gianni Schicchi (con libretto di Giovacchino Forzano, basato su un episodio del Canto XXX dell'Inferno dantesco), la raffinata soprano Raffaella Pelella esordisce con O mio babbino caro, all’altezza però, nonostante la felice conclusione della vicenda, di commuovermi ogni volta per l’irripetibile ingenuità e trascinante pathos dell’amore espresso. Lauretta si confida, infatti, con il padre per magnificare le doti del fidanzato Rinuccio Donati («O mio babbino caro, Mi piace è bello, bello»), poiché il dissidio tra il genitore e la famiglia Donati è a un punto tale da mettere a rischio la loro love story.


È poi l’occasione per il tenore Maurizio Ceccarelli, beniamino del posto, di esibirsi con l’appassionante romanza Nessun dorma dall’incompiuta Turandot: «Nessun dorma! Nessun dorma! / Tu pure, o, Principessa, / nella tua fredda stanza, / guardi le stelle / che tremano d'amore / e di speranza. / Ma il mio mistero e chiuso in me, / il nome mio nessun saprá! / No, no, sulla tua bocca lo diró / quando la luce splenderá! / Ed il mio bacio sciogliera il silenzio / che ti fa mia! / (Il nome suo nessun saprá!... / e noi dovrem, ahimé, morir!) / Dilegua, o notte! / Tramontate, stelle! / Tramontate, stelle! / All'alba vinceró! / vinceró, vinceró!». All'inizio del terzo atto, il "Principe ignoto", in totale solitudine, aspetta l’alba, quando spera di conquistare il cuore di Turandot, la “principessa di ghiaccio”, figlia dell’Imperatore della Cina.


Ancora la Pelella intona l’aria Mi chiamano Mimì dalla Bohème: siamo nel toccante episodio dell’incontro tra Rodolfo e la dirimpettaia («Sì, mi chiamano Mimì, ma il mio nome è Lucia»). Con le mani sfiorate nel buio («Che gelida manina», canta Rodolfo), la fanciulla dichiara al vicino di svolgere il mestiere di ricamatrice e di vivere sola. Comunque, in una sorta di intricati rapporti di coppia, la poverina, pur rimanendo in breve sconfitta dalla tubercolosi, affronterà l’attimo fatale circondata da amore e amicizia in un cliché musicale idoneo ad addentrarsi nella sentimentalità estrema come pochi.
Scende sulla scena il prof. Giovanni Farulla, matematico prestato all’arte e autore di piccole, pregevoli figure ricavate dai marmi di Carrara: a lui il merito di aver rammentato un brano di Ovidio delle Metamorfosi. Nell’epos virgiliano Enea, a Cuma, domanda alla Sibilla di guidarlo nell’Averno, dove vedrà l’ombra paterna di Anchise. La vergine accetta e il “pio” e “virtuoso” troiano, per gratitudine, promette di erigere per lei un altare votivo, ma la sacerdotessa di Apollo confessa di non godere di natura divina. Essendosi offerto il dio protettore di esaudirne un desiderio, avrebbe potuto ottenere l’immortalità: «Io presi un pugno di sabbia e glielo mostrai / chiedendo che mi fossero concessi tanti anni di vita / quanti granelli di sabbia c'erano in quel mucchietto. / Sciocca, mi scordai di chiedere che anni fossero di giovinezza». In qualche misura, il racconto anticipa la performance di Ceccarelli in Libiamo ne’ lieti calici, brindisi d’apertura della Traviata verdiana ed epifania “rovesciata” della tragedia finale.


Ed ecco Nunzio Buono, vice-presidente di giuria, reduce dal successo della presentazione dell’ultima fatica letteraria Voli a matita, prima accennata, cordiale nel recitare e attento nell’ascolto. Al momento della foto di gruppo, dell’happy ending (invece tra di noi, per fortuna, in spiaggia, sotto un cielo stellato, sulla riva del mare, non termina alcunché), Salvaggio proclama: «Ancora una volta avete dato il segno del vostro affetto e il senso vero dell’amicizia. Incontri come quello appena concluso hanno bisogno del sostegno sensibile, allegro, gentile e fortemente coinvolgente delle vostre care figure. Ad ognuno di voi diamo un forte abbraccio e la nostra riconoscenza».
Carmelo Salvaggio è nel giusto: festeggiare è sempre fondamentale, incoraggiante. Quando con la musica, il cibo, il canto, l’interpretare versi, in una compagnia solidale si rende omaggio a un fluire immaginario, i simboli suscitano un’eco vagante in grado di transitare decifrata, rimanendo impigliata nella rete di un enjambement o di un’anafora. Nella realtà, però, come vorremmo fossero le nostre liriche? In svariati modi, penserete: innumerevoli, non soggetti a essere elencati. Allora scelgo, forse a caso, la soluzione proposta dalla madrilena Gloria Fuertes (scomparsa nel tardo Novecento), tenace combattente per la difesa della pace e della parità dei diritti tra uomo e donna. Scriveva così la Fuertes: «La poesia non deve essere un’arma, / deve essere un abbraccio, / un’invenzione, / uno scoprire negli altri / quello che accade dentro. / Una scoperta, / un respiro, / un’aggiunta, / un brivido».
Lo spettacolo circostante è suggestivo e affascinante, in assonanza al panorama utopico intuito dal già citato Schopenauer: nella kermesse, attinente alla poesis e ai suoi ammiratori, a pochi metri dalla battigia, favoriti dalla fiducia accordata dal filosofo al comporre poesie, ciascuno ha cercato con una personale visione, secondo l’ipotesi dell’impareggiabile Italo Calvino, di «far entrare il mare in un bicchiere». Siamo riusciti nell’intento? Chissà… L’importante è stato celebrare insieme un contesto di ποίησις-poiesis, certo adeguato a coincidere, di per sé, con una sorta di spazio teatrale in cui noi eravamo la sala, il palcoscenico, le quinte, gli attori, l’autore, il pubblico, il critico... Tutto in una volta!
 
Ringrazio Adriano Camerini per l’assistenza durante la stesura del testo.
 

7 commenti:

  1. Brava Cinzia! Questo tuo reportage, ma è riduttivo definirlo così, è testimonianza viva, completa d'una serata di arte, cultura, divertimento, natura, qual è stata quella del 7 luglio. Tu il ponte che lega passato e presente ed apre verso il futuro, entusiasmi, affascini, trascini. E' facile seguirti e c'è sempre da imparare ascoltandoti e vivendoti. Ci sarebbe da scrivere all'infinito ma tu hai detto tanto. In questo "tanto" mi ritrovo e mi esalto per sentirmene parte. Grazie di cuore

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  3. Sicuramente è stata una bella serata... e se ci fossi stati io, beh, un pezzo della Turandot l'avrei cantata forse stupendo qualche amico!

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    1. Grazie, Armando, A luglio del 2019, allora, sarai tu un appassionato Calaf. È un'interpretazione che penso si addica alla tua personalità pucciniana.

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  4. Cinzia anche senza essere presente parola dopo parola attimo dopo attimo ho vissuto grazie a te quel sapore d'antico e di nuovo di questa magica serata.

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