Enrica
DONINI – “Il bracciale di perle di vetro colorato” (racconto breve)
Con
il racconto di Enrica Donini prosegue la pubblicazione dei testi vincitori dell’edizione
2018 del concorso “Incrociamo le penne”. Con un commento di Cinzia Baldazzi.
Il letto sopra di lei si muove ritmicamente, sbattendo contro il muro di
lamiera come un tamburo. Bum-bum-bum-bum-bum.
La vecchia
rete arrugginita si lamenta ad ogni affondo, cigola, stride, geme. Geme di
dolore, come sua madre. Geme di piacere, come quell'uomo.
Shamoli
schiaccia forte le mani sugli orecchi, tiene gli occhi chiusi. Cerca di
appiattirsi il più possibile sul pavimento e contro il muro, non deve essere
notata, non può fare alcun rumore. Respira a fatica, il suo nascondiglio
diventa ogni anno più piccolo e scomodo.
I due corpi
sopra di lei aumentano il ritmo, quell'uomo geme più forte, grugnisce. Hanno
quasi finito, ancora pochi minuti e lei potrà uscire dal suo rifugio.
È l'imbrunire,
Shamoli corre per le strade sporche di Kandapara. La mamma le ha dato alcune
commissioni da sbrigare, rischia di arrivare tardi. Quando giunge al chiosco
all'angolo c'è la fila, e Shamoli si mette pazientemente in coda.
Ha il fiatone,
il fianco le fa male per la lunga corsa e le gira un poco la testa. Le sue mani
stringono forte i soldi che la mamma le ha affidato, sono contati e non può
certo rischiare di perderli. Ormai ha 10 anni, quella commissione l'avrà fatta
un milione di volte e lei è una brava bambina, educata e responsabile. Sa bene
che è così, perché lo ha sentito dire ieri dalla mamma alle altre donne mentre
erano in coda per il bagno. Lei naturalmente ha fatto finta di non sentire, ma
una punta di orgoglio l'ha fatta sorridere. Sorride anche adesso, mentre ci ripensa.
Alza lo
sguardo e la bambina in coda davanti a lei le sorride di rimando. Shamoli non
l'ha mai vista, dev'essere nuova. È bellissima, indossa un lungo vestito
colorato e pieno di perline, il suo viso è dipinto come quello di una donna
adulta ed è tutta agghindata. Sembra una principessa. Gioca nervosamente con i
bracciali d'oro che porta al polso, i suoi grandi occhi neri guizzano impauriti
di qua e di là. Sta tremando, e asciugandosi il sudore dalla fronte Shamoli
pensa che forse è malata.
«Ciao, come ti
chiami? Io sono Shamoli!» azzarda allungando una mano.
La bambina
sgrana gli occhi e si fa piccola piccola. Prima di rispondere lancia
un'occhiata alla donna che le sta accanto. È indaffarata a discutere con Faysal
il proprietario del chiosco.
«Io sono
Hashi» sorride timidamente, e le stringe la mano.
Shamoli nota
che ha pianto da poco. Lo sa perché i suoi occhi sono lucidi e arrossati, come
quelli della sua mamma al mattino quando prepara la colazione.
È in compagnia
di una donna anziana, vestita di un bellissimo sari rosso e oro. Di sicuro è
uno di quelli comperati in centro città, lo si capisce dalla buona fattura del
tessuto.
Shamoli se lo
immagina, il centro città, come se lo è immaginato tante volte: pieno di luci
colorate e donne bellissime, e uomini ben vestiti che aprono loro le portiere
di automobili luccicanti. Shamoli è una bambina con la testa tra le nuvole, lo
sa bene perché sua madre glielo ripete in continuazione.
Viene
riportata alla realtà da grida di rabbia. La grossa donna davanti a lei sta
litigando furiosamente con Faysal: «Cos'è questa storia dell'aumento dei
prezzi? Dimmi un po' ragazzino vuoi forse fregarmi? Ne ho una nuova, qui, che è
magra come uno stecco! Me lo dici chi la vuole, ridotta così? Se non la metto
all'ingrasso faccio un buco nell'acqua e non me lo posso mica permettere!»
Shamoli
approfitta della distrazione della donna per provare a parlare con la ragazzina
nuova, è strana ma le sembra simpatica. Forse ha solo bisogno di un'amica.
Nelle mani stringe ancora quella di Hashi. «Ehi, stai bene? Il tuo vestito è
bellissimo, te lo ha comperato tua madre? È una donna piuttosto vecchia!»
«Oh no, lei
non è mia madre! Mia madre... mia madre non è più... lei...»
La grossa
donna interrompe bruscamente Hashi, scuotendola con violenza per un braccio:
«Ti ho detto di non parlare con nessuno, o sbaglio?»
Quando volge
lo sguardo su Shamoli, i suoi occhi cattivi la fanno rabbrividire.
«E tu
ragazzina, fatti gli affari tuoi se non vuoi finire nei guai!»
«Madame Asma
mi scusi,» Faysal attira la sua attenzione, tentando di concludere l'affare «le
prende o no queste pillole? Guardi, non sono certo io che decido i prezzi di
mercato, il costo dell'Oradexon è aumentato qui, come in qualsiasi altro
bugigattolo del quartiere. Lo vedrà lei stessa se non crede alle mie parole!»
Madame Asma lo trafigge con lo sguardo. Shamoli osserva il povero ragazzo che
fronteggia la prepotenza della sua cliente con audacia. La donna ritorna alla
sua trattativa. Agita il pugno in aria e minaccia il ragazzetto con un grosso
vocione rauco nella speranza di ottenere uno sconto. Shamoli le fa una smorfia
e veloce come un fulmine infila nel braccio di Hashi uno dei suoi bracciali di
perle di vetro colorato. Il suo preferito. Un segno di amicizia.
Quando la
donna si allontana trascinandosi via la piccola Hashi, Shamoli le fa
l'occhiolino. Si sorridono.
«Di' un po'
ragazzina, hai intenzione di fare una brutta fine? Ma lo sai chi è quella lì?
Se metti i bastoni tra le ruote a Madame Asma finisci in brutti guai, te lo
dico io che lo so! Allora dimmi... cosa vuoi, il solito?» Il sorriso di Faysal
scaccia via il gelo che quella donna aveva instillato nel suo cuore. La bambina
annuisce felice. Shamoli lo conosce bene Faysal, viene spesso a far visita a
sua madre.
«Mi dispiace
bambina, ma il prezzo dell'Oradexon è aumentato e con questi soldi posso darti
solo una confezione... e ora smamma! Fuori dai piedi che devo chiudere!»
Nonostante
tutto Shamoli è contenta. È una bambina ottimista e questo è un dono. Lei lo sa
perché la sua mamma non fa che ripeterlo a tutti quanti. Sorride tra sé e sé
mentre trotterella verso la stanza che condivide con la madre.
Shamoli è una
bambina fortunata e lei lo sa bene. La sua mamma è ancora giovane e bella, e
riesce a guadagnare abbastanza per poterla mandare a scuola.
Molte delle
bambine con le quali gioca abitualmente per le strade del suo quartiere stanno
scomparendo un po' alla volta. Lei sa che non vanno da nessuna parte,
semplicemente entrano nel mondo del lavoro. Cominciano a lavorare, proprio come
lavorano le loro madri. E le madri delle loro madri prima di loro. Quasi tutte
sono nate a Kandapara, come lei d'altronde.
Un po' alla
volta “entrano nel giro”, come dice la mamma.
Sa anche che
molte ragazzine della sua età sono costrette a lavorare per quelle vecchie
signore, le Madame, come vengono chiamate da tutti. Ragazzine come la
sua nuova amica Hashi.
Pensa a lei
sulla via di ritorno da scuola, e pensa alla sua vita e a quella della sua
mamma. Pensa al suo destino.
“...e se
domani dovessi lasciare la scuola? Se la mia mamma non potesse più tenermi con
sé, se decidesse di affidarmi ad una di quelle Madame?
...e se domani
tutto quanto cadesse in pezzi?” La paura le stringe il cuore.
A Shamoli
piace andare a scuola, le piace il futuro che le viene proposto tra quelle
mura. Un futuro diverso dallo squallore del suo presente vuoto e senza luce.
Lei non lo sa
quello che succede alle ragazze, quando arriva il momento di incominciare a
lavorare. Quando la sua mamma riceve i clienti e lei si trova nella loro
stanza, è costretta a nascondersi sotto al letto. Ai clienti non piace l'idea
di avere dei mocciosi tra i piedi quando sbrigano i loro affari. Se la
scoprissero se ne andrebbero via, scegliendo un'altra ragazza in un'altra
stanza.
Shamoli non
vuole certo che questo capiti a causa sua, e allora se ne sta buona buona,
rintanata sotto al letto. E quando si ritrova lì, con la testa nascosta tra le
braccia, si rifugia nei suoi sogni e scappa in quel futuro che ha imparato a
immaginare tra i muri della sua amata scuola.
Sta camminando
per le strade di Kandapara, i pensieri nel vento e gli occhi fatti di sole. Sta
fantasticando sul suo domani quando accade l'inevitabile, quando la realtà le
si presenta davanti con un bel pugno in pieno viso.
All'inizio
nota solo un gran mucchio di persone ammassate attorno a un carro. Sembrano
tutti profondamente turbati, qualche donna si copre il viso con il velo per non
guardare. Si avvicina curiosa e nessuno tenta di fermarla, nessuno la nota,
tutti parlottano: «...era una chukri, si è tolta la vita. Che sciocca!»
Hanno lo
sguardo fisso a terra, come se provassero una vergogna di qualche tipo. «...no,
non ce l'ha fatta... ma sì, si tratta di suicidio!»
Con gli occhi
pieni di ingenuità Shamoli continua a camminare. Supera il muro di corpi che la
separa dalla verità, dalla crudezza del suo mondo, dall'evidenza di un domani
incerto.
La gente
mormora, bisbiglia: «Era nuova vero? Madama Asma dici? Ne sei sicura...»
«Shhh! Sei
matta, chiudi quella boccaccia!»
Lo spettro del
suicidio aleggia tra la folla, la sua disperazione infonde il terrore negli
animi, risveglia qualche coscienza intorpidita.
Shamoli si
ferma, e per un attimo tutto rimane sospeso nel nulla, il tempo sembra
congelarsi. C'è un carro davanti a lei, uno di quei vecchi carri di legno,
coperto da un lenzuolo macchiato di rosso. Piano piano i suoi occhi mettono a
fuoco un braccio, che sbuca fuori da quel lenzuolo sporco e ricade floscio
fuori dal carro. Un braccio, un bracciale... il suo bracciale di perle di vetro
colorato. Un brivido gelido le attraversa la schiena, il tempo riprende la sua
corsa e Shamoli viene travolta dal suo fluire impietoso.
Cade a terra,
le sue gambe esili non hanno retto ed è caduta sulle ginocchia appuntite. Non
ha nemmeno sentito il colpo, l'aria sembra essersi addensata e Shamoli fatica a
respirare. Un fischio forte riempie le sue orecchie ovattate, gli occhi
spalancati sull'istantanea indelebile del braccio senza vita di Hashi. Con una
mano si stringe forte il cuore. La vista annebbiata da un oceano d'acqua
salata, la bocca spalancata in un grido muto.
Il vento
soffia tra i suoi capelli sporchi, sussurrando paure che le nascono nel cuore e
le muoiono in gola.
«... e se
domani... e se il mio domani non dovesse mai arrivare?».
Enrica Donini è nata a Trento nel
luglio del 1991 e vive a Molveno, un piccolo paese tra le montagne delle
Dolomiti di Brenta.
«Amo
i libri, adoro leggere»,
spiega la Donini, «e
da qualche tempo mi sono avvicinata al mondo della scrittura».
Nel 2017, per gioco, partecipa al primo
concorso letterario organizzato nel suo paese, "Molveno, il lago delle
meraviglie... e se non fosse solo il solito lago?", vincendo il 1° posto
nella sezione Narrativa.
«Considero
questa data come una sorta di 'inizio'», prosegue la Donini, «da allora la scrittura si è
trasformata in qualche cosa di più di un semplice interesse».
Il
bracciale di perle di vetro colorato ha ottenuto il
2° posto nell’edizione 2018 del concorso “Incrociamo le penne”.
commento di Cinzia
Baldazzi
Il racconto di Enrica Donini, apprezzabile
ed efficace nella sua coesione tecnico-semantica, ricopre perfettamente il
ruolo nel ciclo narrativo letterario illustrato da Claude Bremond in La logica dei possibili narrativi:
infatti, consiste in un discorso all’altezza di integrare «una successione di
eventi di interesse umano nell’unità di una stessa azione». Sempre a parere del
grande semiologo francese, esperto di narratologia, dove non esiste successione
non scaturisce un racconto: piuttosto, prende vita uno spazio descrittivo,
deduttivo, un’effusione lirica e, soprattutto, è necessario esista tra le
pagine un’unità d’azione ove siano implicati interessi umani o, meglio, un
progetto che dona agli eventi raccontati un senso allargato oltre l’hic et nunc, campo illustrativo della
storia.
Ciò accade ne Il bracciale di perle di vetro colorato, dove la voce narrante
onnisciente procede sicura sin dalle prime parole, al suono ritmico di quel
“bum-bum-bum-bum-bum” che, alle orecchie della bambina nascosta sotto il letto,
sembra un gemito di dolore della madre, di piacere dell’uomo-cliente. Poi,
appena finito il tutto, all’imbrunire la piccola Shamoli corre sulle strade
sporche di Kandapara per adempiere a una commissione. Sì, proprio Kandapara, “la
casa-quartiere di tolleranza” più antica del Bangladesh (è lì da due secoli),
la seconda del paese per grandezza; venne distrutta nel 2014, in seguito ricostruita
con l’aiuto di ONG locali, perché le donne lì nate e cresciute non disponevano
di ulteriori rifugi o residenze. Oggi, avendo legalizzato nel 2000 la
prostituzione, la zona a luci rosse nella città di Tangala, a nord di Dakha
(capitale del Bangladesh), è circondata da un muro: bancarelle di alimentari,
negozi di tè, venditori ambulanti, e le donne - o le ragazze - vivono là, nelle
stanze, con i servizi igienici condivisi.
Però, l’acquisto affidato dalla mamma alla
figliola di dieci anni, dopo essersi messa in fila, non riguarda cibo, né
bevande o abbigliamento: la piccola deve comprare una dose di Oradexon, ovvero
il Desametasone, un potente steroide usato dagli allevatori per ingrassare i
bovini e utilizzato dai protettori allo scopo di gonfiare il corpo delle
giovani così da apparire più in carne e attraenti. La bimba, ancora affannata
per la corsa, stringe fra le mani il denaro con enorme senso di consapevolezza,
in quanto - lo ha sentito affermare dalla mamma alle altre prostitute in coda
per il bagno - «è brava, educata e responsabile». Ecco, alzato lo sguardo,
scorge «bellissima […] con un lungo vestito dorato e pieno di perline […] il
viso dipinto come quello di una donna adulta», un’altra giovanissima davanti a
lei. «Sembra una principessa», eppure trema, si asciuga il sudore sulla fronte,
«forse è malata».
Il lessico del racconto possiede una
competenza discorsiva: tuttavia, il
rapporto tra le parole-significato, fuori dalla consuetudine appunto
“conversazionale” - direbbe Umberto Eco -, instaura con noi lettori una tecnica
letteraria interpretativa, immediata, seria, drammatica: in termini specifici, la
Donini riesce a far rivivere un’intelaiatura di presupposti non detti (essendo,
in una “logica di senso comune”, inammissibili), piuttosto evocati quando,
attraverso i segni scelti per la comunicazione della trama-intreccio del brano,
il riquadro aberrante di quei meccanismi lascia purtroppo presumere come essi si
concretizzino e si perpetuino.
Shamoli, quindi, incontra la coetanea
Hashi, con «il viso dipinto come quello di una donna adulta, tutta agghindata»,
mentre accompagna la protettrice Madame Asma, pure lei in procinto di acquisire
un improprio filtro magico (per rendere accattivante, appetibile la sua
“merce”: «Ne ho una nuova, qui, che è magra come uno stecco!»). Asma è una Madame,
potrebbe essere un “babu” (fidanzato, protettore, amico), con il ruolo di
gestire l’infame traffico di scambio economico.
Ma non è così raro. Ragazze-madri, orfane
lontane dal regolare sistema di sostegno, cadono vittima di un mercimonio di
vite umane condotto da bande criminali queste ultime superano il confine
indiano - in genere Jessore o Benapole - tanto che la polizia ha stimato in
quindicimila il numero di donne e bambini introdotti ogni anno clandestinamente
in Bangladesh: insieme al Nepal, il paese con il maggior numero di minori
coinvolti nello sfruttamento, nella tratta di persone, dell’Asia meridionale.
Adolescenti e giovanissime vengono poi anche esportate nelle “sin cities” dell’India,
del Pakistan, della Malaysia, degli Emirati Arabi Uniti.
Tra la debolezza e l’abuso dell’autorità,
il margine è stretto. Dopo aver protestato con il povero Faysal nel centro-vendita
del chiosco, la maîtresse fulmina con
lo sguardo Shamoli, colpevole di aver abbozzato un breve colloquio
confidenziale con Hashi, sua “proprietà”. Concluso quel rapido contatto, la
tenace paladina rientra a casa. «È una bambina fortunata e lo sa bene. La
mamma, ancora giovane e bella, riesce a guadagnare abbastanza per poterla
mandare a scuola», a differenza di molte amichette del quartiere che, nella
precarietà totale, via via scompaiono. Ma lei, fra i banchi della classe, intravede
un arco reale oltre il muro, costruendo con la coscienza gli strumenti per
scavalcarlo al momento giusto.
La nostra scrittrice, a questo punto,
proprio evocando la bimba mentre sogna un destino benevolo (nel timore,
comunque, di vederne abbattute le ipotetiche basi da un istante all’altro), se
non fosse che coincide con un evento fatale diffuso nell’ambiente, come ricorrendo
a una sorta di deus ex machina,
inserisce nella trama una vicenda tragica. Queste bambine, quasi fossero
protagoniste di una fiaba maligna, anche loro, per sopravvivere, hanno bisogno
di eliminare intralci sull’iter percorso:
con ogni elemento possibile, da sole, o magari con l’aiuto di un alleato in
grado di comportarsi da creditore del beneficiario (la madre di Shamoli). Di
frequente, però, l’avversario ha la meglio, e nessuno riesce a infliggere danni
tali da isolarlo e ostacolarlo nel colpire in modo ulteriore la vittima.
Purtroppo la sventurata Hashi, all’esordio del cammino, senza alcuna negoziazione
capace di trasformare minimamente l’antagonista in complice, si toglie la vita
prima di aver saldato il debito inavvertitamente contratto.
Nella confusione, per strada, Shamoli si
ferma: «c’è un carro davanti a lei […] coperto dal lenzuolo macchiato di rosso.
[…] Da quel lenzuolo sporco ricade floscio fuori un braccio, un bracciale […]
il bracciale di pelle di vetro colorato» che, nel breve incontro con l’infelice
bambina le era stato regalato come mezzo di fortuna, di sollievo, per
combattere le avversità più crudeli.
Scritto con maestria. Il contenuto tocca la più profonda idea di esistenza complessa. Il riconoscimento che ha ottenuto è meritato e condiviso, la giovane età dell'autrice rafforza la speranza per un domani di pace universale.
RispondiEliminaHai ragione, Manuela, su tutto, ed è un giusto rilievo critico considerare la giovane età dell'autrice. Grazie da parte sua e mia.
RispondiEliminaBellissimo e amaro racconto! Sì, perché la bambina vive nella costante paura di un domani che potrebbe essere diverso dal presente, oppure non arrivare mai, come accaduto per la sua coetanea. Rosanna Sabatini
RispondiEliminaGiusto, Rosanna. Purtroppo, è la realtà.
Eliminaracconto attuale che dovrebbe farci riflettere su un mondo non così lontano da noi
RispondiEliminaProprio vero, Mapi. Un contesto molto più lontano.
EliminaIl racconto "Il bracciale di perle di vetro colorato" della giovane Enrica Donini è stupefacente, come l'attenta e superlativa analisi critica della Dottoressa Cinzia Baldazzi. Complimenti vivissimi.
RispondiEliminaGrazie, Sergio, da parte dell'autrice e mia.
EliminaDavvero un'eccellente prova letteraria, questa di Enrica Donini. La giovane e promettente scrittrice possiede la rara grazia di raccontare vicende le più disumane senza moralismi retorici, ma con fredda ed analitica, convincente e travolgente capacità evocativa. E giustamente, da par suo, la nostra Baldazzi commenta: "un'intelaiatura di presupposti non detti (essendo... inammissibili), piuttosto evocati quando... il riquadro aberrante... lascia presumere come essi si concretizzino e si perpetuino". I miei complimenti ad entrambe, Enrica e Cinzia, per l'autentico e prezioso gioiello letterario donato.
RispondiEliminaFranco Campegiani
Ti sono grata, Franco, per le tue parole.
RispondiEliminaCon il brano riportato, hai colto nel cuore del mio approccio critico: in particolare, a quella parte del racconto della Donini dove si elude di rendere esplicite alcune circostanze di base, che rischierebbero di contaminare le due bambine, e l'interpretazione del loro presente-futuro da parte del lettore. "Dicendo" ulteriormente che io ho sottolineato quanto la nostra autrice ha omesso di esplicitare, finalmente hai dato spazio aperto al "non detto", cuore semantico della story.
Grazie per la puntualizzazione.
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