Luisa
SANFILIPPO – La ragazza di Saint Louis (racconto breve)
mail-art di Vincenzo Sanfilippo
Alfredo
attende con trepidazione, dopo molti anni, il ritorno di Josephine. La sta
aspettando da circa quindici giorni, ma tarda a venire, sebbene sia già in
Europa ospite di amici. Solo lei - cittadina di Saint Louis - potrebbe recar
sollievo alla ingarbugliata esistenza di Alfredo, ritemprarne lo spirito,
alzargli il morale. Solo lei, calma e rassicurante immagine femminile, sarebbe
in grado di beneficiarlo della sua ambita presenza.
Di
Josephine gli affiorano alcune frasi dell’ultima lettera scritta in un
traballante, tenero italiano. Ogni tanto - lontano ormai dal pensare alla
comunicazione cartacea - la tira fuori quasi fosse una reliquia, e si sofferma
in alcuni punti:
“… mi
manchi, è sempre come primo… non voglio lasciare mia terra, famiglia, amici,
chiesa… e lo so che tu non puoi venire qui per tuo figlio piccolo e per tuo
lavoro pure. Sei troppo caro…una persona molto speciale… scrivimi quando puoi.
A me non dispiace se mi fa con computer pure… ti penso sempre con molto
affetto, con amore…”.
Con
amore, sei troppo caro, una persona molto speciale… Parole che ad Alfredo
pulsano di continuo nel cervello e che ritiene troppo impegnative, inusitate
per un tipo come lui. Ci riflette su e considera che con Josephine potrebbe
iniziare un nuovo capitolo della sua vita.
Lei
rappresenta la donna irraggiungibile, fuori dalla propria quotidianità. Ecco,
quotidianità. Forse è quello il pericolo che teme maggiormente.
Intanto,
nell’attesa tutto gli appare confuso ed estremamente complesso.
Persino
smanie e manie si raddoppiano, come quelle delle telefonate pomeridiane delle
ore quindici agli amici. Per Alfredo quell’ora è estremamente intollerabile,
come pure la sua costrizione, se pur momentanea, alla solitudine. Il rapporto
con il telefono, dunque, diventa simbiotico. Rapporto che qualche volta si
tramuta in odio profondo quando si trova a litigare violentemente con qualcuno.
In preda a un attacco isterico, scaraventa l’apparecchio per terra, ma se ne
pente subito dopo.
In
queste particolari condizioni psicologiche Alfredo aspetta Josephine.
I
dubbi continuano ad assillarlo:
“Sono
in grado di sapermi accattivare la simpatia, la benevolenza, l’arrendevolezza
di una donna?”.
Cerca
di dare valide giustificazioni all’insorgere di questi timori, attribuendoli al
periodo particolarmente difficile che sta attraversando. Ma l’immagine di lei,
che balza prepotente e imprime al proprio corpo un moto morbidamente
ondulatorio, fuga subito ogni dubbio o timore.
Era
bella, Josephine. Una falsa magra come piacevano a lui, una massa di capelli
neri, occhi seducenti. Così la ricorda. L’avrebbe persino sposata.
“Ma
ne sono del tutto convinto? Accidenti! Perché sono così complicato?”.
Si
tormenta per queste sue contraddizioni. Subito viene assillato da incertezze,
dubbi sulla sua sensualità.
Una
telefonata di Josephine gli annuncia il suo arrivo imminente.
Due
giorni dopo sono insieme, lui facendo ironiche osservazioni sul fisico di lei,
lei scherzando bonariamente per l’adipe formatosi nell’addome di lui.
Ciononostante mostrano molto entusiasmo, quello che normalmente accompagna i
primi incontri. Soprattutto Alfredo sembra aver ritrovato la sospirata
pacatezza. Sembra.
La
sua è un’illusoria, apparente serenità?
Dopo
appena una settimana di convivenza, lo spirito lievemente ritemprato di Alfredo
comincia a perdere il suo vigore. I dubbi che lo hanno tormentato stanno per
trasformarsi in certezze.
Ha
scoperto che con lei, come del resto era accaduto con altre donne, non c’è
nulla di imprevedibile. Tutto ripetitivo, niente di stimolante, nessuna novità.
Al
pari di certi personaggi brancatiani, “… se la donna è altrove, l’Eros ha per
oggetto soltanto una figura di donna immaginaria”. Alfredo l’ha molto
idealizzata, ha creato nella sua immaginazione un tipo di donna che non
corrisponde più all’immagine reale. Una donna con il suo bagaglio quotidiano
carico di improvvise accensioni colleriche, trasporti affettuosi, angosce,
fragilità, bisogno di amore... Di lei non riesce più ad accettare l’eccessiva
magrezza, gli occhi meno seducenti, i capelli non più voluminosi, la mentalità
non corrispondente alle sue esigenze intellettive. Alfredo, molto deluso,
comincia a rimpiangere i momenti insoliti della sua struggente attesa, il caldo
entusiasmo, i deliri del desiderio che per lungo tempo avevano preceduto il
nuovo, sospirato e temuto incontro con lei.
“Non
mi ami più? Non senti più nulla per me?”, gli chiede accorata Josephine, con
una dizione simpaticamente siculo-americana.
“Devi capirmi… è un periodo difficile… sono
uscito da una disastrosa relazione… Se tu fossi arrivata magari tra un mese…
sarebbe stato diverso…”.
Poi
Alfredo si autoconvince che l’unica soluzione per distaccarsene definitivamente
è quella di comunicarle la sua imminente partenza per un importante impegno di
lavoro.
Naturalmente
non parte, rimane ospite in casa della moglie, dalla quale è separato, dormendo
nella camera del figlioletto su un letto a castello.
Appena
svegliatosi, dopo una notte piena di incubi in cui si mescolano nel sogno le
fisionomie della madre che lo tiene in braccio come fosse un bambino, della ex
moglie che prende le sembianze della ragazza di Saint Louis, si sofferma a
guardare suo figlio con amore e tenerezza, mentre ancora dorme, come se lo
vedesse per la prima volta, determinando in lui la formazione della coscienza
morale del ruolo di padre.
Poi
ripensa a Josephine. Solo sentimenti di nostalgia, ma nessun rimpianto. Solo
una pulsione impetuosa terminata in un rapido e progressivo declino.
(c.b.) Apprezzando un componimento in
prosa, di frequente l’obiettivo coincide con valutarne lo stile espressivo e il
corpus delle notizie, il messaggio, equilibrandone in scala
personale (è ovvio, connessa alla realtà attuale del testo) l’ingerenza reciproca
di ruolo nella trama-intreccio. In termini critici, il messaggio una volta era definito contenuto: sebbene le due entità non siano equivalenti, poiché il
secondo raffigura solo un aspetto del primo, spesso, per utilità strumentale, concentro
su di esso l’importanza.
Quando ciò avviene, per complesso
contenutistico intendo anche gli
elementi, le tracce sentimentali, dunque
non un flusso eminentemente informativo: lo identifico, pertanto, con gli
indizi di un certo “sentimento dominante”, ossia con il carattere naturale, la vicenda
particolare, psichica e culturale enfatizzati dallo scrittore (in questo caso, scrittrice)
nell’opera analizzata, o meglio, nel piano della struttura semantica elaborata.
Per un motivo simile, leggendo La ragazza di Saint Louis della
Sanfilippo, sin dalle righe d’esordio sono stata indotta a costruire un livello
interpretativo adeguato a seguire il legame tra la story dei protagonisti (Alfredo e Josephine), la Weltanschauung dell’autrice (cioè l’idea
del microcosmo e del posto da noi occupato in esso), e le occasioni spirituali o
storiche (di taglio pure economico) del nostro tempo. In altre parole, il
racconto così recepito incarna l’attesa di concretizzare l’ambizione coraggiosa
di lasciare alle spalle la collettività di uomini impegnati a dedicare «la loro
vita a ripetere cose, gesti e comportamenti che chiamano abitudini», descritti
dal cileno Louis Sepùlveda in Storia di
una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza (2013).
Ma nel “fluire” di tale
aspettativa, presto delusa dalle scarse forze in campo e dall’alibi di scovare nella
novità orme indelebili del già vissuto, si impone essenziale e
vitale una siffatta pausa di segni e segnali in grado di espandere e inaugurare
un mondo analogo a quello risolto per Ismaele - emblema della matrice utopica
dell’Herman Melville di allora - in un’aura impietosa di totale relativismo: ovvero, in un eterno
ritorno del ciclo del fare umano per niente rassicurante, al contrario fautore
dell’annullamento di qualsiasi tentativo che nel nostro Alfredo «potrebbe recar
sollievo alla ingarbugliata esistenza (…) ritemprare lo spirito», alzare il
“morale”.
Adottando un lessico a metà
strada tra il ricordo e il presente percepito, l’intelaiatura narrativa del
brano si snoda di conseguenza, con peculiare riguardo alla semiotica del mezzo
di trasmissione telefonico (mezzo «simbiotico» e «intollerabile»), lungo iter realizzati
con funzionalità diretta e indiretta di brame e desideri, materiali o
immaginari, sinceri o velleitari al limite del lecito e dell’illecito. Il
tutto, comunque, sempre e per volontà idealizzato ed espresso grazie a
consonanze di lessemi e referenze di origine familiare, idonei a catturare interesse, solidarietà e immedesimazione:
ecco il protagonista considerare «che con Josephine potrebbe iniziare un nuovo
capitolo della sua vita».
L’input di passione trasgressivo,
ciononostante, è racchiuso non in una simbologia erotica travolgente - sarebbe oltremodo
ordinario - quanto piuttosto in insiemi di pertinenza delle “cose” transitate
in un codice linguistico e un periodare intensi, soffusi di allusioni
suggestive, all’altezza di attrarre e garantire piacere emotivo e dei sensi, carichi
in misura elevata di gratifiche responsabili e unanimi. Infatti, l’uomo indugia
su «alcune frasi dell’ultima lettera scritta in un traballante, tenero
italiano»: «Con amore, sei troppo caro, una persona molto speciale…». Una
coesione paradigmatica, quindi, colloquiale, nell’area semiologica affettiva; eppure,
appunto per questo, sono «parole che ad Alfredo pulsano di continuo nel
cervello e che ritiene troppo impegnative, inusitate per un tipo come lui. Ci
riflette (…) Lei rappresenta la donna irraggiungibile, fuori dalla propria quotidianità».
Ma per quale ragione tali unità
di veicoli e messaggi così classiche,
a dispetto della chiara bellezza evocativa, spaventano il maturo spasimante? Magari
perché - e Luisa Sanfilippo ne è ben consapevole - i valori fondamentali non
sono generati dai fenomeni, dai sentimenti, dalle relationship in sé, ma dalle conseguenze, dagli esiti da esse
imposte. In sostanza, se in principio amare una lady del Missouri lasciava intravedere un gioco di qualità contrastanti
avvincente ed estraneo al ritmo “quotidiano” («Quotidianità. Forse è quello il
pericolo» che il personaggio «teme maggiormente»), nel procedere, poi, i
passaggi dall’hic et nunc oggettivo ai
significati presupposti non si compiono come previsto, o secondo
un’attendibilità rassicurante. Persino nell’attesa, «tutto gli appare confuso
ed estremamente complesso».
No, Alfredo non rimane deluso
dall’incontro, né interrompe la programmata convivenza perché «di lei non
riesce più ad accettare l’eccessiva magrezza, gli occhi meno seducenti, i
capelli non più voluminosi, la mentalità non corrispondente alle sue esigenze
intellettive». «Smanie e manie» ossessive, invece, raddoppiandosi, stabiliscono
un segnale di singolare ricerca di conforto in cui il dinamismo delle angolazioni
sentimentali ed esistenziali del protagonista trova, infine, il punto focale
negli albori associativi della società umana: l’unione famigliare formata dalla
moglie (anche se ex), il proiettarsi progressivo infantile, molto saldo se rinnovato
nel vissuto di un figlio dove i limiti dei gesti reiterati e delle consuetudini
alienanti non esistono ancora.
Attenzione, però: non penso a una
fuga nell’infanzia felice e idilliaca, in quanto, come Oriana Fallaci ribadiva,
la vita dei bambini spesso è una battaglia perpetua, con momenti di gioia
pagati a caro prezzo. Completo queste note critiche su La ragazza di Saint Louis citando una riflessione di Ennio Flaiano
dal romanzo Melampus (1970), assai
confacente all’atmosfera del racconto, tale da suggerire il movente autentico
capace di spingere Alfredo nel rifugio conclusivo della sua avventura: «L’amore
non può nascere che dall’oscuro desiderio che è in noi stessi di ripetere le
sconfitte infantili. L’amore comincia quando ci accorgiamo di aver sbagliato
ancora una volta».