Cinzia BALDAZZI – Francesca Peronace e i Sentieri nascosti di donne
Francesca
Peronace
Sentieri
nascosti di donne
Macerata,
Edizioni Simple, 2020
pp.
116, € 14,00
Essendo una donna, leggere un libro creato
da una rappresentante del mio genere, inoltre
rivolto ad affascinanti figure - famose o sconosciute alla maggioranza -
avrebbe potuto comportare un esercizio critico difficile da mantenere su un
piano di ampia serenità di giudizio, così com’è giusto sia quando la lettura
non intende offrire un poco utile, esplicito criterio di piacere o dispiacere rispetto
al testo: piuttosto, lo scopo sarebbe di delinearne una ipotetica mappa ermeneutica
essenziale, magari proficua per molti. Affinché ciò accada, l’esegesi proposta
non deve lasciarsi totalmente persuadere da attitudini di gusto naturali o storiche
scontate: in procinto di sfogliare le pagine, l’incipit utopico di valutazione dovrà coincidere - per uniformarsi
all’atmosfera matematica preminente nell’intera opera - con uno “zero”
comune di partenza alimentato da scelte certo di indole soggettiva, però motivate
da una cultura in progress, non
condizionata.
Ebbene, a questo punto posso affermare di
aver apprezzato i Sentieri nascosti di
donne di Francesca Peronace non perché sia collegata anche io all’estesa famiglia
femminile, bensì in quanto tra le righe ho individuato messaggi etici, intellettuali,
operativi, scientifici, di fratellanza, appartenenti a “sorelle” fautrici assolute
della Natura, se non della Società.
Tra le dèe dell’epoca antica ho sempre amato
Atena (in attico Ἀθηνᾶ, Athēnâ), l’icona greca della
sapienza, dell’ars, della strategia
in battaglia, che vorrei credere paladina
in particolare delle scienziate raccontate dalla Peronace, ossia Maria Gaetana
Agnesi, Mileva Maric’ e Marie Sklodowska Curie: ma soprattutto di Ipazia di
Alessandria (cui la scrittrice dèdica un’appassionata apertura): la sua breve
vita si svolse tra il IV e il V secolo d.C., in un’èra di tramonto delle
divinità classiche e di pieno dominio del Cristianesimo.
Di Pallade (Παλλάς Ἀθηνᾶ) troviamo testimonianza
primaria su una tavoletta micenea in lineare B, Atana potinija, mentre l’epiteto più arcaico, quello omerico, corrisponde
a “Glaucopide”, cioè “dagli occhi verdeazzurro” come la civetta, emblema adottato
per indicarla poi sulle dracme ateniesi. In ogni caso, l’ammaliante dèa dell’Olimpo
proteggerebbe tutte le protagoniste dei sentieri percorsi dalla nostra autrice (incluso
l’eccezionale genio matematico Evariste Galois, unico uomo inserito nel libro).
Del resto Minerva (il suo nome latino) per un verso possiede prerogative schiettamente
muliebri, per l’altro esibisce in grande misura propensioni mascoline, poteri attribuiti
all’uomo dalla tradizione.
La vergine, abitante dell’altissima montagna
della Grecia (tra la Tessaglia e la Macedonia), che non subisce il giogo del
matrimonio né ha esperienza dell’incontro sessuale, nasce da Zeus senza bisogno
nemmeno di una madre, tanto vuole sembrare libera dai pesanti legami ancestrali
correlati alla γυνή (ghiuné) nella famiglia: secondo il mito, Zeus sposò Metis, la
Sapienza, per inghiottirla, rilevandone quindi l’intelligenza; al momento propizio,
Efesto frantumò la testa del dio con un colpo di scure e da lì balzò fuori la Dèa,
già adulta e ben armata.
Ringraziamo Francesca Peronace per aver dato
“voce da donna” alle donne, in linea con l’indimenticabile Gaspara Stampa allorché
raccomandava con sapienza alle sue lettrici femminili le grazie di un illustre
signore: «Ma, s’ella è donna, non s’affissi
molto, / ché resterà subitamente presa / fra mille meraviglie del volto». Simili versi ben si addicono al racconto
dedicato da Francesca all’avvocato Ortenzia, uno dei quattro personaggi
femminili (insieme a Carmela la sarta, Anna l’insegnante, Samantha la
ballerina) «di pura fantasia, che
esercitano i mestieri più disparati, che hanno vite differenti e collocate in
ambienti diversi, anch’essi di fantasia».
Nel cuore della narrazione, leggiamo di un abbraccio meraviglioso, affidato da
Ortenzia alle parole di Pablo Neruda: «Altre volte ancora un abbraccio, se silenzioso, / fa vibrare l’anima
e rivela ciò che ancora non si sa / o si ha paura di sapere. / Ma il più delle
volte un abbraccio / è staccare un pezzettino di sé / per donarlo all’altro /
affinché possa continuare il proprio cammino meno solo».
Leggendo le storie della Peronace, il pensiero va all’inglese Henry
Moore, conosciuto per le sculture in bronzo semi-astratte di rilevanti
dimensioni (accolte come opere d’arte pubbliche): nel suo macrocosmo,
ovviamente di chiave maschile, ha voluto acquisire come leitmotiv l’archetipo materno dei dolmen. Il dolmen è una tomba
megalitica preistorica a camera singola la quale, insieme al cromlech (come a Stonehenge) e al menhir, costituisce l’esempio più noto
tra i monumenti megalitici. La realizzazione dei dolmen viene collocata nell’intervallo di tempo tra il V millennio a.C.
e la fine del terzo, e nello schema si
intravedono i temi fondamentali dell’essere madre nel suo habitat naturale, il cielo, la terra verde, la pietra: «Il cielo
rimanda a qualcosa di sacro, al miracolo della vita», scrive la studiosa
Roberta Franchi, «la terra è il simbolo cosmico del grembo materno, della
fecondità; la pietra sta a indicare che la maternità radica l’individuo, è la
cava da cui ogni essere viene alla luce».
Il lessico delle testimonianze romanzate dalla Peronace risulta molto intenso
e, in Elisa e Gianna (due donne una
storia), quando la protagonista dichiara «Mi sento svuotata, i sogni, le
speranze, i progetti, la vita mi si sbriciolano tra le mani», in un primo momento soffriamo
con Elisa, in seguito comprendiamo che, comunque sarà l’epilogo della vicenda contenuta
nel diario, la facoltà di mettere al mondo altre creature - sulla quale si sono
misurate filologia, filosofia, biologia, mito, teologia - rappresenta uno dei
pochi valori indiscussi dell’iter umano:
per rimanere in ambito pre-storico, pensiamo allora a Çatalhöyük e Hacilar nell’Anatolia
centrale, i cui siti neolitici suggeriscono la presenza di potenti figure
femminili, di γυναίκες (ghiunaikès) all’altezza
di giocare un ruolo consistente nell’immaginario religioso della comunità.
Nelle note introduttive a Sentieri nascosti di donne l’autrice
dichiara: «Ancora oggi, malgrado molte donne
occupino ruoli di prestigio, si parla al maschile». Dopo aver apprezzato gli
esempi in parte storici, in parte alimentati dal mito, in parte di pura
fantasia, vorrei dedicare a Francesca Peronace la vicenda della mitica Gaia.
Ricordate Esiodo? Tra gli esametri di Teogonia ecco Gaia, «che in principio generò, uguale a sé, / Urano stellato,
affinché l’avvolgesse tutta intorno».
Effigie assai complessa, quella di Gaia, essendo capace di riprodursi lontana
dall’apporto del maschio in una fase ancora contraddistinta dal Caos. Unita a
Urano, in breve è costretta a rivoltarsi all’abbraccio insaziabile del compagno:
«Uguale a sé»,
poiché, precisa Roberta Franchi, «i
figli procreati, presi in odio dal padre, non vedono la luce nel suo seno, ma
sono respinti nelle sue profondità».
Stanca e addolorata, la dèa fabbrica una falce tagliente per consegnarla ai Titani
con l’obiettivo di servirsene ai danni del genitore. Crono, il più ambizioso,
lo colpisce ai genitali nel sonno, prendendone poi il posto. L’episodio è narrato
da Esiodo con una dovizia toccante di dettagli, parallela al tormento di Gaia,
espressione della fatica sopportata da questa figura divina durante il travaglio
causato dal globo terrestre nel concepire le due entità radici del Cosmo: quasi,
agli inizi, il Cielo virile volesse tenere compressa sotto di sé la Terra
femminile. A dispetto dell’evirazione di Urano, Gaia continua a generare: dietro
suo suggerimento, Zeus è nominato sovrano supremo e, come già accennato, dalla testa
scaturirà Pallade Atena, protettrice delle scienze, delle arti, delle lettere,
nonché del coraggio.
Sigmund Freud, in un viaggio a Roma, ne acquisterà
una miniatura per collocarla nella collezione casalinga di antichi oggetti artistici
ed ex voto, ma la statuetta conservata dal padre della psicoanalisi non è
uguale al monumento imponente che domina la Ringstrasse a Vienna: quest’ultima
tiene una lancia nella mano sinistra e nell’altra una piccola Nike, mentre al souvenir
acquistato in Italia manca la lancia, perduta per l’usura del tempo. Priva dell’asta,
identificata come simbolo fallico, la divinità della conoscenza e della guerra
viene giudicata da Freud perfetta, ineccepibile in quanto non contaminata da
connotati mascolini.
In omaggio alla scrittura di Francesca
Peronace, concludo citando la personificazione di Atena nel Pilade di Pier Paolo Pasolini, una sorta
di sequel ideologico dell’Orestea
di Eschilo dove si ipotizza il ritorno ad Argo del figlio di Clitennestra e
Agamennone dopo il proscioglimento all’Areopago. Una celebre mise en scène del lavoro avvenne nella
cava del teatro greco di Taormina nel 1969. Nell’Orestea originale eschilea,
Atena tiene sotto controllo le Erinni (personificazione femminile della
vendetta) e le converte in figure benevole, istintive, ataviche, sottraendole alla
struttura informe della Natura, allo stravolgimento dello status quo. Pasolini costruì una lettura personale del μύθος (miùthos) accentuando il ruolo razionalista di Atena nella
creazione delle istituzioni moderne e in particolare della prima
assemblea democratica.
Dunque, nonostante la storia sia stata raccontata
da due uomini, a distanza tra loro di quasi duemila anni, siamo in presenza di
un messaggio inequivocabile e suggestivo, che potrebbe fare da sigla al lodevole
lavoro di Francesca Peronace: la società attuale è nata da una donna.
Francesca
Peronace
è nata a Catanzaro Lido, vive e lavora a Roma.
Laureata in
matematica, poco più che ventenne ha cominciato a insegnare e ha proseguito
fino all’età della pensione.
Ha
conseguito le abilitazioni in Matematica, Matematica applicata, Fisica,
Informatica gestionale e sistemi. Ha svolto attività di formatrice ai corsi TIC
A e B per i docenti ed è stata responsabile degli ECDL.
È stata
esaminatrice nei concorsi a cattedra, docente in numerosi corsi abilitanti, più
volte Presidente di Commissione agli esami di maturità.
Sentieri nascosti di donne è il suo primo libro.