Marco CAMERINI - In memoria di Amos Oz
“È scomparso uno scrittore straordinario, voce
unica della Letteratura israeliana insieme a Abraham Yehoshua. A poche ore
dalla morte, vogliamo ricordarlo con la recensione di Giuda, il suo libro forse più bello”. (m.c.)
“Tante persone sono oggi furiose con i musulmani. Non
dobbiamo però dimenticare che quanto è successo a Parigi ha prima di tutto a
che fare con i fanatici e non con i musulmani. Nel mondo islamico persiste un
forte sentimento di frustrazione, rabbia, un profondo senso di sconfitta e
umiliazione. Solo i musulmani potrebbero e dovrebbero provare a confrontarsi
con questi sentimenti e cercare di guarirli”.
Queste parole, tratte da un’intervista rilasciata al “Corriere
della Sera” l’11 gennaio 2014 da Amos Oz, appaiono quanto mai opportune per
iniziare a parlare di Giuda (Feltrinelli, 2014): un bellissimo
romanzo – bastava molto poco perché lo definissimo il suo più suggestivo e
profondo…chiariremo quel “poco” – che nei drammatici fatti di Parigi ha trovato
un motivo in più per essere letto ed apprezzato. Semplicemente, l’ideologia che
lo sostiene, le motivazioni letterarie che alimentano l’intreccio riflettono la
posizione degli intellettuali israeliani più moderati ed equilibrati (Yehoshua
fra tutti, si rilegga L’amante) di
fronte all’integralismo armato jihaidista.
Sullo sfondo di una Gerusalemme umida e polverosa,
densa di profumi speziati e intriganti, per lo più notturna ma improvvisamente illuminata
da albe sul Sinai e rinfrescata da brezze terse e rigide (una presenza pulsante
del libro, magnificamente descritta) si incontrano, nel 1959, i destini
misteriosi del colto Gershom Wald, dell’affascinante nuora Atalia e del timido
studente Shemuel Asch, che ha interrotto i promettenti studi universitari
ferito nei suoi sogni politici ed affettivi, lontano da una famiglia in
dissesto e alla ricerca di un momentaneo impiego. Lo troverà assistendo Wald,
in una casa dove si aggirano i fantasmi drammatici di un passato che lega
disperatamente l’anziano alla sfuggente donna e ha il volto di due straordinari
“protagonisti in assenza” (per ricorrere ad una definizione narratologica) che
non cessano un attimo di tormentare i vivi, incapaci a tratti di considerarsi
tali: Micah, il marito di Atalia e figlio del vecchio (precocemente morto nel
conflitto arabo-israeliano del ’48) e Shaltiel Abrabanel, padre di Atalia.
Il “muezzin” che, nel pieno della guerra
d’Indipendenza del ‘47-‘48 – fermamente convinto che la decisione di fondare
uno stato ebraico senza l’avvio di un dialogo costruttivo con i Palestinesi
fosse uno sbaglio – lascia il Comitato sionista, in disaccordo con “il
sognatore Ben-Gurion, il pifferaio magico che ha condotto tutti al massacro. Al
macello. Alla cacciata. All’odio eterno fra due comunità”. E sarà quest’ultimo,
“ateo, come tutti i socialisti sionisti”, presidente sino al ‘48 dell’Agenzia
ebraica – governo ombra degli ebrei residenti in Palestina sotto il mandato
britannico – il promotore vincente, sino al 1963, della politica israeliana e
delle sue aperture alle potenze occidentali anti-arabe.
Il delicatissimo conflitto lascia, grazie alla
sapienza narrativa di Oz, il macrocosmo della Storia per riprodursi nel
microcosmo, a tratti claustrofobico, di silenzi carichi di rancore, di stanze
assorte dove un genitore e una moglie vivono accanto in nome dell’amore per la
medesima persona, più forte, alla fine, delle convinzioni culturali e politiche
dell’ebreo Wald e della “figlia dell’Arabo” Atalia, che sulle alture di
Gerusalemme ha perso l’uomo della sua vita, prima che constatare il fallimento,
nell’ignominia, delle idee di un padre (inconsciamente) amato.
Chi è il traditore? Che significa tradire? Perché è
questo il tratto che salda, in Giuda,
la dimensione storico-politica a quella religiosa. “Chi è pronto al
cambiamento, chi ha il coraggio di cambiare, viene sempre considerato un
traditore da coloro che non sono capaci di nessun cambiamento” sostiene
Shemuel, parlando dei suoi studi su Giuda: il colto e intelligente possidente
della città di Keriot – unico fra gli apostoli a non essere originario della
Galilea – inviato dalla casta ortodossa gerosolimitana per infiltrarsi fra i
seguaci del Nazareno, ne diviene il più fervente discepolo, strumento
consapevole di un tradimento necessario, maturato non certo per
l’insignificante compenso di trenta denari (la paga mensile di un suo
salariato) ma per la sopravvenuta, esaltante fiducia in un progetto di
redenzione universale dell’uomo.
Ed è in nome di questo che incoraggia e sostiene “il
vero e unico figlio di Dio”, Gesù, “nato e morto ebreo”, fedele alla Torah,
certamente riformatore “fondamentalista” e fautore del ritorno a un ebraismo
primitivo, depurato dalle ridondanze spirituali di Farisei e Sadducei, secondo
l’ipotesi della tesi di laurea mai conclusa e suggestivamente maturata sulla
scorta di una bibliografia che va da Giuseppe Flavio a Yehuda Halevi, da
Maimonide a Nahmanide (è il terzo tradimento, quello del talentuoso studente
avviato alla carriera universitaria nei confronti dei suoi professori e della
famiglia).
Giuda come Abrabanel, allora, traditori per la Storia – contingente e
soprannaturale – banditi dal consesso umano dei Templi e delle Convenzioni
internazionali da una damnatio memoriae
che l’ambizioso libro di Oz sembra voler interrompere nel nome della tolleranza,
sola capace di riavviare il confronto fra Ebrei e Cristiani (“Fintanto che da
loro ogni bambino continuerà a succhiare con il latte della madre il fatto che
esistono delle creature che hanno assassinato Dio non conosceremo pace”
confessa Wald), Arabi ed Israeliani, il presente angoscioso dei personaggi e un
trascorso di rimorsi e rimpianti con il quale la partita è aperta.
È nelle corde dell’autore e (probabilmente) non poteva
mancare la componente sentimentale, che egli ha saputo sempre affrontare con
miracolosa abilità, sondando i meandri più intimi della passionalità,
particolarmente all’interno dei rapporti di coppia: stavolta – forse perché
sovrastata dalle tematiche cui abbiamo accennato – ci sembra l’anello debole
del tutto. Sarà la doverosa speranza che uno dei massimi scrittori contemporanei
ci regali una storia ancora migliore o altro, comunque proprio la vicenda
d’amore, nella sua prevedibilità, lascia delusi…nessuna “scatola nera”, tutto è
abbastanza chiaro sin dalle prime pagine, come sempre formalmente ipnotiche e raffinate,
nell’apparente semplicità strutturale di dialoghi e descrizioni.
Certamente Amos Oz sa “narrare” e il monologo di Giuda
(cap. 47) insieme alle sorprendenti pagine 209-213, sulle quali non sveliamo
volutamente nulla, ne sono un nitido esempio che non mancherà di emozionare il
lettore.
Nessun commento:
Posta un commento