Nei locali di Lettere Caffè, a Roma, il
22 dicembre alcuni poeti si sono dati appuntamento per un reading nel
segno della compresenza e della coesistenza tra pittura, poesia e musica. In
qualche modo, l’incontro ha inoltre anticipato la serata del prossimo 9 gennaio,
quando Maurizio Pochesci presenterà la pubblicazione Versi e colori sulle
orme del tempo, una sorta di calendario
2018 scandito da versi e quadri ispirati alle stagioni.
All’incontro del 22 hanno preso parte
Donatella Calì, Mapi, Claudia Monteiro de Castro, Nicola Foti, Fabrizio
Trainito, Arduino Cialli, Angelo Mancini, Concezio Salvi e lo stesso Pochesci.
In apertura ho letto un breve intervento, che riporto qui di seguito. Poi, in
sintonia con i sentimenti legati alla Natività, e appunto per festeggiarli, ho
presentato ciascuno dei poeti attraverso alcune leggende natalizie che mi hanno
direttamente o indirettamente suggerito.
Nell’opera
teatrale Vita di Galileo, Bertolt Brecht
mette in scena il personaggio di Andrea Sarti, figlio della governante dello
scienziato. Divenuto un giovanotto, Sarti lo assiste fino al processo e
all’abiura. Quando lo vede uscire affranto dal tribunale, Sarti esclama: «Sventurata la terra che non ha
eroi! ». E lo
scienziato ribatte: «No! Sventurata la terra che ha bisogno di eroi».
Lo
scambio di battute torna alla mente in questi giorni natalizi, e richiama un’altra
considerazione, di probabile derivazione dialettico-materialistica, o forse
anch’essa brechtiana. Ne parlavamo all’università, e io incredula ascoltavo gli
studenti dell’ultimo anno: «Beato quel popolo che non ha necessità di attendere e
di godere delle feste».
In
effetti, le trovavo parole senza senso. Pur facendo parte di una classe
medio-borghese, alla fine degli anni ’70, il Natale, il Capodanno e la Befana
li aspettavo, eccome: per ricevere in dono un paio di scarpe eleganti, per
gustare il preziosissimo panforte, e poi la tombola, i fuochi d’artificio.
Arrivato
il 7 gennaio, però, non lo nascondo: ero contenta. Forse influenzata dagli
slogan anti-consumisti della Sapienza di quegli anni, o magari perché preferivo
ritornare alla routine giornaliera dove, in effetti, in una misura ovviamente
contenuta, non mancavano, all’occorrenza, scarpe, dolci, cibi ben cucinati dalla
nonna. Il tutto, questa volta però, al di fuori di una dimensione di culto che
a me, giovanissima, risultava stressante e meritocratica: ad esempio, cosa
indossare di bello davanti a mia cugina, come relazionarsi con i parenti visti
raramente, sopportare con pazienza pasti di durata infinita.
Una
tale idea di festa veniva accolta
all’interno di una collettività che viveva e vive di lavoro, e non certo nell’esistenza
quotidiana dei capitalisti, dei grandi imprenditori, dei ricchi. E mi
permetteva di godere di cose per le quali dovevo attendere di nuovo un anno,
perché ovviamente, al contrario dei capitani d’industria, per i miei parenti il
presunto lusso non era all’ordine giornaliero.
Lusso
di che? Non alludo, è ovvio, a generi costosi, relativi a un piccolo-grande investimento
di capitale per ottenerli: ma solo a oggetti e ritualità con un di più rispetto al letterale-materiale
di tutti i giorni, che pertanto era opportuno rimanessero saltuari.
Non
sarebbe quindi buon segno, avere necessità che giungano le ferie, le vacanze,
il riposo settimanale oppure quello estivo, né dover attendere che si rinnovi la
nascita del bambinello per festeggiare la famiglia, la bontà, la pace.
D’altra
parte, il concetto di festa, nei secoli, nei millenni, è sempre stato legato
anche a un significato evolutivo, accrescitivo e profondamente spirituale. Nell’antichità
greca e romana - con tutto il rispetto per le elleniche, assai più
”controllate” di noi - il periodo delle cerimonie religiose o dei giochi era il
più propizio all’espressione dell’identità interiore della donna nella vita
cittadina e, nei limiti consentiti, alla sua figura nella collettività. Le
Baccanti si radunavano sul monte Citerone nel periodo delle feste dionisiache,
abbandonando i mariti, i figli, la casa. La ricorrenza, l’anniversario, per noi
coincideva con il trasgredire l’ordinario, seppure con il consenso del sistema.
I meccanismi riprodotti nei giorni feriali venivano interrotti nel giorno della
festa, le regole saltavano.
Su
quest’aspetto fortemente trasgressivo, e allo stesso tempo limitativo perché
circoscritto nel tempo, si è dunque discusso molto. Perché una Giornata della
Donna nell’arco di un anno? E gli altri giorni?
Penserete
che io abbia dimenticato il nostro incontro di poesia. Ma, vi assicuro, non è
accaduto, e ora comprenderete perché. Pochi giorni dopo l’8 marzo, esattamente
il 21, si celebra la Giornata Mondiale della Poesia, istituita dall’Unesco nel
1999. La data segna anche l’inizio della primavera.
Il
discorso è analogo: la festa è un’occasione di discontinuità nel tempo,
definisce un prima e un dopo. Si è avvertito il bisogno di interrompere
lo scorrere del tempo e la quotidianità degli eventi con un momento di celebrazione,
di gioco, di rito collettivo. Anche se solo per poche ore, dall’alba al
tramonto, il pensiero fisso è la poesia: riconosciamo all’espressione poetica
un ruolo privilegiato, affidiamo ai versi la promozione del dialogo e la
comprensione tra le culture, apprezziamo attraverso le strofe la diversità
linguistica e culturale.
Se
oggi siamo qui, come tante altre volte, ad esempio il prossimo 9 gennaio, è
perché siamo convinti che la poesia non dovrebbe richiedere feste per essere
celebrata, dal momento che è luogo fondante della memoria, base di ogni altra
forma della creatività letteraria e artistica, legata alle origini con la
musica, intrecciata con la danza, imparentata con il teatro, affiancata spesso
alla pittura, come oggi in questa sala.
Sempre
tutti insieme.
Nel
Frammento 148, Saffo scriveva:
È la ricchezza,
se virtù non l’accompagna,
malsicura assai compagna.
Se invece insieme
L’una unita all’altra sta,
eccoti il sommo di felicità.
* * *
La poetica di
Donatella Calì nella vita reale è alla ricerca di una teoria imperfetta della conoscenza, ingrediente sia pittorico che
poetico: protagoniste sono le allegorie da lei tracciate sul sentiero interiore
dalla simbologia poetica, e quelle identificate nella sua pittura, tra ombre e
maschere. Le ho associate alla leggenda delle Ghirlande. Alla vigilia, quando
Gesù scese a benedire gli Alberi di Natale, notò che l'albero di una casa era
coperto da ragnatele, tessute da strani ragni. L’imperfezione lo turbò e, per
annullarla, benedisse l’albero trasformando le ragnatele in bellissime
ghirlande d'oro e d'argento.
LA PIOGGIA D’APRILE
di Donatella Calì
Non ti sei accorto?
Oggi la pioggia ero
io,
noi e il tempo
dileguato,
perso nei miei occhi
persi nel fango
La pioggia ero io,
ero l‘acqua che
bagnava le tue mani,
scivolavo dal tuo
ombrello blu
cadendo sul tuo
volto,
piangevo con i tuoi
occhi.
Pioggia di Aprile
come frammenti di specchi
Luccicanti… penetranti,
come piccole lame
attraverso la mia pelle.
Mille visi riflessi,
colorati dalle luci
della sera,
in un mondo senza
sonno.
L’acqua cancella le
impronte
dei miei passi e dei
tuoi.
Hai visto
galleggiare il mio cuore,
era dentro una
pozzanghera rosso sangue
mentre ti voltavi e
andavi via.
* * *
Con Concezio Salvi,
ricordiamo le leggende relative all’abete, uno degli alberi dal giardino
dell'Eden. Nella sua Cabbia di Montereale, insieme io e lui abbiamo cercato,
nei boschi, la risposta dei suoi piantoni. Tale poetica può anche essere
rivolta a un’altra leggenda: Adamo portò un ramoscello dell'albero del bene e
del male dall'Eden, e più tardi divenne proprio l'abete usato per l'albero di
Natale e per la Santa Croce. Consideriamo anche il danese Hans Christian
Andersen, con la storia del piccolo abete il quale non vedeva l’ora di crescere
per diventare grande e bello come quelli intorno. Voleva andare via anche lui,
al pari degli alberi maestosi tagliati e caricati sui carri dai boscaioli.
Sarebbe arrivato anche il suo turno?
IL PERO INVERNALE
di Concezio Salvi
Nella bruma
invernale il pero aspettava
tra poco passava
l’amico cinghiale
gli avrebbe donato
succosi frutti
ricevuto in cambio
saggezza e parole
dallo stradello da
nebbia celato
sarebbe spuntato
quel grugno ferino
di fiero guerriero
davanti due spade
usate soltanto come
difese
ma quella notte
l’amico non venne
dalla mattina era
già morto
per il piacere
d'uomini stolti
divenuto ammasso
racchiuso in
salsicce.
* * *
Nel contesto per
così dire programmatico di Mapi, i versi sono il nostro stesso cuore, con
dolore, sogni e speranze. Una volta, del resto, confermando la misura in cui,
ricorrendo al linguaggio delle metafore, la poesia le sia vicina nella vita, l’autrice
ha affermato: «Quando il cielo è buio e senza luna, quando le stelle
brillano solo nel mio cuore». Associamo il suo universo poetico alla leggenda di
Altea, una bambina messicana la quale, non avendo alcun dono da portare a Gesù,
raccolse le frasche cresciute ai bordi della strada, portandole in chiesa.
Mentre pregava vicino all’altare, le foglie si trasformarono in una pianta
meravigliosa con foglie verdi e rosse: era nata la famosa Stella di Natale.
LE SCALE DEL TEMPO
di Mapi
Mi siedo qui
sulle scale del
tempo,
osservo ricordi
sbiaditi
come in un film
muto,
immagini saltellanti
diventano corpi
impazziti
Condannata a
quest’unica anima,
coraggiosa,
ritorno all’inizio.
Tutto è favola, leggenda
non puoi voltarti
indietro
ma la mente corre
e si siede immobile
al centro,
scorrono città e
paesi,
gente ora
sconosciuta.
Dalla mia scala del
tempo
penso:
ero felice
in quella mia vita!
La mente
gira intorno ai
ricordi
li abbraccia
in quell’intima aria
dove non sono ancora
donna,
dove una storia
finisce
e non ne incomincia
un’altra.
Non so da dove
vengano le cose
Ne’ dove vanno,
forse verso
quell’inclinazione
dove rapida è la
discesa
dove l’anima si
fonde
col piacere
e col dolore
dove una storia
finisce e ne comincia un’altra
dove la conoscenza
apre le sue ali.
* * *
Leggendo le poesie
di Arduino Cialli, può accadere di assaggiare un bastoncino di menta, a
strisce: bianche come la purezza, rosse come il sangue di Cristo, usato nel
Vecchio Testamento per purificare e sacrificare. Una sorta di vecchia volpe
d’argento, che, grazie al poeta, al contrario, scampa al sacrificio e alla
morte. Gesù la morte l’ha cercata, l’ha voluta, per tre volte il suo amico
discepolo lo ha rinnegato. Ho sempre immaginato che Pietro non avrebbe ripudiato
il nome di Cristo per codardia, bensì per cercare di salvare l’anima della Chiesa:
infatti, il Signore non lo priva della guida del suo gregge, perché lo aveva
già scelto a questo scopo. Come la volpe d’argento di Arduino, che si nasconde
dai cani e dai cacciatori assassini: salvando se stessa, conserva la propria
specie.
VOLPE D’ARGENTO
di Arduino Cialli
Le tracce si
perdevano presso la palude
Ben cento segugi si
erano lanciati
All’inseguimento di
Silver Fox
Gemiti di rabbia - è
ciò che illude
Svanita nel nulla;
restavano ora, solo i latrati
Degli infangati
cani, sul verde prato del Rainbow-Box
Scosso e pensoso,
tornai di notte a meditare
Presso il canneto,
dove d’un lampo eri volata via
Una luna tronfia di
luce gelida, faceva la spia
Alla mia alma, che
sulla tua bionda coda cercava di arraffare
Uno spiraglio di
suono. Una comunicazione
Un epitaffio, una
recondita considerazione
Il mahantra di un
Budda misericordioso
Per un continuo
anelito, che non mi dà riposo
Non lo comprendo e
non so darmi ragione
Fra le mie cose
intime che gran confusione
Solo una cosa
chiara, lucida al contempo
Si staglia nella
nebbia questo mio sentimento
Or tra le canne
tremule, titillate da un verme imbroglione
La tua sinuosa
immagine, si erge quasi a visione
… recito i miei
versi inutili, le sillabe scandendo
Tu, sei celata,
anonima, dolce Volpe d’argento.
* * *
Nel microcosmo della
nostra Claudia Monteiro de Castro è svelato che nel mondo girano ancora poeti,
cantori vagabondi, i quali non cercano l’assoluto astratto ma il cuore
dell’umanità. I versi hanno anche il potere di aumentare la sensibilità della
gioia del vivere e della conoscenza, osservando l’esperienza. In un paragone
utopico, è quanto ha fatto il piccolo pettirosso di Betlemme che divideva la
stalla con la Sacra Famiglia. Accortosi di notte che il fuoco si stava
spegnendo, disorientato, non potendosi appellare a nessuna trascendenza, decise
di tenere viva la brace con il movimento delle ali, per tenere al caldo Gesù
bambino. All’alba, l’uccellino esibiva un bel petto rosso brillante, simbolo
dell’amore vitale.
TI RACCONTO UN SEGRETO
di Claudia Monteiro
de Castro
Di una cosa son
sicura:
ci sono ancora i
poeti
a vagabondare per il
mondo.
Magari mascherati,
in borghese,
(credevi che si
facessero
riconoscere
facilmente?)
Si nascondono i
poeti!
Se vuoi scoprirli
cammina piano,
alza lo sguardo,
prima o poi li avvisterai.
Vedi quell’uomo
disteso sull’erba?
Insegue anafore e
prosopopee!
E quella donna
pensierosa
che sorseggia il suo
caffè?
Sta cercando di
afferrare
la metafora
perfetta!
Non lasciarti
ingannare!
Pensavi che in
questo mondo
la poesia fosse
svanita?
Vedrai, prima di
sera
migliaia di pagine
saranno riempite di
parole.
Guardati intorno,
fiuta con cura.
I poeti sono
dappertutto,
in questo mondo così
complesso.
Forse ce n’è uno che
stai leggendo
proprio adesso.
* * *
Nella poetica di
Angelo Mancini è come se, nella sua giostra carnascialesca, che poi è la
giostra della vita tutta, rivivesse la vigilia di Natale del vecchio Scrooge
dickensiano, il quale, tra il bene e il male, il riso e il pianto, la vita e la
morte, conduce di fronte a una presa di coscienza austera e inappellabile. Ma
la magia del carnevale di Mancini e del Natale di Charles Dickens e nostro,
invece di spegnersi, è aiutata dalla letteratura a divenire eterna, alternativa alla rappresentazione del vero, benché vincolata
ad esso e complice di angosce e tragedie.
POETA PAZZO… PAZZO POETA
di Angelo Mancini
Sono un guerriero,
sono un guerriero,
delle mie doti
non fo mistero.
Sono un grand’uomo.
Sono un profeta.
Sono un eroe.
Ditelo a Zoe
se non è vero!
Chi mi conosce,
sa che son forte.
Riesco a mangiare
fino a sei torte.
Vivo la vita
come un leone.
Dite a Gastone
se non è vero !
Con la mia forza
ne accoppo tre.
C’è da imparare
a stare con me…
Sono sincero.
Dico davvero.
Delle mie doti
non fo mistero.
Sono un grand’uomo.
Sono un eroe.
Sono un guerriero.
Ditelo a Zoe.
Ditelo a Piero.
Loro lo sanno
chi sono io !
Ditelo pure
al signor Pio…
Tutti mi temono
qui nella Villa.
Sono …un gorilla…
…Fermi, che fate ?
Zoe, Piero, Pio…
Non mi legate.
Non mi mettete
anche stavolta
quella camicia !
Stavo scherzando.
No. Non è vero !
Ditelo a Licia.
Ditelo a Lando.
Non son guerriero.
Non sono eroe.
Non son profeta.
Non sono niente…
Fermi, mio Dio!
Solo un poeta
che troppo sente.
Solo un poeta,
forse, son io.
* * *
I versi di Fabrizio Trainito
riconducono a pensare alle persone meno fortunate che oggi, invece di chiamare
mendicanti, definiamo clochard.
Trainito, nei suoi versi, conosce la spietatezza della strada, ma non esita a
considerare l’elemosina una possibile forma di "cultura", in analogia
a Buddha, Cristo e persino al potente Shiva, divinità indù: essi appaiono
spesso, nei libri e nelle iconografie sacri, negli stracci logori dei mendicanti.
L'elemosina, in questo mondo terribile, anche in un sottopasso della nostra
metropolitana, potrebbe rappresentare l'ultimo barlume di solidarietà e, come
il Vangelo la pone fra le attività sante, così il mondo contemporaneo deve
considerarla come simbolo dell'ingiustizia sociale. Ricordare nella cultura
l'elemosina, è come ricordare la povertà, la sofferenza dei popoli.
NOTE IN COPPIA NELLA SERA
di Fabrizio Trainito
Due voci in coro nel
tunnel della ferrovia,
Corde di chitarra
vibrano in giro di do,
Ruotano dense le
note nell'aria,
Spingono il passante
verso la dimora.
Nel freddo stagnante
della galleria,
Una coppia di chitarre
ben assortite
Cantano insieme,
suonano in armonia,
Insieme fumano di
vapore le bocche
E il loro sguardo
ancora si cerca.
Un cane silenzioso
ai loro piedi sta,
Che al tintinnare di
ogni nuova moneta
Le orecchie rizza ma
calmo rimane,
Una vecchia coperta
posta con cura
Lo copre e protegge
e a quiete invoglia.
Poche monete sul
fodero vuoto
Ma per la cena
bastano già,
La giovane donna si
china a contare,
Il compagno la desta
e la chiama a sé,
Il cane comprende ed
è pronto al ritorno,
Festoso precede chi
per mano si tiene.
* * *
Nicola Foti ama i
viaggi, con la mente, con l’anima, con la penna, con la conoscenza, muovendo
sentimenti all’inutile ricerca di un senso giusto dell’amore. Quel senso di
giustizia e di amore l’hanno trovato e cercato, anche per lui, i re Magi, pellegrini
per eccellenza, simbolo dell'incontro tra Oriente e Occidente. Anche dopo la
loro morte, avvenuta in Oriente, i Magi continuarono a viaggiare. Le loro
spoglie mortali, vere o presunte che fossero, compirono un viaggio ben più
lungo e misterioso di quello che li aveva condotti a Betlemme. Per amore.
AL MERCATO DI SALONICCO
di Nicola Foti
Mercati levantini
Insegne a lettere greche
Dove anche l'angolo più lurido
È Storia
Viste a Tessalonica
- Ma anche già ad
Atene -
Coperture Art Nouveau
Ferraglia color
ruggine
E sotto, vita rugge
Bandìano, bandìano!
Turbinii di theta eta zeta
Arrotano fi mi xi
Lanciate come anelli il giocoliere
Figlie ribalde e povere
Di salmodii ortodossi
E allora leviamo il sipario
E godiamoci il sangue rappreso
Di agnelli scorticati
Occhi luccicanti e musi sangulenti
Zampe sfibrate e tendini serici
Sparpaglio di carcasse
Casse di cuori aperti
Globuli di rigaglie
Creas! Creas!
Crani spellati
Lingue che penzolano di lato
S'agganciano a piramide
E le fosse oculari
Penetrate con forza
Ganci di macellai
Memori di torture
Di saraceni che dall'Anatolia
Penetrarono nella Macedonia
E la pelle scurì
Ceppi di tronchi
Tavole sminuzzate
Dai fieri colpi secchi di mannaia
Pollami sparsi
E forti odori
Vita che mangia morte
Lordi di sangue venimmo al mondo
Noi masse di carne
Ci disfarremo
Prima che il fuoco abbia ragione
Di tanto putridume
Mio fuoco io ti aspetto
E mi libererai
Dal fetore infernale
* * *
Maurizio Pochesci è
su un treno al quale ha legato la vita. Ma, una volta sceso, scorge con dolore
che il convoglio corre troppo veloce e non sa come raggiungerlo. Mi piace
avvicinarlo alla storia di quel bambino salito su un treno che sembra attendere
solo lui: il Polar Express, diretto al Polo Nord. Quando giunge a destinazione,
Babbo Natale riserva al fortunato fanciullo la facoltà di ottenere qualunque
cosa desideri. Il piccolo, ingannando tutti con la modestia della richiesta,
opta invece per un campanellino da slitta. La chiave della leggenda è l’amore
per le cose belle, che non finirà mai.
RICORDO DI UN VIAGGIO
di Maurizio Pochesci
Era di Maggio,
ricordo
Ti strinsi nuda fra
le braccia
Nel silenzio della
notte pieno dei tuoi baci.
Il tuo corpo un
prato d’amore.
Fu allora che il
desiderio mio, come un vulcano,
Esplose nella
cuccetta
Mentre il treno
veloce correva nella notte.
Fu una notte fatta
di mani ed abbracci.
Ormai eri presa in
una danza d’amore
Mentre mi riempivi
di carezze ed emozioni.
Nel cielo le stelle,
nella notte,
Guardavano …mentre
arrossivano insieme.
Nessun commento:
Posta un commento