Cinzia BALDAZZI – "La
notte degli angeli", romanzo di Andrea Lepone
Andrea Lepone
La notte
degli angeli
Roma, edizioni Aracne
2020
pp. 112, € 8,00
Non
accade spesso di leggere romanzi contemporanei all’altezza di implicare, nel groviglio
di errori compiuti, una via d’uscita sotto forma di redenzione. Nell’epica
antica, laddove il tempo scorreva ignoto, il passato non esisteva oppure era presente.
Oggi, nella coscienza del già
trascorso, l’insieme degli eventi accaduti deve essere rimosso per non deludere
aspettative inadatte al divenire: scaturisce così impellente l’impulso espositivo
finalizzato a rendere l’agire dei personaggi dialettico e dinamico, nonostante
di frequente sia restituito nella narrazione in tracce frammentarie e discontinue.
In
tale Weltanschauung (“visione del
mondo”) ben si inserisce La notte degli
angeli, con un plot intervallato
dagli intenti malvagi, dalla dimensione onirica, dalla forza ricavata da alibi intimi,
dalla trasgressione. Pertanto, nel romanzo del giovane scrittore Andrea Lepone l’atto
del raccontare si articola policentrico, destrutturato, a più prospettive, capace
di esprimere differenti prerogative del vero:
ognuna di esse protesa al riscatto, anche in un’ipotetica riconferma perversa
del male deviante. L’esposizione consequenziale dei fatti è affidata a tre
distinte voci narranti: Steven, libraio di giorno, taglieggiatore di notte;
Laura, cameriera in un ristorante; infine, il Capo, alla testa di una banda di malviventi.
Su venti capitoli complessivi, dieci sono affidati a Steven, sei a Laura,
quattro al Capo.
La notte degli angeli esibisce dunque una struttura romanzesca basata sulla
pluri-discorsività, con l’atto di parola
individuale messo sotto esame dalla parola
letteraria in quanto eventuale resoconto dell’insieme illustrato. Nella
ricerca delle costanti interne al romanzo (delle “istituzioni”, direbbe Luciano
Anceschi), lo studioso russo Michail Bachtin spiegava:
Questa autocritica
della parola è una peculiarità essenziale del genere romanzesco. La parola è
criticata nel suo rapporto con la realtà: nelle sue pretese di riflettere
veracemente la realtà, di governare la realtà e di riorganizzarla (pretese
utopiche della parola) e di sostituire la realtà come un suo succedaneo (il
sogno e l'invenzione che sostituiscono la vita).
Nelle
prime pagine, Steven confessa:
Personalmente, ero
consapevole di tutti i miei errori, ma li ritenevo necessari.
Più
avanti, il compare David (nella veste di tre differenti identità), dopo aver
mostrato a Steven la foto dei suoi figlioletti, spiega:
Ecco perché lo
faccio. Ci saranno sempre il bene e il male, ma non saranno loro a definire il
mio destino. Sarà la mia lotta personale, combattuta nel mezzo, a farlo. Perché,
se io dovessi smettere di lottare, ogni cosa perderebbe di significato.
Combatterò per mantenere accesa la luce; se mi arrendessi, resterebbe solo un
mare piatto, privo di onde, pronto a sommergerci… pronto a rivelare la nostra
vera natura.
In
una classica unità di tempo, ovvero
dalla sera alla mattina dopo, assistiamo al frantumarsi contestuale delle unità
di azione (incontri casuali, scontri
a fuoco, sequestri, imboscate, ritrovamenti) e di spazio (gli appartamenti, le strade, i locali). Si incrociano le
vicende di vari individui, uomini e donne, vittime o esecutori della
criminalità organizzata, sia pure in vesti differenziate e coesistenti. Due di
essi, Laura e Steven, gestiscono apertamente l’area bifacciale di “creature” di
stampo pirandelliano, mettendo in luce, nella vita, molteplici caratteristiche
di se stessi; qualcun altro (di cui, per non incorrere nello spoiler, è meglio non anticipare il
nome) è il contrario di quanto appare; altri ancora si pentono del proprio
operato, oppure confermano di non averlo compreso in certe sfumature.
L’importanza
fondamentale del testo di Andrea Lepone è probabilmente da attribuire alla
costruzione letteraria di un rapporto per necessità di cose inadeguato tra psiche
e margine reale, nel senso che l’anima possiede orizzonti più ampi, nel bene o
nel male, dei destini consentiti e offerti dal vissuto.
Il
nucleo problematico e il progredire dell’intreccio risiedono allora in
superficie, in una volutamente confusa successione di flussi di coscienza, di
riflessioni sullo stato d’animo, accompagnate a una dettagliata analisi
psicologica che, nell’ambientazione sapientemente notturna, prende il posto di una
trama strutturata.
In
un passo della prefazione alla Teoria del
romanzo, del filosofo e critico letterario ungherese György Lukács, il professor
Alberto Asor Rosa così commenta:
Il romanzo
rappresenta dunque, per così dire, un ponte (formale-conoscitivo) lanciato
sopra l’abisso verso nuovi continenti dello spirito, pur nella piena coscienza
non trattarsi in nessun modo di un processo lineare e predestinato, bensì, anche in questo senso, di un’avventura
rischiosa oltre i confini dell’incalcolabile.
Nelle
pagine del libro di Andrea Lepone, le colpe
si “lasciano andare”, quasi nulla fosse. La
notte degli angeli è una sorta di dramma dell'ossessione e della
predestinazione, dove il passato è sempre lì, con il suo fardello di colpe ed
errori. È sempre Steven a parlare:
Accettare le
conseguenze delle nostre vili azioni non era affatto facile. Parlavamo spesso
di scelte, di bivi, immaginavamo una realtà alternativa. Ci confrontavamo sulle
nostre aspirazioni, prima che la vita ci mettesse di nuovo al tappeto,
togliendoci qualunque barlume di speranza. Anelavamo ad una pace interiore che
non avremmo mai sfiorato, imbrigliati in un’esistenza corrotta che non ci
avrebbe lasciato scampo. Ma non potevamo mollare, io stesso avevo sacrificato
parte della mia umanità per le persone che amavo e non sarei tornato indietro.
Out of the past si intitolava uno dei più grandi film noir mai girati (e il distributore
italiano, cambiandone il titolo in Le
catene della colpa, ne rispettò il senso). Il richiamo di Lepone alla
tradizione del romanzo nero è
tangibile, sia nell’accoglierne tematiche circostanziali e di base, come
l’auto-colpevolizzazione dell’eroe, sia nei distanziamenti, là dove il tormento
interiore non si traduce mai in pulsione auto-distruttiva o nei punti in cui l’autore
elude le efferatezze tanto frequenti negli esiti dell’hard boiled.
Ne
La notte degli angeli la verità è
nascosta, non invisibile. Steven, Laura e David, tra mille esitazioni, impareranno
a vederla distinguendo le colpe dalle bugie: smascherare queste ultime è il
compito di chi intende assegnare un valore di giustizia alla verità.
Nelle
istanze del racconto noir accolte da
Lepone, le peripezie affrontate dai
personaggi cambiano la consapevolezza della realtà. Esemplare è la parabola di
Steven:
Ero a due passi dal
baratro e avevo solo due possibilità: precipitare negli inferi o arrampicarmi
sino al paradiso, scalando vette sconosciute, riservate a pochi angeli eletti.
Angeli che un tempo urlavano come diavoli nelle tenebre.
Simili
riflessioni emergono al fine di promuovere una mèta positiva, ricostruttiva
delle empasses evidenziate dallo
stesso pensiero negativo:
Presi a camminare,
avvolto dal gelo della notte. La mia ombra era la sola compagna di viaggio di
cui disponevo. Ero solo e avevo un’importante decisione da prendere. Una scelta
che avrebbe segnato il mio destino. Di fatto, ero ad un bivio: lasciare che gli
eventi scorressero
imperterriti, o marchiarli con la mia impronta. Avrei davvero rischiato tutto
per riscattare la mia vita, o meglio, la mia anima? Non ne avevo la certezza.
In gioco c’erano la salute e il benessere dei miei familiari.
La
ricerca in atto consiste in un’unica versione autentica in grado di voltare le
spalle al contesto lacerato, sulla scia di concrete utopie liberatorie. Analizzando
le forme ricorrenti delle strutture romanzesche, Asor Rosa ne individua una
particolarmente aderente al discorso qui sviluppato:
Il romanzo è
qualcosa di più persino del genere letterario in cui la nostra condizione
spirituale esemplarmente si riflette: esso è il simbolo di un’avventura che va
al di là della forma, è l’immagine del nostro riscatto tradotta in umane storie
operanti.
In
chiave di lettura parallela, l’anti-eroe di Andrea Lepone diventa allora
paradigmatico nelle sue riflessioni:
Sentivo il bisogno
di redimermi, di fare la cosa giusta. Non sarei mancato all’appuntamento,
sebbene mi fosse chiaro che mi sarei irrimediabilmente cacciato nei guai.
Scrive
Federica Casoli nel suo commento:
Il libro è un
thriller con contaminazioni noir, dalla trama lineare quanto frammentata, per
nulla sprovvista di sorprese, che racconta le vicende di tre uomini impegnati
nel riscattare la propria esistenza, ognuno attraverso un proprio percorso
interiore […]. Il significato ultimo di questa nuova opera di Andrea Lepone
risiede dunque nella presa di coscienza delle più profonde azioni umane, nella
consapevolezza del proprio destino.
Il
percorso non ha certo i connotati della linearità. In tutto ciò risulta decisivo
cogliere il continuo, anche se unitario, scorrere del tempo, che può e deve, con
il nostro aiuto, cambiare le circostanze. Sfondata la dura parete del passato,
trascinati nell’attualità, traspare una totalità di stati d’animo legati al fato,
all’imprevisto, spesso avversi all’individuo. La giovane Laura confessa:
La forza d’animo che
mi aveva permesso di fronteggiare le innumerevoli difficoltà della vita, i
livori quotidiani e i rancori, era svanita. I miei occhi erano spenti, opachi,
avevano smesso di ardere.
Avevo combattuto troppe battaglie, ricevuto troppe delusioni. Fin da bambina,
il peso dell’esistenza aveva gravato esclusivamente su di me.
L’essere
e il destino (la τύχη greca), l’avventura e il compimento, il vivere e l’essenza
umana non sono più coerenti, né coincidenti: si affidano sconfortati alle iniziative
umane in un lungo viaggio a venire, che tuttavia non preannuncia il terrore
inibitorio di abissi insormontabili. È quanto va accadendo a Steven:
Come annientare le
debolezze umane? La mia guerra personale trascendeva le regole del mondo in cui
vivevo. In quella notte catartica, affrontavo i demoni che si annidavano nel
mio subconscio, respingendo orde fameliche di collerici mietitori. Il bilancio
della lotta, uno scontro a dir poco impari, non risultava positivo per me;
stavo già fumando una seconda sigaretta.
Per
comprendere il messaggio principale de La
notte degli angeli, sembra opportuno approfittare dei momenti eccezionali degli
episodi sviluppati, saldandoli con il ritmo della quotidianità ripetitiva mentre
emerge qua e là, intravedendo nelle figure, chi più chi meno, l’immagine
definitiva dell’uomo e della donna proiettate in un carattere della vita sempre
successivo. E la chiusura non può che essere affidata all’unico personaggio cui
Andrea Lepone ha deciso di non dare un nome, ovvero il Capo:
«Non vi meravigliate
di questo, poiché verrà l’ora in cui tutti quelli che sono nei sepolcri udranno
la sua voce e ne usciranno; quanti fecero il bene per una risurrezione in vita
e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna» disse in tempi remoti
un uomo di fede.
Ringrazio Adriano Camerini per la collaborazione durante la stesura del testo.
Andrea Lepone nasce a Roma il 22 febbraio 1995. Nel 2015 pubblica
la sua prima raccolta Poesie di una mente silenziosa
(Kimerik), cui fa seguito, nel 2018, la silloge poetica Riflessioni in chiaroscuro (La Macina Onlus). Iscritto all'Ordine
dei Giornalisti nel 2017, collabora con diversi quotidiani e periodici
occupandosi di cronaca, cultura e sport. Vincitore di numerosi riconoscimenti
letterari nazionali e internazionali, nel 2016 ha creato la rassegna culturale
“La scrittura come esperienza di vita”, mentre nel 2019 ha dato vita al
progetto “Poesia Gourmet Itinerante”. Ha scritto e diretto la commedia teatrale
Fantasmi sotto sfratto. È presidente
di giuria dei concorsi letterari “L'arte della parola - Premio Paolo Zilli”, “Il
Macinino”, “Io scrivo… e resto a casa!”. Autore di favole, racconti e saggi,
nel 2020 ha pubblicato il romanzo La
notte degli angeli (Aracne). Appassionato di sport, è stato più volte
campione nazionale, europeo e mondiale di powerlifting.