venerdì 6 giugno 2025

 



Panorama Letterario

Itinerari della scrittura negli anni Duemila

Edizione 2025

 

Fascicolo 2 - Il romanzo e il racconto 

 

L'Associazione “Officine Culturali Romane” organizza e promuove il progetto culturale “Panorama Letterario. Itinerari della scrittura negli anni Duemila”, il cui obiettivo è quello di incentivare la diffusione delle arti della scrittura con una pubblicazione periodica dedicata alla poesia, alla narrativa e al teatro, attraverso una selezione di autrici/autori dei giorni nostri con esempi delle loro opere.

Il Fascicolo 1, dedicato alla Poesia, è stato presentato nel febbraio 2024. La pubblicazione del secondo, dedicato al Romanzo e al Racconto, è prevista nell’inverno 2025-2026.

Al suo interno - come nel fascicolo precedente - per ciascun partecipante saranno presenti una nota biografico-artistica, un testo di auto-presentazione, un brano di una sua opera (in questo caso, romanzo o racconto), insieme a note critiche personalizzate a cura della dott.ssa Cinzia Baldazzi.

Come già per il primo fascicolo, l’Associazione finanzierà al contempo l'apertura di una scuola di scrittura che accoglierà persone affette da disabilità fisica o psichica, le quali avranno la possibilità di prendere parte a laboratori e seminari dedicati alla scrittura creativa. I corsi saranno organizzati dall'Associazione Officine Culturali Romane, in presenza o a distanza. 

Il progetto è rivolto ad autori maggiorenni e anche minori con debita liberatoria genitoriale. 

Ogni partecipante farà pervenire il seguente materiale: 


-         Nota biografico-culturale (max 1.500 battute spazi inclusi)

-         Fotografia dell’autrice/autore formato JPEG/PNG (di buona qualità)

-         Testo di auto-presentazione (max 1.500 battute spazi inclusi)

-         Brano scelto da un suo racconto o un suo romanzo (max 2.500 battute, spazi inclusi)

-         Ricevuta di versamento della quota di adesione

-         Scheda di iscrizione 


All'iniziativa si partecipa con opere edite o inedite, in lingua italiana o straniera (purché corredate da traduzione in italiano), a tema libero. 

Per la partecipazione è prevista una quota di adesione di € 65,00 (sessantacinque) che l'Associazione Officine Culturali Romane destinerà in parte alle spese di stampa, spedizione e diffusione dell'opera, in parte alla costituzione di una scuola di scrittura creativa riservata a ragazzi affetti da disabilità fisica e psichica. 

La quota potrà essere corrisposta attraverso la seguente modalità:

 

bonifico bancario intestato a:

Associazione Officine Culturali Romane

via Ferdinando Maria Poggioli n. 24 – Roma

 

sul c/c IBAN:

IT47X0306903202100000072061

Intesa Sanpaolo Spa - Filiale di Roma, via dei Prati Fiscali 187 - Roma.

 

Il materiale del Fascicolo 2 dovrà pervenire entro il 31 agosto 2025, esclusivamente in formato elettronico: i formati richiesti sono doc, docx, odt, rtf (non sono accettati testi in pdf, jpg, jpeg, png).

Il materiale andrà inviato all’indirizzo e-mail 

panoramaletterario2025@gmail.com 

unitamente al modulo di iscrizione debitamente compilato e alla ricevuta di avvenuto pagamento.

Ogni Autore, per il fatto stesso di partecipare all'Iniziativa, dichiara la propria esclusiva paternità e l’originalità dell'opera inviata e del suo contenuto. Dichiara inoltre di avere il pieno possesso dei diritti di utilizzo dell'opera e che la stessa è libera da ogni eventuale vincolo editoriale; manleva, pertanto, l'Associazione “Officine Culturali Romane” dalle eventuali pretese o azioni di terzi. 

Ogni Autore, per il fatto stesso di partecipare all'Iniziativa, accetta integralmente quanto espresso dal presente Bando. 

Ciascun Autore aderente al Progetto Culturale riceverà al proprio domicilio una copia dell'Opera. Le spese di spedizione saranno a carico dell'Associazione “Officine Culturali Romane” (a cui potranno essere richieste eventuali ulteriori copie). 

La dr.ssa Cinzia Baldazzi e il dr. Andrea Lepone avranno il compito di valutare le opere pervenute, nonché il diritto di escludere i testi che, a loro insindacabile giudizio, saranno ritenuti offensivi o comunque non in linea con lo spirito sociale e culturale dell'iniziativa. 

Informativa ai sensi dell'art. 13 del D.L. 196/2003, come modificato dal Decreto Legislativo 10 agosto 2018, n. 101 e dell’art. 13 del Regolamento UE n. 2016/679, sulla tutela dei dati personali: i partecipanti al Progetto Culturale autorizzano l'Associazione “Officine Culturali Romane” al trattamento dei dati personali al solo fine di permettere il corretto svolgimento dell'Iniziativa. 

Informazioni:

Andrea Lepone lepandros@gmail.com

Cinzia Baldazzi cinziabaldazzi@gmail.com



PANORAMA LETTERARIO

Fascicolo 2 – edizione 2025

MODULO DI ISCRIZIONE

 

Il/la sottoscritto/a _______________________________________________

nato/a a______________________________________ il________________

residente in via____________________________________________    n._____

città__________________________________ provincia_______CAP__________

indirizzo e-mail _____________________________________________

 

DICHIARA di aver preso visione del Bando relativo alla 2a Edizione del Progetto Culturale “Panorama Letterario”, Iniziativa organizzata e promossa dall'Associazione “Officine Culturali Romane”, di accettarne integralmente ogni paragrafo e di voler partecipare al Progetto Culturale con il componimento intitolato

 

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                                                                                               Data e firma

 

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domenica 12 gennaio 2025

VERSI IN CORNICE 2025

 



VERSI IN CORNICE

edizione speciale 2025

“Cura, libertà, pace”


La traccia tematica del progetto è sintetizzata nelle parole “Cura, libertà, pace”.

Ai partecipanti non si richiedono confessioni di fede, ma l’ispirazione ai grandi temi di una libertà minacciata in molte parti del mondo, di una “cura” verso il prossimo da mettere in pratica ogni giorno, di una pace da perseguire sempre e ovunque.

Sono temi molto ampi, che lasciano innumerevoli possibilità alla vostra ispirazione.

Vi aspettiamo, allora, non solo per condividere la magia delle poesie esposte in una galleria d’arte, ma anche per lasciare una testimonianza di lotta e di contrasto a tutto ciò che di negativo purtroppo ancora esiste nel nostro mondo.

  

Regolamento 

 

Cinzia Baldazzi, Donatella Calì e Maurizio Pochesci presentano la nuova edizione del progetto “Versi in cornice”, da realizzare tra la fine del 2025 e l’inizio del 2026 con mostre e pubblicazioni.

Come già nella prima edizione del 2021, ogni autrice o autore verrà invitato a partecipare con una sua poesia, edita o inedita, di lunghezza non superiore a 20-25 versi, in italiano o in vernacolo. Il testo verrà stampato e incorniciato come fosse un quadro e farà parte di un’esposizione da tenersi a Roma, in una importante galleria, tra novembre e dicembre oppure a gennaio.

Contestualmente, verrà pubblicata a cura di Officine Culturali Romane un’antologia contenente i testi di tutte le poesie partecipanti: ciascuna di esse sarà corredata, a fianco, da un breve commento critico di Cinzia Baldazzi.

A ogni partecipante verrà inoltre consegnata una pergamena che riproduce il commento presente nell’antologia.

Le poesie in cornice prescelte per questa nuova edizione del progetto saranno esposte per una settimana, a cura di Donatella Calì e Maurizio Pochesci, in una importante galleria romana tra novembre e dicembre oppure a gennaio. Al finissage saranno invitati le poetesse e i poeti partecipanti.

La quota di partecipazione all’evento è di € 80,00, comprendente:

-         poesia in cornice

-         pergamena con commento critico

-         una copia dell’antologia

-         esposizione nel corso della mostra (per una settimana)

-         partecipazione alla cerimonia di chiusura

 

La scadenza per l’invio della poesia e della quota di partecipazione è il 30 giugno 2025.

L’invio è previsto esclusivamente tramite posta elettronica al seguente indirizzo:

versiincornice2025@gmail.com 

In un’unica mail dovrà essere allegata la seguente documentazione:

-         scheda di iscrizione debitamente compilata con dati personali, recapito telefonico, indirizzo mail

-         ricevuta del versamento (Poste Pay, bonifico su c/c) della quota di partecipazione

-         file contenente la poesia; i formati richiesti sono doc, docx, odt, rtf (non sono accettati testi in pdf, jpg, jpeg, png). 

L’iniziativa è riservata agli autori maggiorenni.

Saranno eliminate, senza obbligo di avviso all’autore, le opere ritenute offensive, giudicate lesive o recanti danno alla morale, a persone fisiche, istituzioni, religioni e orientamento sessuale.

L’assenza, nell’invio della mail, di uno qualsiasi dei file sopra descritti determinerà l’esclusione dal progetto.

In nessun caso sarà restituita la quota di partecipazione. 

Gli oneri d’iscrizione possono essere corrisposti dall’autore con versamento su carta Poste Pay oppure bonifico bancario, specificando nella causale, in entrambi i casi, la dizione “Versi in cornice 2025” e il nome e cognome del partecipante. Qui di seguito gli estremi per il versamento: 

carta Poste Pay Evolution n. 5333 1712 1653 7890, intestata a Maurizio Pochesci nato il 3/5/1951 codice fiscale PCHMRZ51E03H501N

oppure

IBAN n. IT 67 L 36081 05138 205771205775, intestato a Maurizio Pochesci nato il 3/5/1951 codice fiscale PCHMRZ51E03H501N 

Al fine di consentire la giusta lavorazione delle poesie e la stesura del commento critico, gli autori interessati sono invitati a mandare quanto prima la documentazione richiesta: se possibile, anticipando nel frattempo il testo della poesia e successivamente inviando la ricevuta di pagamento della quota insieme alla scheda di partecipazione.

I materiali previsti saranno consegnati direttamente agli autori che presenzieranno all’evento o ad altre persone tramite apposita delega. Coloro i quali non potessero partecipare di persona riceveranno via posta il materiale, con spedizione a carico del destinatario.

Eventuali spese di viaggio, vitto e alloggio in occasione della cerimonia di chiusura sono a carico dei partecipanti.

Ogni autore, con l’atto stesso di partecipare, dichiara la paternità e la proprietà intellettuale e creativa delle opere inviate. Dichiara, altresì, di avere pieno possesso dei diritti dell’opera.

L’Organizzazione non risponde di eventuali operazioni di plagio.

La partecipazione al progetto comporta la piena accettazione del presente bando. L’inosservanza di uno qualsiasi degli articoli costituisce motivo di esclusione. 

Per qualsiasi ulteriore informazione sono disponibili i seguenti indirizzi mail:

cinziabaldazzi@gmail.com

calidonatella@yahoo.it

mpochesci@gmail.it


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VERSI IN CORNICE

edizione speciale 2025

  

MODULO DI ISCRIZIONE

 

Il/la sottoscritto/a _______________________________________________

nato/a a______________________________________ il________________

residente in via____________________________________________    n._____

città__________________________________ provincia_______CAP__________

indirizzo e-mail: _____________________________________________

 

DICHIARA di voler partecipare all’edizione speciale 2025 di “Versi in cornice” con il componimento intitolato

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                                                                                               Data e firma

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domenica 2 giugno 2024

Cinzia BALDAZZI - “Le rose novembrine”, poesia di Isabella Sordi

  

Care amiche e cari amici, in un recente incontro di poetesse e poeti da me organizzato a Roma, molte partecipanti hanno dedicato i loro componimenti al tema della violenza e del femminicidio. In quell’occasione, trovandomi a parlare con l’amico Sorin, ribadivo a lui la mia completa solidarietà alle donne. Lui ha risposto: «Cinzia, tu non sei dalla parte delle donne. Tu sei dalla parte della poesia».

Perché ho raccontato questo episodio? Come sapete, in questi anni ho scelto e analizzato singole poesie dedicate alla violenza contro le donne e alla loro morte violenta, sia per uccisione sia per tossicodipendenza. Ma erano tutti componimenti di autori uomini.

Oggi, finalmente, propongo la poesia di una donna, la brava autrice Isabella Sordi con i suoi versi dal titolo Le rose novembrine. Spero che i luminosi spazi della vostra mente possano ospitarli entrambi. 

 

Le rose novembrine

di Isabella Sordi

 

Mi fanno tenerezza

le rose novembrine,

serrano le corolle,

affilano le spine.

 

Sfidano il vento e il gelo

crudele, dell'inverno,

quello che, poco dopo,

le porterà all'inferno.

 

Vestono di rubino

e d'un rosso magenta,

è sangue che scolora

in una morte lenta.

 

Così come le rose

che perdono il colore

sono le donne sole

uccise dall'amore.

 

Le rose novembrine

mi fanno tenerezza,

non sanno che si può

morire di bellezza. 

 

 

Il nome delle rose

Bellezza e morte nei versi di Isabella Sordi

 

di Cinzia Baldazzi 

 

 

La violenza contro le donne

non è un problema esclusivamente femminile

e deve essere aggiunta

alla lista dei reati sancita dai trattati.

Ursula von der Leyen

  

   Anche a voi sarà accaduto di incontrare poesie associate nell’immediato all’esclamazione, scontata e poco esplicativa, di “incantevole”. Quando entro in uno stato d’animo analogo, il risultato consiste nell’approdare subito a uno stato di angoscia, di inquietudine, sebbene il componimento - come invece questa volta - non lo suggerisca. In breve, il dialogo interiore è il seguente: «Ma quale incanto… I poeti non hanno la bacchetta magica!». Sono infatti trascorsi svariati secoli dall’epoca in cui la ποίησις (pòiesis) ha iniziato a vivere svincolata dal rito cultuale-religioso, suo promotore nella notte dei tempi.

   Ho potuto “cogliere” le rose novembrine nell’autunno del 2023, incontrando Isabella Sordi in un premio letterario da me gestito nella veste di Presidente di Giuria: quel giorno, l’associazione I Percorsi delle Muse, tra gli organizzatori del concorso, assegnò al testo un riconoscimento speciale.

Perché lo racconto? Per condividere il fatto di averlo apprezzato in un equo asse referenziale meritocratico, criticamente documentato, non incline tout-court a una gerarchia di valori dove trovasse posto un giudizio perlopiù legato all’“incanto” ineffabile della beltà dei versi. Vari decenni sono stati impegnati nel dibattito sull’esistenza o sulla qualità della “bellezza in sé”, decisiva o ingannevole rispetto a un approccio di metodologia critica: ciononostante, ritengo l’argomento abbastanza d’antan, dunque nelle mie riflessioni chiamerò in causa il concetto di una “bellezza poetica” autonoma, nondimeno attinente a un messaggio, a una fonte significativa, umana, quindi concreta.

   In un ambito affine ho considerato pregevole Le rose novembrine, peraltro distratta dall’approfondimento specifico a causa di diverse attività in corso; il giorno dopo, comunque, ospitando l’autrice al Dima Book Festival, chissà perché le chiesi, fuori scaletta, di recitare per noi la poesia vincitrice.

   Forse, però, ho insistito troppo: non siamo davanti a un mistero, in quanto, alla sola lettura dell’incipit, suppongo parteciperete senza difficoltà a un incantevole “fuori programma” di tale natura: «Mi fanno tenerezza / le rose novembrine, / serrano le corolle, / affilano le spine».

   Una simile opinione la coltivo poiché, alcuni minuti dopo aver letto il componimento, scoprirete la misura in cui gli ammalianti fiori autunnali, emblemi di «tenerezza», siano il simbolo persuasivo e immaginifico acquisito dall’ars poëtica della Sordi, propedeutico ad annunciare il tragico destino delle vittime di femminicidio. Altro che le «spine» sotto le «corolle»! Il sostantivo «tenerezza», forse obietterete, essendo rivolto a una commozione provata nei riguardi di persone in termini di pietà amorosa e compassione, può apparire un segnale appropriato nei confronti di donne forti, generose, sebbene alla fine abbattute: esse soffrono per sfidare, in sintonia alle rose, «il vento e il gelo / crudele» non dell’inverno, bensì dell’inferno della violenza assoluta e, in seguito a una morte lenta (nonostante in botanica, per la famiglia delle Rosacee, il mese di novembre sia assai propizio), smettono di vivere.

   Eppure, una tenderness parallela, più che associata alla disperata, ineffabile propensione ad accogliere il martirio di una brutalità estrema, coincide con l’icona epifanica di qualche tipo di riscatto ottenuto nel rifugio offerto dall’amore materno indissolubile. Quasi Isabella Sordi, in un “incantesimo” fondato su una precisa tecnica semantico-semiotica - in settenari ritmici cadenzati in cinque quartine - e non su un vago, unspeakable filo dal colore rubino, invitasse il lettore a “scrutare” le righe successive con gli unici occhi posseduti, obbiettivamente carichi di bellezza, quella vera, sempre salvifica, peculiare dell’affetto energico di una genitrice, di una μήτηρ (mèter) capace di interrompere con il suo sentimento totalitario il cammino del male. Come, vi chiederete? Di recente, lo scrittore statunitense Chuck Palahniuk ha dichiarato: «Dimenticare il dolore è difficilissimo, ma ricordare la dolcezza lo è ancora di più. La felicità non ci lascia cicatrici da mostrare». La grazia e il fascino degli ammalianti campioni floreali viaggiano oltre le profonde cicatrici della furia e degli abusi.

   Nel tentativo di verificare l’ipotesi formulata all’inizio, vale a dire che nell’opera della Sordi l’intento creativo sia di risarcire utopicamente, per mezzo di una testimonianza a carattere lirico, un danno irreparabile, enfatizzo l’importanza di almeno due τόποι (tòpoi) retorici tali da poter confermare una lettura del genere, di certo correlata all’unione implicita, definitiva di forma-contenuto: piuttosto interessata, però, percorrendo l’alto sentiero allegorico del testo, a metterne in luce la prospettiva di allontanarsi, tramite scelte di un καλόν (kalòn) estetico, dalle abiette circostanze reali, non per ignorarle o sminuirle, piuttosto per sublimarne in alternativa la virgiliana pietas basata su rispetto, solidarietà e coraggio.

   Nel macrocosmo omerico, presentando le protagoniste dell’epos, l’aedo ne proclamava l’avvenenza, il κάλλος (kàllos) adeguato a renderle eterne: «E quando è pari a quella di Elena», afferma la grecista Eva Cantarella, «questa bellezza fa perdonare tutto: per Elena, bella come una dea immortale, dicono i vecchi troiani seduti presso le Porte Scee a guardare la battaglia, “non è vergogna che i Teucri e gli Achei schinieri robusti… soffrano a lungo dolori”». Allora, dunque, a morire per la bellezza (femminile) erano gli uomini.

   Sopra ogni cosa, sottolineerei come, nella terza quartina, il rosso rubino (o magenta), colore per antonomasia del sangue, costituisca in qualsiasi scala di valore archetipica un segno di vita prima che di morte, evocando inoltre, nell’universo di riferimento orientale, la nuance per eccellenza di gioia e sensualità della coppia, oltre a significare vittoria nella novità, nella conferma di quanto l’arco del vissuto sia di continuo custodito, difeso a qualunque costo.

   In secondo luogo, allorché assistiamo al tormento subìto mentre esso «scolora» - oltre a tutto, a prezzo di una «morte lenta» - anche qui possiamo tornare a uno schema modellare consono a quello della madre (meglio: della Grande Madre), all’altezza di dissolvere in un’indistruttibile, coraggiosa utopia, contrassegno di lotta, non di vuota fantasia, il bisogno di compensare un’immane iniquità, poiché la legge giusta del divenire umano naturale lo consente.

   Ricordo le parole utilizzate nel 1947 da Max Horkheimer e Theodor Adorno nella chiusura del saggio sull’Odissea per illustrare la crudele uccisione delle ancelle di Penelope (regina “madre”) impiccate da Telemaco. Nel finale del Canto XXII si assiste agli spasmi di queste creature («coi piedi scalciavano; per poco, però, non a lungo»), dove Omero consola se stesso insieme agli ascoltatori (scrivono i filosofi: «sono in realtà lettori») con «l’affermazione provata che non è durato a lungo, un attimo e tutto era finito. Ma dopo quelle tre parole l’intimo flusso della narrazione si arresta». Interrompendo il corso del racconto, «esso impedisce di scordare le vittime, e scopre l’indicibile, eterno tormento di quel secondo in cui le ancelle lottano con la morte».

   Nei versi della Sordi, le martiri di femminicidio sono sciaguratamente decedute «essendo donne sole / uccise dall’amore». Tuttavia, «sole» in senso di “isolate”, “accessorie”, per fortuna nella storia del progresso le donne non sono mai state, poiché il loro ruolo ha sempre comportato grandi vantaggi generali per l’intera gens humana. L’archeologa inglese Margaret Ehrenberg ha rilevato: «Bisogna riconoscere il ruolo delle femmine, sia nel favorire una maggiore socializzazione della specie umana sia come prime insegnanti di innovazioni tecnologiche durante il lungo periodo infantile».

   In sostanza, risulta infondato l’archetipo endemico della donna indifesa, “domestica”, e dell’uomo, potente per le armi, intento a procurare, in misura esclusiva, il cibo per la sopravvivenza della famiglia. Di nuovo la Ehrenberg esemplifica: «L’evoluzione umana è stata sempre letta attraverso il ruolo dell’“uomo cacciatore”, con la creazione di armi ed utensili per catturare e macellare le prede. E che cosa faceva la donna nel frattempo? Rimaneva forse seduta in casa a girarsi i pollici, aspettando che l’uomo procacciasse il cibo e diventasse così più abile fino a trasformarsi in Homo sapiens-sapiens?». Niente affatto, perché il nostro genere, provvisto di cellule con doppio cromosoma X, sin dalle origini ha espresso propensioni operative altissime accanto a opzioni di natura sessuale autonome nello scegliere maschi amichevoli, inclini a spartire.

   Ancora oggi, nel componimento di Isabella Sordi, le incantevoli rose celebrate durante il mese dedicato ai defunti (prendendo il posto dei rituali crisantemi) acquisiscono sembianze muliebri per sostare qui con noi, mentre le scorgiamo continuare ad amare chi come loro ama, non solo grazie a un ininterrotto «diritto materno» della specie umana, nondimeno in virtù della costante fiducia, della fede nel rapporto erotico fondato sul preferire l’unione con uomini libera da vincoli aberranti di sottomissione. Non dimentichiamolo: per ottenerlo, le nostre paladine hanno affrontato «il vento e il gelo».

   Nella narrazione mitica, le figlie di Προτος (Pròitos, Preto) rifiutarono di prendere marito pur essendo state chieste in moglie, senza il loro consenso, da tutti i Greci: per aver disprezzato Ηρα (Èra, sorella-sposa di Zeus), dea protettrice del matrimonio, e Διόνυσος (Diòniusos), dio iniziatore, furono aggredite da una malattia in grado di causare la perdita dei capelli e lo scolorire della pelle in chiazze bianche («Così come le rose /che perdono il colore», scrive Isabella Sordi). Per disgrazia, queste sorelle annientate, lasciate sole, nella poesia identificano ancora l’atto di amare con il “bello” della vita, del Creato: di conseguenza, allo scopo di difenderlo, di far sì che continui a sussistere, sono rassegnate ad abbandonare l’esistenza per amore, a «morire di bellezza». Purtroppo, il sentimento dellρως (èros) per cui sono cadute, dalla parte opposta si era manifestato unicamente in termini di ferocia, di perversione, frutto di disuguaglianza, magari di sfruttamento, il tutto mascherato da formalità retoriche, ambigue, contraddittorie.

   Vorrei concludere rispondendo all’appello dell’incantevole poesia (ricordate?) nella speranza che, nell’atroce dolore sofferto lungo l’intervallo del θάνατος (thànatos) - lungo? breve? - le rose della Sordi, sbocciate in autunno, abbiano rammentato quanto, nella notte dei tempi, per fare del male a un individuo si ricorresse al gesto di colpire un suo modello, ad esempio romperlo per imitarne la morte, o infilzarlo di spilli per provocarne ferite profonde. Tuttavia - le nostre rose lo sanno bene - il modello così costruito serviva anche per azioni buone, ideate per guarire o guadagnare prosperità. Il sacrificio delle donne-rosa equivale proprio a questo: al tentativo, come hanno potuto, di opporsi agli assassini per impedire che essi seguitassero a uccidere. Un sincero “grazie” quindi a loro, e a Isabella Sordi che non ha voluto dimenticarle per condurle a noi in un illuminante “incanto”. 

 

Si ringrazia Adriano Camerini per l’assistenza nel corso della stesura del testo. 

 

 


 

Isabella Sordi, nata a Udine, residente a Mestre, è stata per vent’anni docente di Letteratura Inglese nelle scuole superiori. Si è dedicata alla poesia fin dall’età di otto anni: «Ho ancora il ritaglio della rivista “Amica” su cui pubblicarono alcuni frammenti di mie poesie con giudizio positivo. Ero quindicenne e tra i giurati c’era Dino Buzzati».

Ha pubblicato le sillogi poetiche Un Dio felice (Vitale, 2002), Sopra i cieli di Berlino (Arezzo, 2013) e In un vorticoso tango (2022), questi ultimi editi da Helicon. «Mi piace sperimentare la scrittura in altre lingue: ho scritto poesie in inglese, spagnolo, friulano e nei dialetti veneto e romanesco».

Collabora attivamente con vari gruppi culturali di Mestre e di Venezia attraverso letture, incontri e conferenze. Con l’associazione La Torre di Mestre, dal 2018 in poi, ha contribuito ai reading poetici “Attorno a una panchina rossa”, contro la violenza sulle donne.

È membro della Writers Capital Foundation e della International Academy of Ethics. Ha organizzato il Premio Letterario Intercontinentale “Le Nove Muse” a Mestre, nel 2022, del quale è stata Presidente di Giuria.

Ha conseguito numerosi primi posti in concorsi nazionali e internazionali tra cui “Dino Boscarato” (2008), “Città di Acqui Terme” (2009), “San Marco” (2010) e “Certamen Apollinare Poeticum” (2023), nonché vari premi speciali tra cui “Scrittore dell’anno” alla Rassegna Letteraria Olympus e “Writer of the Year 2023” alla Writers Capital Foundation.

La poesia Le rose novembrine ha ottenuto il Premio Speciale “I Percorsi delle Muse” nel 2023 a Roma al concorso “I colori delle parole”.

 

 

 

 


venerdì 26 agosto 2022

 

Cinzia BALDAZZI – Francesca Peronace e i Sentieri nascosti di donne

 

 


 

Francesca Peronace

Sentieri nascosti di donne

Macerata, Edizioni Simple, 2020

pp. 116, € 14,00

 

 

   Essendo una donna, leggere un libro creato da una rappresentante del mio genere, inoltre rivolto ad affascinanti figure - famose o sconosciute alla maggioranza - avrebbe potuto comportare un esercizio critico difficile da mantenere su un piano di ampia serenità di giudizio, così com’è giusto sia quando la lettura non intende offrire un poco utile, esplicito criterio di piacere o dispiacere rispetto al testo: piuttosto, lo scopo sarebbe di delinearne una ipotetica mappa ermeneutica essenziale, magari proficua per molti. Affinché ciò accada, l’esegesi proposta non deve lasciarsi totalmente persuadere da attitudini di gusto naturali o storiche scontate: in procinto di sfogliare le pagine, l’incipit utopico di valutazione dovrà coincidere - per uniformarsi all’atmosfera matematica preminente nell’intera opera - con uno “zero” comune di partenza alimentato da scelte certo di indole soggettiva, però motivate da una cultura in progress, non condizionata.

   Ebbene, a questo punto posso affermare di aver apprezzato i Sentieri nascosti di donne di Francesca Peronace non perché sia collegata anche io all’estesa famiglia femminile, bensì in quanto tra le righe ho individuato messaggi etici, intellettuali, operativi, scientifici, di fratellanza, appartenenti a “sorelle” fautrici assolute della Natura, se non della Società.

   Tra le dèe dell’epoca antica ho sempre amato Atena (in attico θην, Athēnâ), l’icona greca della sapienza, dell’ars, della strategia in battaglia,  che vorrei credere paladina in particolare delle scienziate raccontate dalla Peronace, ossia Maria Gaetana Agnesi, Mileva Maric’ e Marie Sklodowska Curie: ma soprattutto di Ipazia di Alessandria (cui la scrittrice dèdica un’appassionata apertura): la sua breve vita si svolse tra il IV e il V secolo d.C., in un’èra di tramonto delle divinità classiche e di pieno dominio del Cristianesimo.

 

Ipazia


   Di Pallade (Παλλάς θην) troviamo testimonianza primaria su una tavoletta micenea in lineare B, Atana potinija, mentre l’epiteto più arcaico, quello omerico, corrisponde a “Glaucopide”, cioè “dagli occhi verdeazzurro” come la civetta, emblema adottato per indicarla poi sulle dracme ateniesi. In ogni caso, l’ammaliante dèa dell’Olimpo proteggerebbe tutte le protagoniste dei sentieri percorsi dalla nostra autrice (incluso l’eccezionale genio matematico Evariste Galois, unico uomo inserito nel libro). Del resto Minerva (il suo nome latino) per un verso possiede prerogative schiettamente muliebri, per l’altro esibisce in grande misura propensioni mascoline, poteri attribuiti all’uomo dalla tradizione. 

   La vergine, abitante dell’altissima montagna della Grecia (tra la Tessaglia e la Macedonia), che non subisce il giogo del matrimonio né ha esperienza dell’incontro sessuale, nasce da Zeus senza bisogno nemmeno di una madre, tanto vuole sembrare libera dai pesanti legami ancestrali correlati alla γυνή (ghiuné) nella famiglia: secondo il mito, Zeus sposò Metis, la Sapienza, per inghiottirla, rilevandone quindi l’intelligenza; al momento propizio, Efesto frantumò la testa del dio con un colpo di scure e da lì balzò fuori la Dèa, già adulta e ben armata.

   Ringraziamo Francesca Peronace per aver dato “voce da donna” alle donne, in linea con l’indimenticabile Gaspara Stampa allorché raccomandava con sapienza alle sue lettrici femminili le grazie di un illustre signore: «Ma, s’ella è donna, non s’affissi molto, / ché resterà subitamente presa / fra mille meraviglie del volto». Simili versi ben si addicono al racconto dedicato da Francesca all’avvocato Ortenzia, uno dei quattro personaggi femminili (insieme a Carmela la sarta, Anna l’insegnante, Samantha la ballerina) «di pura fantasia, che esercitano i mestieri più disparati, che hanno vite differenti e collocate in ambienti diversi, anch’essi di fantasia». Nel cuore della narrazione, leggiamo di un abbraccio meraviglioso, affidato da Ortenzia alle parole di Pablo Neruda: «Altre volte ancora un abbraccio, se silenzioso, / fa vibrare l’anima e rivela ciò che ancora non si sa / o si ha paura di sapere. / Ma il più delle volte un abbraccio / è staccare un pezzettino di sé / per donarlo all’altro / affinché possa continuare il proprio cammino meno solo».

 

Maria Gaetana Agnesi

 

   Leggendo le storie della Peronace, il pensiero va all’inglese Henry Moore, conosciuto per le sculture in bronzo semi-astratte di rilevanti dimensioni (accolte come opere d’arte pubbliche): nel suo macrocosmo, ovviamente di chiave maschile, ha voluto acquisire come leitmotiv l’archetipo materno dei dolmen. Il dolmen è una tomba megalitica preistorica a camera singola la quale, insieme al cromlech (come a Stonehenge) e al menhir, costituisce l’esempio più noto tra i monumenti megalitici. La realizzazione dei dolmen viene collocata nell’intervallo di tempo tra il V millennio a.C. e la fine del terzo,  e nello schema si intravedono i temi fondamentali dell’essere madre nel suo habitat naturale, il cielo, la terra verde, la pietra: «Il cielo rimanda a qualcosa di sacro, al miracolo della vita», scrive la studiosa Roberta Franchi, «la terra è il simbolo cosmico del grembo materno, della fecondità; la pietra sta a indicare che la maternità radica l’individuo, è la cava da cui ogni essere viene alla luce».

   Il lessico delle testimonianze romanzate dalla Peronace risulta molto intenso e, in Elisa e Gianna (due donne una storia), quando la protagonista dichiara «Mi sento svuotata, i sogni, le speranze, i progetti, la vita mi si sbriciolano tra le mani», in un primo momento soffriamo con Elisa, in seguito comprendiamo che, comunque sarà l’epilogo della vicenda contenuta nel diario, la facoltà di mettere al mondo altre creature - sulla quale si sono misurate filologia, filosofia, biologia, mito, teologia - rappresenta uno dei pochi valori indiscussi dell’iter umano: per rimanere in ambito pre-storico, pensiamo allora a Çatalhöyük e Hacilar nell’Anatolia centrale, i cui siti neolitici suggeriscono la presenza di potenti figure femminili, di γυναίκες (ghiunaikès) all’altezza di giocare un ruolo consistente nell’immaginario religioso della comunità.


Maria Skłodowska Curie

 

   Nelle note introduttive a Sentieri nascosti di donne l’autrice dichiara: «Ancora oggi, malgrado molte donne occupino ruoli di prestigio, si parla al maschile». Dopo aver apprezzato gli esempi in parte storici, in parte alimentati dal mito, in parte di pura fantasia, vorrei dedicare a Francesca Peronace la vicenda della mitica Gaia.

   Ricordate Esiodo? Tra gli esametri di Teogonia ecco Gaia, «che in principio generò, uguale a sé, / Urano stellato, affinché l’avvolgesse tutta intorno». Effigie assai complessa, quella di Gaia, essendo capace di riprodursi lontana dall’apporto del maschio in una fase ancora contraddistinta dal Caos. Unita a Urano, in breve è costretta a rivoltarsi all’abbraccio insaziabile del compagno: «Uguale a sé», poiché, precisa Roberta Franchi, «i figli procreati, presi in odio dal padre, non vedono la luce nel suo seno, ma sono respinti nelle sue profondità». Stanca e addolorata, la dèa fabbrica una falce tagliente per consegnarla ai Titani con l’obiettivo di servirsene ai danni del genitore. Crono, il più ambizioso, lo colpisce ai genitali nel sonno, prendendone poi il posto. L’episodio è narrato da Esiodo con una dovizia toccante di dettagli, parallela al tormento di Gaia, espressione della fatica sopportata da questa figura divina durante il travaglio causato dal globo terrestre nel concepire le due entità radici del Cosmo: quasi, agli inizi, il Cielo virile volesse tenere compressa sotto di sé la Terra femminile. A dispetto dell’evirazione di Urano, Gaia continua a generare: dietro suo suggerimento, Zeus è nominato sovrano supremo e, come già accennato, dalla testa scaturirà Pallade Atena, protettrice delle scienze, delle arti, delle lettere, nonché del coraggio.

   Sigmund Freud, in un viaggio a Roma, ne acquisterà una miniatura per collocarla nella collezione casalinga di antichi oggetti artistici ed ex voto, ma la statuetta conservata dal padre della psicoanalisi non è uguale al monumento imponente che domina la Ringstrasse a Vienna: quest’ultima tiene una lancia nella mano sinistra e nell’altra una piccola Nike, mentre al souvenir acquistato in Italia manca la lancia, perduta per l’usura del tempo. Priva dell’asta, identificata come simbolo fallico, la divinità della conoscenza e della guerra viene giudicata da Freud perfetta, ineccepibile in quanto non contaminata da connotati mascolini.

 

Mileva Marić


   In omaggio alla scrittura di Francesca Peronace, concludo citando la personificazione di Atena nel Pilade di Pier Paolo Pasolini, una sorta di sequel ideologico dell’Orestea di Eschilo dove si ipotizza il ritorno ad Argo del figlio di Clitennestra e Agamennone dopo il proscioglimento all’Areopago. Una celebre mise en scène del lavoro avvenne nella cava del teatro greco di Taormina nel 1969. Nell’Orestea originale eschilea, Atena tiene sotto controllo le Erinni (personificazione femminile della vendetta) e le converte in figure benevole, istintive, ataviche, sottraendole alla struttura informe della Natura, allo stravolgimento dello status quo. Pasolini costruì una lettura personale del μύθος (miùthos) accentuando il ruolo razionalista di Atena nella creazione delle istituzioni moderne e in particolare della prima assemblea democratica.

   Dunque, nonostante la storia sia stata raccontata da due uomini, a distanza tra loro di quasi duemila anni, siamo in presenza di un messaggio inequivocabile e suggestivo, che potrebbe fare da sigla al lodevole lavoro di Francesca Peronace: la società attuale è nata da una donna.

 


Francesca Peronace è nata a Catanzaro Lido, vive e lavora a Roma.

Laureata in matematica, poco più che ventenne ha cominciato a insegnare e ha proseguito fino all’età della pensione.

Ha conseguito le abilitazioni in Matematica, Matematica applicata, Fisica, Informatica gestionale e sistemi. Ha svolto attività di formatrice ai corsi TIC A e B per i docenti ed è stata responsabile degli ECDL.

È stata esaminatrice nei concorsi a cattedra, docente in numerosi corsi abilitanti, più volte Presidente di Commissione agli esami di maturità.

Sentieri nascosti di donne è il suo primo libro.


Francesca Peronace