domenica 21 luglio 2019


Diego RIA – “Note a margine” (racconto breve)
 



 
Con il racconto di Diego Ria prosegue la pubblicazione dei racconti premiati e menzionati all’edizione 2018 del concorso “Incrociamo le penne”.
 
 
 
Mario si sedette sulla sua poltrona preferita, sistemò con cura il piede ingessato nella posizione più comoda e avvicinò a sé il tavolinetto vuoto. Poi guardò l'uomo in piedi davanti a lui.
          «Che ti porto, Mario?»
          «Tè verde. E qualcosa di Hemingway.»
          Osservò l'uomo dirigersi verso il bancone di quella grande libreria. Lo vide armeggiare con il bollitore e poi disperdersi nei meandri della sezione narrativa.
Annusò l'aria: era asettica come quella del suo sportello alla banca. Non c'era odore di stampa, di polvere o di carta vissuta come nelle altre librerie della città. Pensò di essere molto fortunato a averla sotto casa, specialmente ora che, con quel piede, gli era impossibile stare al suo posto di impiegato e, fuori, un gelido antipasto d'inverno pizzicava la pelle.
          «Maledetti scalini» sussurrò tra i denti, riposizionando il gesso. Alzò lo sguardo verso l'uomo che stava tornando da lui con un volume in mano e vide la ragazza, sullo sfondo, seminascosta da uno scaffale. Era sicuro di averla vista altre volte perché quell'ampio basco e quella lunga sciarpa di lana fantasia arcobaleno, erano così appariscenti da essere inconfondibili. Si rese conto che da venti giorni ormai aveva un ferro a tenere insieme il malleolo, e che di quei venti giorni ne aveva passati almeno quindici in quella libreria, leggendo e osservando le persone. Quella ragazza, per esempio, si fermava ogni giorno lunghi minuti davanti alla vetrina e allargava le narici, come volesse respirarne l'essenza, per poi sparire e tornare ancora.
          L'uomo della libreria adagiò l'edizione economica di Festa mobile sul tavolinetto e ripartì verso il banco. Mario vide che la ragazza stava scrivendo su di un libro. Se l'era portato in grembo, per nascondersi, ma lui vedeva chiaramente la mano fluttuare sulla pagina e il calcio di una penna svolazzarle tra le dita. La vide rimettere il libro al suo posto e rimanere un attimo imbambolata, assorta nei propri pensieri, per poi uscire, in fretta, coprendosi la bocca con la sciarpa. Per un'ora Mario combatté una battaglia persa con il suo falso, educato pudore, come quando, davanti al suo terminale, si riprometteva di non guardare il saldo delle persone che serviva allo sportello, finendo inevitabilmente per sbirciarlo e trarne ogni tipo di conclusione, le più ciniche e catastrofiche di solito. Alla fine posò il suo Hemingway, ancora aperto sull'introduzione, inforcò le stampelle e si diresse allo scaffale della ragazza. Frugò freneticamente nella fila dove l'aveva vista riporre il libro: Sartre, Scott Fitzgerald, Steinbeck. Trovò la scritta sul frontespizio di Furore. Era un corsivo tremolante ma leggibile: “Domani passerai di qui, io lo so. E inevitabilmente aprirai questo libro perché, anche se ne hai già una vecchia copia, è il tuo preferito e non resisterai. E troverai me, che tu lo voglia o meno, perché io sono tua e so tutto di te. E se domani chiuderai questo libro e lo rimetterai su questo scaffale, avrai chiuso fuori per sempre la mia colpevole anima.” Mario digerì quella frase per qualche secondo: “Stupidaggini melensi nella testa di una ragazzina” si disse alla fine, rimettendo il libro al suo posto.
          «Festa mobile non andava bene?» gli chiese il commesso, sorpassandolo con uno scatolone in mano.
          «Va benissimo. Dovevo controllare una cosa, togliermi una curiosità.»
          E la curiosità, mista a un vago sentore di disprezzo per la patetica modalità di quella sciocca ragazza, lo portò alla libreria ancora prima, la mattina seguente. Controllò che il libro marchiato fosse al suo posto, si sedette sulla stessa poltrona, ordinò il solito tè e si fece riconsegnare la sua copia di Hemingway con il segnalibro buttato nel mezzo, a caso. Dopo un paio d'ore, l'uomo comparve. Era alto e elegante nel suo cappotto grigio. Era il proprietario del tabacchi in fondo alla via. Si fermò da Mario per salutarlo e chiedergli del piede, poi fu inghiottito dal negozio. Mario aveva sempre ammirato quell'uomo. Sembrava sempre sereno, aveva un conto in banca di tutto rispetto e sua moglie, che lo aiutava nel tabacchi, era sempre stata la donna più bella del quartiere, e forse lo era ancora, nonostante avesse passato i cinquanta.
Così, quando lo vide prendere Furore tra le mani, rimase sbigottito. Mentre l'uomo sfogliava svogliatamente qualche pagina, Mario li immaginò insieme. La ragazza doveva avere trent'anni meno di lui e non era per niente elegante. Portava vestiti larghi e colorati. La moglie invece era sempre precisa e raffinata, con occhi profondi e qualche merletto nei punti giusti che la rendeva sobriamente piccante. Come poteva un uomo simile commettere una tale sciocchezza a cinquanta metri dal proprio negozio, Mario non lo capiva.
Si passò le dita della mano sulla gobba del naso, sugli zigomi alti e affilati. Nessuna donna avrebbe mai scritto una frase simile per lui, non sarebbe mai riuscito a evocare un sentimento talmente cieco e potente, mentre quell'uomo, che stava ora uscendo dalla libreria con una rivista in mano, poteva scegliere quale amore godersi, e tradirli entrambi, impunito. Pensò che se una ragazza era tanto ingenua da farsi usare a qual modo non meritava pietà e, ora che l'uomo l'aveva abbandonata su quello scaffale, forse anche lui avrebbe potuto approfittare di lei. Soppesò i pro e i contro, come stesse trattando un derivato. D'altronde lui, dopo vari tentativi andati male, era single. Aveva trentacinque anni e un buon lavoro, una casa di proprietà e il letto freddo. La ragazza non era bella, ma era giovane e manipolabile.
Zoppicò nuovamente verso lo scaffale con il risolino di chi è più furbo appiccicato in faccia. Ma, a tu per tu con le frasi di lei, si rese conto di essere tanto abile coi numeri, quanto inetto con le parole. Prese la sua penna dal taschino e la tamburellò sulle labbra. Migliaia e migliaia di frasi dei più grandi scrittori lette e nemmeno un'idea su come impressionare una piccola sciocca. Poi un fulmine: “Domani sarà l'alba di un nuovo amore.” Carino e banale. “L'uomo dal gesso” una firma inequivocabile per lei che tutti i giorni si appiattiva alla vetrina. Si assicurò di essere fuori dalla vista del commesso e scrisse quelle cose. E una volta scritte, assunsero una profondità nuova, diversa e amplificata e lui, riguardandole, fu costretto a riflettere. Amore. Perché aveva usato quella parola per una situazione del genere? Cos'era l'amore?
Sui manuali operativi della banca non c'era niente del genere. Nelle sue dispense del codice di comportamento, marchiate con riservato, c'era tutto su come giustificare a un cliente il crollo dei titoli consigliati, ma niente sull'amore. D'amore si nutrivano però le pagine di quel posto e lui capì finalmente perché gli piacesse tanto passarvi le giornate. Non era il tè, o il fatto che fosse sotto casa. Non era l'odore, non solo. Improvvisamente si sentì pesante e triste, di una tristezza buona che non aveva mai provato ma che riconobbe appena si posò sul suo petto. Guardò la sua frase e pensò al domani. Pensò al calore a alla gioia. Pensò a come sarebbe stato sciogliersi una volta, una sola vola nella vita, dopo aver appeso il cappotto nel guardaroba di casa e chiuso la banca fuori e si chiese come mai a lui, a lui che amava così tanto i libri, tutto questo fosse stato sempre negato.
          E così, con il libro in una mano e la penna nell'altra, sospeso tra la paura di cancellare tutto e il desiderio di sottolineare “domani”, la vide alla vetrina. Aveva le mani incrociate in grembo e lo guardava con occhi talmente grandi e sbarrati da cancellarle il viso. Entrò a passi lenti nella libreria e lui la osservò, pietrificato. Quando gli fu davanti, l'unica cosa che pensò fu che quel cappello arcobaleno le calzava male sulla testa. Tutti gli altri pensieri erano congelati dal terrore che lei potesse aprire bocca e distruggere l'ultimo briciolo di dignità che lui aveva in tasca. La ragazza gli sfilò il libro di mano, sempre guardandolo fisso, poi poggiò lo sguardo sulla frase. Alzò di nuovo gli occhi, e questa volta erano due fessure opache, mentre la bocca le si arricciò talmente che, Mario, pensò volesse sputargli addosso. Ma lei si voltò. Quasi vacillando, raggiunse la cassa e pagò il libro. Uscì. Passando davanti alla vetrina ebbe l'istinto di guardare dentro ma, con un gesto dell'avambraccio, ricacciò indietro quel pensiero e sparì lungo la strada.
Il sangue tornò a scorrere nel corpo di Mario, ma era gelido e duro. Non ci sarebbe stato domani. Ci sarebbero stati altri tè, altri libri e poi altri conti correnti, altri titoli e nessun domani. Tornò al suo posto. Per tentare di cancellare dalla testa l'accaduto, aprì il suo libro: “E poi c'era il brutto tempo. Arrivava da un giorno all'altro una volta passato l'autunno.” Andò avanti un'ora, senza assorbire niente di ciò che leggeva, poi la donna entrò. Poteva avere sessant'anni, era leggermente sovrappeso e indossava un cappotto dai colori sgargianti. Scrollò le spalle come se avesse freddo e si tolse i guanti di lana color arcobaleno. Si mosse per il locale con gli occhi di Mario incollati addosso e inevitabilmente, come teleguidata, si fermò alla S. Prese una copia di Furore e si lasciò scorrere qualche pagina tra le dita, con un benevolo sorriso stampato sulla faccia, poi la posò e proseguì il suo giro. Mario la vide scegliere due volumi, pagarli alla cassa e muoversi verso l'uscita, allora la richiamò con un gesto della mano. La donna si avvicinò, guardò il gesso: «Mi dica.»
          Mario le indicò cortesemente la poltrona accanto alla sua, ma la donna lo fermò allungando il palmo della mano. «No guardi, ho fretta. Che vuole?»
          «Se avessi una figlia» disse lui, «non aspetterei una vita per perdonarla.»
          La donna schioccò la lingua con un gesto di stizza: «Ma lei non ce l'ha, vero? Sapesse...»
          «No» rispose Mario. «Non ho niente di così prezioso, ma so per certo cosa vorrà dire, domani, pentirsi della stupidità di oggi.»
          Lei aggrottò le sopracciglia. Le sue labbra si mossero alla ricerca di qualcosa da dire.
          «E lei chi diavolo sarebbe?» sibilò.
          «L'uomo dal gesso» rispose Mario. «Un uomo solo.»
          La donna sbuffò e uscì a passo svelto. Passando davanti alla vetrina guardò dentro con una smorfia di rabbia stampata sul volto. Lui, da dentro, la salutò con la mano ma lei trottò via senza un gesto. Poi fece qualche passo indietro, si fermò. Rimase un minuto immobile. La sua faccia sembrava sofferente ora. Mario la vide frugare nella borsa e estrarre il cellulare. La vide sospirare e, con l'apparecchio all'orecchio, sparire alla sua vista. Lui si guardò la gamba. Pensò che era mercoledì. L'indomani aveva una visita e forse gli avrebbero tolto il gesso. Forse avrebbe imparato a camminare di nuovo, domani.
 
 
Diego Ria è un operaio metalmeccanico livornese di 49 anni con una grandissima passione per la letteratura. Quattro anni fa ha seguito un corso di scrittura creativa nella sua Livorno e ha iniziato a scrivere racconti brevi. È stato finalista del premio “Città di Livorno” del 2016 col racconto L'ultimo sciopero della mia vita e del premio “Terra di Guido Cavani” 2017 con E Nunzia, che dice? Il racconto Ezio e il campanile è arrivato terzo nel concorso letterario “Incrociamo le penne” 2017, mentre nell’edizione 2018 ha conseguito una Menzione di Merito con Note a margine.

sabato 13 luglio 2019


Maria Maddalena PANUNZI – “Un catalogo speciale” (racconto breve)






 

 La rubrica dedicata ai racconti brevi, cui questo blog ha dato vita a più riprese negli anni passati, riprende nel periodo estivo con appuntamenti settimanali fino ai primi di agosto.

I testi selezionati provengono dal premio letterario “Incrociamo le penne” edizione 2018, dove gli autori sono stati invitati a misurarsi sul tema “E se domani…”. Il concorso è stato organizzato dalle associazioni culturali “L’Abbraccio” e “ONA Aprilia”. Un ringraziamento particolare va a Veruska Vertuani.

Il brano pubblicato quest’oggi è Un catalogo speciale, con cui Maria Maddalena Panunzi ha ottenuto la Menzione di Merito. (c.b.)





Un catalogo speciale 
Bernardo O. De Bernardis non era certo nato, come suol dirsi, sotto una buona stella. Negli anni dell'adolescenza, della giovinezza e maturità, non aveva brillato praticamente in nulla e si era, per così dire, ritratto dalla vita. Anche a voler indagare, non si potrebbero trovare le cause di tale carente vitalità: affetto e cure materne ne aveva avute a sufficienza, e dal padre aveva ereditato una discreta intelligenza e propensione per gli affari, che non aveva saputo però mettere a frutto fino in fondo a causa di un carattere apatico e tendenzialmente sospettoso. Ragioniere presso un'azienda ortofrutticola, passava il tempo migliore della sua vita rintanato in un buco di ufficio, nell'unica esaltante attesa della retribuzione mensile, che accumulava con maniacale sollecitudine.
Parrebbe inutile a questo punto, per quanto anticipato, raccontare della banale esistenza di B. O. (O. sta per Orazio), senza il rischio di tediare il lettore con una insulsa storia. Ma le storie, anche quelle più banali, sono in grado di evolvere, senza che si possa immaginare, verso un finale inatteso, e questo grazie all'ineffabile mistero della vita, a quel che di inaspettato in cui può imbattersi dietro l'angolo ciascuno di noi, e che nessuno sarà mai del tutto in grado di prevedere.
Torniamo ora alla vuota, scialba esistenza di Bernardo O. D. B.
La sua personalità, contrassegnata da una totalizzante propensione all'avarizia, unico aspetto del carattere che emergesse nelle relazioni con gli altri e con sé stesso, aveva impresso su di lui un marchio ineluttabile, quasi un “odore” stantio di spilorceria.
Non che la cosa gli desse pensiero. La sua smania di possedere tutto senza rischiare nulla era la stella polare della sua piccola esistenza. Potremmo definirlo, a ben guardare, un moderno Arpagone, il protagonista dell'Avaro di Molière, che per fuggire dall'imprevedibilità irrimediabile dell'esistenza, tendeva a mettere, oltre ai suoi tesori, la sua stessa vita in cassaforte. E in fin dei conti, per Bernardo, una cassaforte era diventata anche la sua casa.
Il piccolo appartamento dove abitava, con l'intera mobilia, l'aveva ereditato dai genitori, e in seguito si era ben guardato dall'effettuare cambiamenti, così da evitare costosi e inutili esborsi.
Unica spesa concessa alla sua spilorceria, a parte l'aggiunta quasi a costo zero del secondo nome (fittizio) Orazio, vezzosamente trascritto con una O. puntata sui pochi e ormai consunti biglietti da visita, era il massiccio rumoroso chiavistello col quale, appena rientrato dal lavoro, sbarrava la porta di casa al mondo esterno.
E unico rimedio al suo isolamento era il poggiare l'occhio sullo spioncino al rincasare dell'odiato dirimpettaio, che giudicava fastidiosamente esuberante e spendaccione. In verità, Bernardo O. D.B. era anche invidioso, non solo delle cose che non possedeva, ma della stessa vita degli altri, sentimento che lo rodeva come un continuo fastidioso tarlo.
Per dirla tutta, non c'era nulla che gli importasse veramente se non di rimanere vivo, evitando ogni pericolo in agguato nella vita esterna; nulla che valesse la spinta vitale: l'amore ad esempio, anche se a tutti gli effetti, come uomo, non fosse del tutto da buttare via. Il fatto era che la questione matrimonio non lo aveva mai convinto. L'unica ragazza verso la quale gli era sembrato di sentir aleggiare un tiepido venticello amoroso, era stata alla fine scartata in base a un ragionamento di incontestabile prudenza: la vita a due sarebbe costata una cifra spropositata, e i figli, non ne parliamo, lo avrebbero di certo spolpato delle sue non esaltanti ricchezze così faticosamente accumulate.
Nel suo prevedibile tragitto giornaliero casa ufficio casa c'era una sola persona con la quale riuscisse a scambiare un minimo autentico dialogo: l'anziana portiera dello stabile, che settimanalmente, per pochi soldi, faceva un po' di pulizie e gli preparava una scorta di cibo.
Proviamo a descrivere, per quanto è in seguito emerso dalle notizie su Bernardo O. D. B., il dialogo tipo tra i due:
“Dottor De Bernardis”, così iniziava sempre la donna (sentirsi chiamare dottore solleticava moltissimo quello strano condomino), “per questa settimana avrei in mente di prepararle una purea di patate e piselli con fegatelli di maiale, che potrà tenere in frigo per vari giorni”.
Risposta di Bernardo O.D.B.:
“a che prezzo starebbero oggi i fegatelli in quel diavolo di mercato di via Roma? Perché nel caso costassero come la scorsa settimana, potrebbero anche andarmi di traverso, no grazie, basterà una frittatina di cipolle e... due foglie d'insalata, per il resto si vedrà”.
Non c'era molto altro nella loro conversazione, salvo, alla fine del pasto, quelle poche volte che l'anziana tornava a rigovernare e lo trovava ancora seduto al tavolo, la prevedibile seguente frase di lui: “era tutto molto buono... molto gustoso”.
Per il resto, rimaneva perlopiù barricato in casa, e mai e poi mai avrebbe immaginato di aprire la porta a qualche conoscente, figuriamoci a degli estranei. Poi, come si diceva all'inizio, anche la vita di Bernardo O., nonostante tutte le cautele del caso, prese una direzione imprevista.
Uno dei soliti pomeriggi, mentre se ne stava seduto davanti alla TV sonnecchiando serenamente senza un pensiero in testa, il campanello aveva suonato. La sua stessa poltrona aveva sussultato: lei, così placida e abitudinaria come i glutei del suo padrone; ma poi questo (la curiosità non gli mancava) era andato a guardare dallo spioncino chi si fosse avventurato presso la sua porta.
L'individuo che poteva osservare da quella scomoda postazione esibiva un'aria piuttosto bonaria e rassicurante: per l'aspetto pingue e il sorriso amabile che aveva stampato sulla faccia, e per una strana cartella di colore verde, che teneva stretta al petto e pareva quasi accarezzare.
Ma non era certo questo che avrebbe convinto B. O. a farlo entrare, ci sarebbe voluto ben altro.
Si vede che era destino però, perché la frase che l'uomo affabilmente pronunciò al di là della porta alla fine lo convinse: “dottor Bernardo O. De Bernardis (il tizio la sapeva lunga), è giunta voce presso il nostro ufficio del suo particolare desiderio di tutelarsi da stupidi incidenti mortali, ecco, vorrei mostrarle un catalogo che fa giusto al caso suo...”
Che possiamo aggiungere? Fu quella la frase che convinse B. ad osare, ad aprire l'uscio a un perfetto sconosciuto, ma soprattutto la strana cartella verde che l'uomo stringeva con tanta misteriosa cura. Come si diceva, a B. la curiosità non mancava e forse, a ben guardare, si era un poco stancato del suo noioso tran tran e della sua perenne diffidenza.
“Non ho nulla da offrirle però”, si premurò di anticipare Bernardo prima di farlo accomodare, sinceramente dispiacendosene, non aveva proprio nulla nella dispensa per il suo ospite.
“Non si preoccupi” rispose con voce calda e amichevole l'uomo, che si era seduto su una piccola sedia con l'enorme deretano che gli pendeva ai lati, “la cosa importante è mostrarle il mio catalogo speciale, la pregherei però di concedermi la massima attenzione, in poche parole fugherò qualsiasi suo dubbio”
Bernardo, poco abituato a sostenere una conversazione, se ne stava timidamente in ascolto senza alcuna intenzione di interrompere l'ospite.
“Vengo al dunque dottor De Bernardis: la polizza “E se domani...” che sto per mostrarle, nasce proprio con l'intento di assicurare ai nostri clienti la possibilità di mettersi al riparo da tutta una serie di imprevedibili cause di morte alle quali oggigiorno è facile andare incontro, e di scegliere dal nostro catalogo il più sicuro e personalizzato trapasso.
Bernardo O. era rimasto attonito ma, per molti versi, anche piacevolmente sorpreso. Quell'uomo era andato al centro del problema. Non importava quale fosse il misterioso ufficio di provenienza del suo ospite, o le moderne diavolerie informatiche dalle quali avesse estrapolato i suoi dati e bisogni profondi. Solo un fatto era certo, quello voleva vendergli l'unica merce per la quale era disposto a tirar fuori i suoi denari: la possibilità di evitare stupidi incidenti, di allontanare il più possibile lo spettro della morte. E un'altra piacevole sorpresa lo aspettava e stava per togliergli ogni residuo dubbio: quel contratto non gli sarebbe costato nulla. Si trattava di un catalogo nuovo di zecca, e ai primi dieci clienti veniva offerto gratis tutto il servizio, spese per il funerale comprese.
Il campionario prevedeva diversi tipi di morte:
quello per malattia dolorosa, ma con decorso breve, che alcuni sceglievano, strano a dirsi, in remissione dei loro peccati; quello dolce nel sonno, ma senza la garanzia di una scadenza temporale; quello per suicidio assistito per decisione già presa dal cliente, che offriva il vantaggio di un alto standard di supporto tecnico e un trapasso rapido e indolore, e diversi altri che B.O. aveva scartato con un chiaro movimento della testa mentre l'uomo li andava enumerando.
Poi c'era l'ultimo tipo, e Bernardo comprese al volo che era il suo: la morte in seguito a lunga e serena vecchiaia; in questo caso però non era precisabile la qualità delle abilità mentali e fisiche dell'ultimo anno. “Poca cosa a ben vedere”, aveva chiosato il suo interlocutore.
“Signor Bernardo, il catalogo è questo”, aveva poi concluso l'uomo, facendo riecheggiare nella testa del suo cliente un celebre motivetto. Bernardo non aveva avuto il minimo dubbio, aveva fatto le sue rapide considerazioni e apposto la firma sull'ultima scelta.
Fuori, intanto, aveva continuato a piovere a dirotto, e ora il simpatico venditore si apprestava a recuperare i glutei dalla sedia e a lasciare col suo bonario sorriso e una bella stretta di mano il primo dei suoi dieci fortunati clienti. L'uomo, una volta lasciato l'appartamento, era arrivato fin sotto al portoncino del palazzo, ed ecco che Bernardo, guardando dalla finestra, si era reso conto che si sarebbe certamente infradiciato visto che non aveva con sé un ombrello.
Per la prima volta nella sua vita lasciò l'uscio di casa aperto e corse per le scale urlando a perdifiato all'uomo di aspettarlo, che gli portava uno dei suoi... Ma quello, mentre alzava gli occhi verso la tromba delle scale, udì un urlo: Bernardo O. era scivolato malamente sull'ultimo gradino della seconda rampa, aveva battuto la testa ed era morto.
Il pingue venditore non aveva mosso un muscolo, se un muscolo poteva darsi tra tutta quella ciccia, e aveva sussurrato tra sé: accidenti... ho dimenticato di fargli sottoscrivere la clausola “CASO”, e se n'era uscito tranquillo sotto la pioggia.
Quella fondamentale postilla, che in effetti prevedeva una specifica tutela dagli incidenti dovuti al caso, era, a ben vedere, come per ogni contratto che si rispetti, riportata con minuta illeggibile grafia nell'ultima riga dell'ultima pagina del contratto, e B.O. De Bernardis non avrebbe mai potuto leggerla, tanto meno sottoscriverla.

 

 
 


Maria Maddalena Panunzi, nata nel 1952 in provincia di Viterbo, vive da sempre a Roma.
Ha svolto per diversi anni attività di volontariato in realtà di carattere sociale e ha poi   lavorato come Educatore Professionale dapprima nell’Istituto Penale Minorile Malaspina di Palermo e successivamente presso l'Istituto Penale Minorile “Casal del Marmo” di Roma.

Ha sempre avuto un forte interesse per la letteratura e dalla passione per i libri è scaturito il desiderio di cimentarsi nella scrittura. Si è poi dedicata con più costanza allo scrivere, anche grazie al laboratorio della scrittrice e giornalista Cinzia Tani. Ha pubblicato, all'interno di questo, una serie di racconti in volumi di autori vari. Del 2018 è il suo primo romanzo Graffi (Robin Edizioni, Torino) e del 2019 un racconto nel volume di autori vari della casa editrice “L'Occhio di Horus APS”.