venerdì 26 agosto 2022

 

Cinzia BALDAZZI – Francesca Peronace e i Sentieri nascosti di donne

 

 


 

Francesca Peronace

Sentieri nascosti di donne

Macerata, Edizioni Simple, 2020

pp. 116, € 14,00

 

 

   Essendo una donna, leggere un libro creato da una rappresentante del mio genere, inoltre rivolto ad affascinanti figure - famose o sconosciute alla maggioranza - avrebbe potuto comportare un esercizio critico difficile da mantenere su un piano di ampia serenità di giudizio, così com’è giusto sia quando la lettura non intende offrire un poco utile, esplicito criterio di piacere o dispiacere rispetto al testo: piuttosto, lo scopo sarebbe di delinearne una ipotetica mappa ermeneutica essenziale, magari proficua per molti. Affinché ciò accada, l’esegesi proposta non deve lasciarsi totalmente persuadere da attitudini di gusto naturali o storiche scontate: in procinto di sfogliare le pagine, l’incipit utopico di valutazione dovrà coincidere - per uniformarsi all’atmosfera matematica preminente nell’intera opera - con uno “zero” comune di partenza alimentato da scelte certo di indole soggettiva, però motivate da una cultura in progress, non condizionata.

   Ebbene, a questo punto posso affermare di aver apprezzato i Sentieri nascosti di donne di Francesca Peronace non perché sia collegata anche io all’estesa famiglia femminile, bensì in quanto tra le righe ho individuato messaggi etici, intellettuali, operativi, scientifici, di fratellanza, appartenenti a “sorelle” fautrici assolute della Natura, se non della Società.

   Tra le dèe dell’epoca antica ho sempre amato Atena (in attico θην, Athēnâ), l’icona greca della sapienza, dell’ars, della strategia in battaglia,  che vorrei credere paladina in particolare delle scienziate raccontate dalla Peronace, ossia Maria Gaetana Agnesi, Mileva Maric’ e Marie Sklodowska Curie: ma soprattutto di Ipazia di Alessandria (cui la scrittrice dèdica un’appassionata apertura): la sua breve vita si svolse tra il IV e il V secolo d.C., in un’èra di tramonto delle divinità classiche e di pieno dominio del Cristianesimo.

 

Ipazia


   Di Pallade (Παλλάς θην) troviamo testimonianza primaria su una tavoletta micenea in lineare B, Atana potinija, mentre l’epiteto più arcaico, quello omerico, corrisponde a “Glaucopide”, cioè “dagli occhi verdeazzurro” come la civetta, emblema adottato per indicarla poi sulle dracme ateniesi. In ogni caso, l’ammaliante dèa dell’Olimpo proteggerebbe tutte le protagoniste dei sentieri percorsi dalla nostra autrice (incluso l’eccezionale genio matematico Evariste Galois, unico uomo inserito nel libro). Del resto Minerva (il suo nome latino) per un verso possiede prerogative schiettamente muliebri, per l’altro esibisce in grande misura propensioni mascoline, poteri attribuiti all’uomo dalla tradizione. 

   La vergine, abitante dell’altissima montagna della Grecia (tra la Tessaglia e la Macedonia), che non subisce il giogo del matrimonio né ha esperienza dell’incontro sessuale, nasce da Zeus senza bisogno nemmeno di una madre, tanto vuole sembrare libera dai pesanti legami ancestrali correlati alla γυνή (ghiuné) nella famiglia: secondo il mito, Zeus sposò Metis, la Sapienza, per inghiottirla, rilevandone quindi l’intelligenza; al momento propizio, Efesto frantumò la testa del dio con un colpo di scure e da lì balzò fuori la Dèa, già adulta e ben armata.

   Ringraziamo Francesca Peronace per aver dato “voce da donna” alle donne, in linea con l’indimenticabile Gaspara Stampa allorché raccomandava con sapienza alle sue lettrici femminili le grazie di un illustre signore: «Ma, s’ella è donna, non s’affissi molto, / ché resterà subitamente presa / fra mille meraviglie del volto». Simili versi ben si addicono al racconto dedicato da Francesca all’avvocato Ortenzia, uno dei quattro personaggi femminili (insieme a Carmela la sarta, Anna l’insegnante, Samantha la ballerina) «di pura fantasia, che esercitano i mestieri più disparati, che hanno vite differenti e collocate in ambienti diversi, anch’essi di fantasia». Nel cuore della narrazione, leggiamo di un abbraccio meraviglioso, affidato da Ortenzia alle parole di Pablo Neruda: «Altre volte ancora un abbraccio, se silenzioso, / fa vibrare l’anima e rivela ciò che ancora non si sa / o si ha paura di sapere. / Ma il più delle volte un abbraccio / è staccare un pezzettino di sé / per donarlo all’altro / affinché possa continuare il proprio cammino meno solo».

 

Maria Gaetana Agnesi

 

   Leggendo le storie della Peronace, il pensiero va all’inglese Henry Moore, conosciuto per le sculture in bronzo semi-astratte di rilevanti dimensioni (accolte come opere d’arte pubbliche): nel suo macrocosmo, ovviamente di chiave maschile, ha voluto acquisire come leitmotiv l’archetipo materno dei dolmen. Il dolmen è una tomba megalitica preistorica a camera singola la quale, insieme al cromlech (come a Stonehenge) e al menhir, costituisce l’esempio più noto tra i monumenti megalitici. La realizzazione dei dolmen viene collocata nell’intervallo di tempo tra il V millennio a.C. e la fine del terzo,  e nello schema si intravedono i temi fondamentali dell’essere madre nel suo habitat naturale, il cielo, la terra verde, la pietra: «Il cielo rimanda a qualcosa di sacro, al miracolo della vita», scrive la studiosa Roberta Franchi, «la terra è il simbolo cosmico del grembo materno, della fecondità; la pietra sta a indicare che la maternità radica l’individuo, è la cava da cui ogni essere viene alla luce».

   Il lessico delle testimonianze romanzate dalla Peronace risulta molto intenso e, in Elisa e Gianna (due donne una storia), quando la protagonista dichiara «Mi sento svuotata, i sogni, le speranze, i progetti, la vita mi si sbriciolano tra le mani», in un primo momento soffriamo con Elisa, in seguito comprendiamo che, comunque sarà l’epilogo della vicenda contenuta nel diario, la facoltà di mettere al mondo altre creature - sulla quale si sono misurate filologia, filosofia, biologia, mito, teologia - rappresenta uno dei pochi valori indiscussi dell’iter umano: per rimanere in ambito pre-storico, pensiamo allora a Çatalhöyük e Hacilar nell’Anatolia centrale, i cui siti neolitici suggeriscono la presenza di potenti figure femminili, di γυναίκες (ghiunaikès) all’altezza di giocare un ruolo consistente nell’immaginario religioso della comunità.


Maria Skłodowska Curie

 

   Nelle note introduttive a Sentieri nascosti di donne l’autrice dichiara: «Ancora oggi, malgrado molte donne occupino ruoli di prestigio, si parla al maschile». Dopo aver apprezzato gli esempi in parte storici, in parte alimentati dal mito, in parte di pura fantasia, vorrei dedicare a Francesca Peronace la vicenda della mitica Gaia.

   Ricordate Esiodo? Tra gli esametri di Teogonia ecco Gaia, «che in principio generò, uguale a sé, / Urano stellato, affinché l’avvolgesse tutta intorno». Effigie assai complessa, quella di Gaia, essendo capace di riprodursi lontana dall’apporto del maschio in una fase ancora contraddistinta dal Caos. Unita a Urano, in breve è costretta a rivoltarsi all’abbraccio insaziabile del compagno: «Uguale a sé», poiché, precisa Roberta Franchi, «i figli procreati, presi in odio dal padre, non vedono la luce nel suo seno, ma sono respinti nelle sue profondità». Stanca e addolorata, la dèa fabbrica una falce tagliente per consegnarla ai Titani con l’obiettivo di servirsene ai danni del genitore. Crono, il più ambizioso, lo colpisce ai genitali nel sonno, prendendone poi il posto. L’episodio è narrato da Esiodo con una dovizia toccante di dettagli, parallela al tormento di Gaia, espressione della fatica sopportata da questa figura divina durante il travaglio causato dal globo terrestre nel concepire le due entità radici del Cosmo: quasi, agli inizi, il Cielo virile volesse tenere compressa sotto di sé la Terra femminile. A dispetto dell’evirazione di Urano, Gaia continua a generare: dietro suo suggerimento, Zeus è nominato sovrano supremo e, come già accennato, dalla testa scaturirà Pallade Atena, protettrice delle scienze, delle arti, delle lettere, nonché del coraggio.

   Sigmund Freud, in un viaggio a Roma, ne acquisterà una miniatura per collocarla nella collezione casalinga di antichi oggetti artistici ed ex voto, ma la statuetta conservata dal padre della psicoanalisi non è uguale al monumento imponente che domina la Ringstrasse a Vienna: quest’ultima tiene una lancia nella mano sinistra e nell’altra una piccola Nike, mentre al souvenir acquistato in Italia manca la lancia, perduta per l’usura del tempo. Priva dell’asta, identificata come simbolo fallico, la divinità della conoscenza e della guerra viene giudicata da Freud perfetta, ineccepibile in quanto non contaminata da connotati mascolini.

 

Mileva Marić


   In omaggio alla scrittura di Francesca Peronace, concludo citando la personificazione di Atena nel Pilade di Pier Paolo Pasolini, una sorta di sequel ideologico dell’Orestea di Eschilo dove si ipotizza il ritorno ad Argo del figlio di Clitennestra e Agamennone dopo il proscioglimento all’Areopago. Una celebre mise en scène del lavoro avvenne nella cava del teatro greco di Taormina nel 1969. Nell’Orestea originale eschilea, Atena tiene sotto controllo le Erinni (personificazione femminile della vendetta) e le converte in figure benevole, istintive, ataviche, sottraendole alla struttura informe della Natura, allo stravolgimento dello status quo. Pasolini costruì una lettura personale del μύθος (miùthos) accentuando il ruolo razionalista di Atena nella creazione delle istituzioni moderne e in particolare della prima assemblea democratica.

   Dunque, nonostante la storia sia stata raccontata da due uomini, a distanza tra loro di quasi duemila anni, siamo in presenza di un messaggio inequivocabile e suggestivo, che potrebbe fare da sigla al lodevole lavoro di Francesca Peronace: la società attuale è nata da una donna.

 


Francesca Peronace è nata a Catanzaro Lido, vive e lavora a Roma.

Laureata in matematica, poco più che ventenne ha cominciato a insegnare e ha proseguito fino all’età della pensione.

Ha conseguito le abilitazioni in Matematica, Matematica applicata, Fisica, Informatica gestionale e sistemi. Ha svolto attività di formatrice ai corsi TIC A e B per i docenti ed è stata responsabile degli ECDL.

È stata esaminatrice nei concorsi a cattedra, docente in numerosi corsi abilitanti, più volte Presidente di Commissione agli esami di maturità.

Sentieri nascosti di donne è il suo primo libro.


Francesca Peronace