lunedì 13 dicembre 2021

 

 Cinzia BALDAZZI – “L’Universo in rivolta”: invito alla lettura

 

L’Universo in rivolta

una storia di Alessandra Montali

illustrazioni di Manuela Testaferri

Fermo, edizioni Zefiro, 2021, pp. 32, € 12,00 

 


Nella nostra epoca, in cui l’arte di raccontare storie è stata dimenticata e rimpiazzata dalla sociologia amatoriale e dalla psicologia d’accatto, il bambino è ancora un lettore indipendente che non si fida di altro che non sia il suo gusto. Nomi e autorità non significano niente per lui. Quando la letteratura per adulti sarà andata in rovina, per molto tempo ancora i libri per bambini costituiranno le ultime vestigia dell’arte di raccontare storie, del senso logico, della fede nella famiglia, in Dio e nel vero umanesimo.

Isaac B. Singer, I bambini sono i migliori critici letterari? 

 

   Nelle ultime due tavole della micro-story L’Universo in rivolta di Alessandra Montali, illustrato da Manuela Testaferri, in un magico, suggestivo accordo di colori, il Sole campeggia rosso-arancio sul paesaggio urbano, la Luna rifulge bianca-blu tra le stelle. La coppia di astri è tratteggiata conferendo a ciascuno le dimensioni dell’altro. Ora, nella realtà fisica hanno misure alquanto differenti, nonostante all’osservatore terrestre appaiano sorprendentemente della medesima estensione. Ciò è particolarmente chiaro durante la giornata quando il cielo è appena coperto, al tramonto o di notte al plenilunio. Il fanciullo, al contrario dell’adulto, non si chiede come sia possibile.

   Il diametro della Luna è 1/400 di quello del Sole, ma anche la sua distanza dalla Terra è di 1/400 rispetto a quella del Sole. L’affascinante concomitanza è in grado di spiegare l’illusione dell’uguale grandezza dei corpi celesti: il satellite ispiratore di tanta poesia risulta, nel reale, quattrocento volte più piccolo, ma anche quattrocento volte più vicino a noi (tale caratteristica gli permette di essere protagonista delle eclissi solari). 


   Nella fiaba della Montali, l’interagire di Sole e Luna (sfiorarsi, conoscersi, parlare) è quindi reso attuale da un’impressione quotidiana universalmente sperimentata alla cui base però rintracciamo una precisa relazione geometrica. Analoga suppongo sia la natura delle annotazioni astronomiche e geologiche premesse da Italo Calvino ai racconti compresi nelle Cosmicomiche: fissato il dato scientifico, la scrittura procede sino alle estreme conseguenze creative, nondimeno avendo a fondamento un dato obbiettivo inoppugnabile.

   La short tale della nostra Alessandra è connesso con l’arco referenziale dell’astronomia, dell’astrologia, nonché della cultura collettiva e delle antiche leggende. Il bambino-lettore ritroverà nel nucleo della trama-intreccio, nelle figure, il rapporto profondo esistente tra i due luminari, gli stessi che nell’individuo primitivo suscitavano emotività, magari alcune riflessioni, a lato di paure di matrice empirica. La psicologia popolare attribuiva a λιος (Èlios) il ruolo attivo, maschile, lo Yang, a Σελήνη (Selène) quella ricettiva, femminile, lo Yin. Con l’avvento della psicoanalisi, una simile lettura venne corretta per consentire un paio di distinte incarnazioni: la zona solare cosciente, razionale, illuminata, a fronte degli abissi lunari dell’inconscio colmi di mistero ma anche di empatia, sensibilità, sogno, fantasia.

   Sia nella parola poetica sia nei disegni emergono indizi semantici di terminologie folkloriche, come la Luna impegnata a cambiarsi “d’abito” passando da una fase all’altra. E non poteva mancare, con lo scopo di offrire un assunto narrativo propedeutico, il progetto soprannaturale del terzo giorno, quando Dio disse: «Vi siano i luminari nel firmamento del cielo per separare il giorno dalla notte e per far luce sulla terra».

   «La fiaba è un residuo», scriveva Walter Benjamin nel 1924, «forse il più potente che si trovi nella storia spirituale dell’umanità: un prodotto di scarto nel processo della nascita e della decadenza della leggenda». All’insigne critico, proprietario di una nutritissima biblioteca di testi per l’infanzia, stava molto a cuore il nesso centrale delle immagini: 

C’è una cosa che salva persino le opere più antiquate, meno libere dal pregiudizio di quest’epoca: l’illustrazione. Quest’ultima sfuggiva al controllo delle teorie filantropiche, e gli artisti e i bambini si sono messi presto d’accordo alle spalle dei pedagogisti. 

   Nell’apparato iconografico approntato dalla Testaferri per la story di Alessandra Montali sembra trapelare il pensiero dello studioso berlinese, così come le affermazioni del contemporaneo Davide Brullo, secondo il quale «le illustrazioni salvano i libri “per bambini” dall’ossessione pedagogica e dai santi intenti di edificare buoni cittadini in batteria scolastica».

  Ed è con due emblemi, saldi in un perfetto costrutto di forma-contenuto, che si apre L’Universo in rivolta: La Luna trasmette malinconia, sofferente per il silenzio e la solitudine dell’oscurità, il Sole accusa stanchezza a causa del frastuono e del traffico diurno. 


   Con il supporto delle stelle, la maestosa coppia di astri si incontra per correggere la rotta della propria routine cosmica. La Luna prende le vesti del Sole, e viceversa: 

In un batter d’occhio il Sole e la Luna sgusciarono fuori dai loro abiti e s’infilarono l’uno nella veste dell’altro. Il Sole entrò nella fresca tunica argentea della Luna e lei, a sua volta, si sentì subito a suo agio nella calda veste dorata del Sole. 

   La «fresca tunica argentea» e la «calda veste dorata» suscitano l’impressione di enfatizzare una fisionomia commutabile, intercambiabile nelle figure celesti, come se i rispettivi spazi operativi derivassero dall’abbigliamento: ardente l’emanazione solare, freddo il chiarore lunare. Quasi i protagonisti fossero titolari di “mestieri” che, dipendendo nell’hic et nunc favolistico da una sorta di oggetto magico (l’abito), possano diventare elemento di mutua sostituzione a patto di invertire gli “strumenti di lavoro”.

   Ciò è vero nella misura in cui lo scambio investe l’aspetto esteriore: dalla mattina alla sera la Luna riceve, in dono, i luminosissimi raggi solari, mentre il Sole gode dell’eredità di un candore lunare che continua a risaltare nel buio.

   A questo punto il mondo naturale sembrerebbe non debba risentirne. In realtà, gli episodi successivi mostrano come il gioco logico della Montali sia piuttosto sottile: la comparsa di una permuta esteriore determina al contrario un avvicendamento sostanziale. Il capovolgimento delle prerogative, l’inversione degli “strumenti di lavoro”, l’appropriarsi dell’area reciproca, scatenano contraccolpi ingenti e inattesi. Del resto, ripeteva Gianni Rodari: 

La fiaba è il luogo di tutte le ipotesi: essa ci può dare delle chiavi per entrare nella realtà per strade nuove, può aiutare il bambino a conoscere il mondo. 

     Ecco, innanzitutto, lo spiazzamento meteorologico: 

La notte era sempre più calda ed il giorno sempre più fresco. Nessuno ci capiva più niente! 

   Gli astri, camuffati l’uno con l’altro, non possono rinunciare alla loro profonda natura, a essere quello che sono. La Luna, ovvero “il nuovo Sole”, non riesce a scaldare il giorno, condannato a rimanere rigido; il Sole, cioè “la nuova Luna”, innalza a dismisura la temperatura di notte.

   Pur trasferito nella quiete delle tenebre tanto desiderata, il Sole conduce con sé l’indole infuocata spargendo un calore innaturale, mentre la Luna, malgrado sia collocata in un’atmosfera vivace e animata, lascia al gelo le creature, dall’aurora al crepuscolo. Gli umani trascorrono una primavera con i vestiti pesanti, gli uccelletti sudano negli abituali voli notturni.                                            


   Siamo così all’istanza centrale de L’Universo in rivolta, la cui trattazione potrà essere introdotta e rischiarata da un ulteriore monito del critico tedesco: 

Il bambino può disporre della materia della fiaba nello stesso modo sovrano e naturale in cui dispone dei pezzi di stoffa e delle pietre da costruzione. 

   Nella morfologia classica della favola, come l’ha elaborata il russo Vladimir Jakovlevič Propp nel 1928, ogni eroe, eroina, aiutante, antagonista (buoni o malvagi) assolve un compito. La griglia logico-intuitiva da lui sviluppata prevede una tipologia più o meno stabile: ciascun μθος (miùthos) possiede a fondamento una struttura monotipica, basata sul procedere regolato di funzioni. Queste ultime si definiscono “gesti” o “imprese” compiuti dai personaggi con puntuali ripercussioni sulle tappe successive del plot.

   Circa mezzo secolo dopo, lo schema formalista proppiano è stato considerato riferimento di un repertorio - destinato a giovanissimi - che cercava di ribaltarne l’assunto globale. In Italia, esemplari sono in tal senso Variazioni sopra una nota sola di Raffaele La Capria e Pinocchio con gli stivali di Luigi Malerba, entrambi pubblicati nel 1977.

   Nell’opera di La Capria, una nota, insoddisfatta dello spartito in cui agisce («Mi dispiace, ma Danubio Blu non è di mio gusto»), diserta il posto usuale: procura stonature e disastri entrando nell’acuto di un soprano al teatro dell’opera, salta sulle corde di un violino durante un concerto di Mozart in diretta televisiva, sta per scatenare una guerra infilandosi nel trombone di una parata militare in onore di un capo straniero. Nella protesta della bambina protagonista, piccola allieva di pianoforte, si legge una condanna dello sperimentalismo musicale fine a se stesso.

   Malerba si esercita invece nel vasto panorama delle fabulae famose, con l’atto di assegnare ad alcuni main characters la volontà di sparigliare le coppie, sconvolgere i moduli, di giocare, vale a dire, con i «pezzi di stoffa» e le «pietre da costruzione» suggerite da Benjamin.

   Pinocchio, scappato dal capitolo 36 delle proprie peripezie, abbandonato Geppetto in mare aperto, affronta prima Cenerentola e il principe, poi Cappuccetto Rosso e il Lupo, avanzando a tutti la proposta di scambiare i relativi incarichi: il tentativo di seminare disordine nelle fiabe altrui fallisce miseramente. Le singole figure, chiarisce il Lupo, adempiono a una “missione” precisa e di conseguenza non è possibile alterarla: «Tu sei venuto qua a fare della confusione e niente altro. La nostra favola va avanti benissimo da secoli così com'è!». Poi Cappuccetto, con il tono di una noiosa maestrina, rifiuta di correggere il proprio tragitto: 

Cappuccetto Rosso spiegò a Pinocchio che poteva arrivare con qualche minuto di ritardo, questo sì, ma che per forza doveva incontrare il Lupo e per forza doveva andare dalla Nonna perché così stava scritto nella favola. 

 


   Ne L’Universo in rivolta l’estro creativo consiste in tutto ciò che prima non c’era e che si pensava fosse irrealizzabile («quando inventano storie, i bambini sono registi che non si lasciano tarpare le ali dal senso», avvertiva sempre Walter Benjamin). Altrettanto giusta (prendendo a prestito le parole della studiosa Cristina La Bella) l’idea di una letteratura in forma di gigantesco, spassoso balocco da aprire e ricomporre a piacimento; sacrosanto, infine, il ricorso al pre-razionale, alla fantasia sfrenata, alla messa in discussione delle sicurezze date.

   Un simile status torna utile a legittimare le trasgressioni narratologiche diffuse negli anni ’70: per Luigi Malerba, sostiene Cristina La Bella, «la rottura dell’ordine è l’opportunità per costruire qualcosa di nuovo», e lo scrittore «fa in modo che sia il lettore a dubitare e a mettere in crisi le proprie certezze». Un settore editoriale altamente ideologizzato, peraltro sorretto dal mercato, insisteva all’epoca sulla deriva “rivoluzionaria” di autori anche importanti. Prosegue La Bella: 

Scompaginare la tradizione è il mestiere di Malerba, che al pari di Gianni Rodari, Tommaso Landolfi, Italo Calvino e Cesare Zavattini, rispolvera la favola d’autore, adattandola alla realtà contingente, rivitalizzando gli antichi loci comuni, reinventando, dove necessario, il linguaggio stesso. 

   Malerba conclude: «Se tutti rispettassero la tradizione il mondo non farebbe mai un passo avanti!». Eppure, riconduce di peso Pinocchio al capitolo da cui era fuggito, lasciando la trovata originaria alla difficile fase della ricostruzione: «Ci vollero degli anni per rimettere in ordine la favola del Gatto con gli stivali». La semplice volontà di ribellione alle regole in uso, alla quale comunque si rende l’onore delle armi, nulla può contro il canone secolare o millenario che impone il ristabilimento della norma.

   Ne L’Universo in rivolta, Alessandra Montali e Manuela Testaferri muovono il racconto lungo binari analoghi. Di comune accordo, dopo aver scardinato l’assetto cosmologico, spostato qua e là pianeti e satelliti, costretto il vento e le nuvole a fungere da gregari agli astri maggiori, restaurano lo stato antecedente. Ed ecco, dunque, delinearsi la sfumatura specifica, il dato inedito del messaggio: non si tratta di un obbligato e rigoroso ritorno al cliché costituito, bensì di una sovversione vissuta e sperimentata nel concreto, poi trascurata, direi “scartata”, per motivi ulteriori al mancato “funzionamento” del nuovo ordine.  

   Nell’epilogo, infatti, subentra la delusione e il conseguente ripensamento. Il mitico Sole si ingegna invano nel conversare con le stelle («le quali però, per il caldo torrido che c’era, se ne stavano ben lontane») e la pensierosa Luna avverte lo stress del ritmo diurno («Tutti lo chiamavano e lo cercavano»), poiché subisce il curioso contrappasso di non riuscire a dormire per il frastuono, rovesciando su di lei la credenza popolare per cui il plenilunio ostacola il sonno della gente.

 


   Sotto le apparenze, i soggetti in campo rimangono gli stessi. Nell’apologo della Montali l’enunciato provoca la crisi d’identità dei personaggi, infine decisi a ripristinare l’integrità dei rispettivi ruoli nel sistema del cosmo: 

I due si guardarono lungamente e si abbracciarono. Poi uscirono dagli abiti che avevano addosso per riprendersi i propri: la calda veste dorata per il Sole e la fresca tunica argentea per la Luna. 

   Se la conclusione inscrive L’Universo in rivolta nel repertorio migliore della favola con i suoi meccanismi di segni-segnali, la inquadra anche in un moto dell’animo profondo, in una serie di considerazioni legate al pragmatismo personale, alla propensione ad agire in un certo modo, all’impegno a far bene: in una parola, alla volontà.

   Tramite la parabola della Luna e del Sole, ritratti in taglio antropomorfico per un pubblico di giovanissimi destinatari, le autrici invitano a non distogliere lo sguardo dagli autentici obiettivi dell’esistenza: 

Ognuno aveva imparato a conoscere un po’ dell’altro, ma aveva anche capito quanto fosse importante essere quel che si è. 

   Nella contro-fiaba di Raffaele La Capria, la bimba rimprovera la nota musicale sovvertitrice dell’armonia e degli accordi: 

Dice il mio babbo che ognuno per tutta la vita non può che ripetere una nota, la sua, quella che lo distingue da tutti gli altri. 

E di fronte alla diffidenza della minuscola interlocutrice, prosegue: 

-          - Vuol dire che non si può fare come te che salti di qua e salti di là.

-          - E perché no?

-          - Perché… Perché devi volere una cosa sola!

-         -  Quale cosa?

-         - Quella per cui siamo indispensabili!

 

   Nel 1846, Søren Kierkegaard precisava che «si può aver riconosciuto una cosa molte volte, si può averla tentata», ma avvisava: «Non sfibrare il tuo spirito con desideri a metà e pensieri a metà!». E concludeva: «Chi riesce a scegliere, a performare la propria volontà nella direzione della purezza, “vuole una cosa sola”, ossia “vuole il bene”».

   Anche per i simpatici protagonisti de L’Universo in rivolta, la purezza del cuore risiede nel lottare e nel decidere di volere una cosa sola.

 


LE AUTRICI

Alessandra e Manuela sono due amiche che si sono incontrate quasi per caso un giorno di primavera di alcuni anni fa. A legarle sono state la passione per la creatività e le storie belle per i ragazzi.

Alessandra scrive prendendo spunto anche dai suoi alunni e Manuela dipinge le righe, trasformandole in capolavori a colori.

Il loro motto? Insieme si vola!

 

 

Alessandra Montali vive a Chiaravalle (An) con un barboncino e due gatte. Docente di scuola primaria, è da sempre appassionata di lettura e scrittura. Socia fondatrice dell’associazione culturale Euterpe di Jesi, ha pubblicato diversi libri per bambini e partecipato a concorsi letterari ottenendo vari riconoscimenti. Scrive sempre in compagnia della musica. 

 

Manuela Testaferri ama il mondo dei bambini e questo l’ha portata a coltivare l’interesse per l’illustrazione d’infanzia. Formata alla scuola Comics, ha frequentato un seminario sul libro illustrato a Sarmede, il paese delle fiabe. Per lei, dare forma e colore alle immagini di un racconto dedicato ai più piccoli è, ogni volta, un vero viaggio nella meraviglia e nello stupore.





sabato 13 novembre 2021

 

Cinzia BALDAZZI - Pirandello e l’Accademia d’Italia. Un libro di Alberto Raffaelli

 

Alberto Raffaelli

La comparseria

Luigi Pirandello accademico d’Italia

Firenze, Franco Cesati Editore, 2018

pp. 212, € 25,00

 


Dal 1929 al 1936, negli ultimi otto anni della sua esistenza, Luigi Pirandello ha fatto parte dell’Accademia d’Italia. Lo studioso Alberto Raffaelli ha ricostruito l’intera vicenda nel volume La comparseria, attraverso un lungo e complesso lavoro archivistico unito alla definizione approfondita di un profilo psicologico tormentato e complesso. 

 

   Nonostante abbia sempre creduto nell’importanza di un ruolo non indifferente svolto dalla τχη (tiùche-sorte) nella produzione artistica, maturando le basi della mia struttura critica ho ritenuto fondamentale conoscere il contesto nel quale ogni autore ha realizzato, come suggerisce il maestro Walter Binni, «la propria natura artistica, il suo ideale estetico, il suo programma, i modi secondo i quali si propone di costruire». Mi sento allora dalla parte di Alberto Raffaelli quando, a premessa del suo studio La comparseria. Luigi Pirandello accademico d’Italia, scrive: 

Si tratta di una ricognizione che con l’ausilio di documenti anche inediti intende porsi nella scia della corrente storiografica originata dal «ritorno ai testi» risalente agli anni Sessanta, ma i cui punti di riferimento più pertinenti sono le ricerche che negli ultimi decenni, all’insegna di un filologismo variamente orientato, hanno teso a sfatare luoghi comuni e a sfrondare zone d’ombra non solo del profilo esistenziale dello scrittore, ma anche della sua poetica. 

   Si tratta della medesima poetica - analizzata dal professore perugino nella rinomata Poetica, critica e storia letteraria (1963) - equivalente allo «sfondo culturale animato dalle preferenze personali del poeta», oppure al «meccanismo inerente del fare poetico», alla «psicologia del poeta tradotta in termini letterari»

. Ebbene, ogni tessera di tale mosaico si svilupperebbe in sintonia con una chiave logico-euristica sequenziale di un divenire lineare, se non fosse che la poetica, al pari del personaggio storico-concreto di Pirandello, non risultassero, almeno agli occhi dei loro attenti destinatari, una zona d’ombra essi stessi. Pertanto, il traguardo prefissato da Raffaelli appare singolarmente impegnativo, dedicato com’è all’esplorazione analitica dei quasi otto anni in cui il commediografo appartenne alla Reale Accademia d’Italia, dalla nomina nel marzo 1929 alla morte nel dicembre 1936.

   Un’assidua opera di ricerca e consultazione effettuata presso l’Archivio dell’Accademia Nazionale dei Lincei è alla base del libro, dove si affida al primo e all’ultimo capitolo il nucleo del racconto, focalizzando negli altri alcune vicende nelle quali venne coinvolto lo scrittore dopo la nomina: la prolusione su Giovanni Verga nel 1931 per il cinquantenario de I Malavoglia, il premio Mussolini fatto avere a Rosso di San Secondo nel 1934, il convegno Volta sul teatro nello stesso anno. Una vera novità editoriale è costituita dalla collocazione in apertura del libro di un Siglario Bibliografico di ben trentadue pagine. 

Luigi Pirandello nell'uniforme di Accademico d'Italia

   Abbiamo accennato alla “zona d’ombra”, con riguardo alle difficoltà di interpretazione della sua figura complessiva. Raffaelli ne è cosciente, al punto di configurare l’appartenenza all’Accademia «come misura della socialità di Pirandello»: 

Nella vicenda dello scrittore siciliano […] l’osservazione del suo vissuto all’interno della massima istituzione culturale fascista fornisce conferme di uno stretto legame tra temperamento nevrotico e visibilità pubblica, nonché dell’alternanza tra fuga ripiegante e un’ansia gratificatoria a cui non sembra quasi mai rinunciare. 

   Si veda in proposito, nel primo capitolo, la gustosa ricostruzione delle ansie, delle palpitazioni, dell’attesa frenetica legata alla ufficializzazione dei primi ventinove personaggi “cooptati” nell’Accademia appena costituita. Prosegue Raffaelli (citando Luigi Martellini): 

Anche sotto una prospettiva politica, dal 1929 la feluca costituì per lo scrittore - negli alti e bassi della sua umoralità e più di quanto fosse avvenuto in precedenza col semplice tesseramento - la cartina di tornasole della sua «adesione al fascismo vissuta tra insofferenze e incomprensioni e in netto contrasto con i valori etici della sua opera, del suo sentimento disgregante della realtà». 

   Laddove, comunque, il repertorio pirandelliano poggia su una radice ispirativa naturale che si complica su se stessa, Raffaelli osserva: 

Dai documenti rivelanti i contorni e le coulisses di Pirandello accademico si ricava l’impressione della soggiacenza di un sentimento destrutturante che, come diffidava da sempre dei sistemi di pensiero, allo stesso modo condannava quella che poteva esserne considerata un omologo concreto: la concentrazione articolata ed estremamente formalizzata dei (supposti) massimi ingegni della nazione era cioè da lui avvertita come verticismo pseudo-meritocratico e non rappresentativo. 

   Nel saggio L’umorismo (1908), in attinenza alle teorie di Hippolyte Taine, fautore del positivismo sociologico, Pirandello spiega: 

Dopo aver considerato il cielo, il clima, il sole, la società, i costumi i pregiudizii, ecc., non dobbiamo forse appuntar lo sguardo sui singoli individui e domandarci che cosa siano divenuti in ciascuno di essi questi elementi, secondo lo speciale organamento psichico, la combinazione originaria, unica, che costituisce questo o quell’individuo? Dove uno s’abbandona, l’altro si rivolta; dove uno piange, l’altro ride; e ci può esser sempre qualcuno che ride e piange a un tempo.

 

Villa Farnesina, sede dell'Accademia d'Italia, in una stampa dell'epoca.


   In un simile fluire esistenziale ove convivono entità del tipo tesi-antitesi di ordine hegeliano, in un paio di occasioni - e La comparseria le espone in dettaglio - l’Accademia coincise con un punto di riferimento operativo nella trama-intreccio creativa del macrocosmo pirandelliano. Non solo: 

Nel quadro del faticoso rapporto dello scrittore col regime, l’Accademia contribuì a mantenere formalmente impeccabile l’adesione a esso, assicurando con efficienza la regolarità del suo tesseramento e risolvendogli anche alcuni problemi. 

   Non a caso il primo capitolo del libro di Raffaelli si chiude con un paragrafo dedicato a «tornaconti personali e guai»: l’influenza dell’Accademia gli permette accomodamenti piuttosto accettabili su questioni fiscali, risolvendo anche ostacoli legati a passaporti, diritti d’autore e quote sociali. In un passo de L’umorismo, Pirandello sembra parlare di se stesso: 

Del mondo che lo circonda, l’uomo, in questo o in quel tempo, non vede se non ciò che lo interessa: fin dall’infanzia, senza neppur sospettarlo, egli fa una scelta d’elementi e li accetta e accoglie in sé, e questi elementi, più tardi, sotto l’azione del sentimento, s’agiteranno per combinarsi nei modi più svariati.   

   Numerosi sono i documenti riportati nelle pagine de La comparseria attraverso cui trapela - oltre l’indagine storico-cronologica, specifica-obbiettiva - l’istanza esemplare di un’aura di analisi esegetica completa, poiché, nell’accogliere i suggerimenti binniani, suppongo Alberto Raffaelli abbia voluto, nella veste di critico, rafforzare la responsabilità del suo lavoro collaborando all’ulteriore enunciato del valore artistico dell’universo di segni-segnali pirandelliano, «della sua vita attuale nella continuità della sua vita critica precedente, e come opposizione a ogni forma di scostamento impressionistico o degustativo dell’opera d’arte». Il professor Arcangelo Leone de Castris, a proposito di alcuni brani pirandelliani tratti dai Saggi, Poesie, Scritti vari commentava: 

Una realtà dominata dall’irrazionale e dal relativo non può rispecchiarsi in un’arte che nel simbolo elude i termini concreti dal dramma storico, né un’arte che gli sovrapponga un’immagine falsamente ottimistica, arbitraria: l’arte moderna deve cogliere e rappresentare le mille voci discordi della coscienza contemporanea. 

   Ricostruendo la vicenda pirandelliana dell’Accademia, Raffaelli ha saputo ben difendere le istanze personali e storiche dell’autore di Uno, nessuno e centomila (1926), confrontandole in misura oggettiva con l’alternanza presente-passato, conservando nella propria esegesi una totale consapevolezza della polisemia del tema sviluppato, del suo composito svolgimento diacronico-sincronico. Improbabile appare infatti, in una poetica così caratterizzata - programmatica o in atto - individuare piani referenziali, materiali o affettivo-spirituali assoluti, in quanto nello spazio dell’Io conscio generatore (in contatto con le tracce dell’Inconscio) ciò è di per sé fuori luogo. Precisa è la notazione psicologica di Raffaelli: 

Fu anche la sfiducia in un reale fedelmente referenziale a renderlo riottoso verso l’Accademia, come in fondo egli era sempre stato nei riguardi di filiazioni e inquadramenti. 

   Nel 1931, dalla Francia il commediografo raccomandava alla secondogenita Rosalia Caterina detta Lietta: 

Cerca e trova in te una certezza, Lietta mia, e tieniti a essa aggrappata che non ti sturba. Non potrai trovarla, se non te la crei. E dunque non cercare nulla che non ti venga da te. Un sentimento di te, della tua vita, che sia di qualche cosa in cui possa consistere, certa. È difficile. 

Luigi Pirandello posa per il pittore Primo Conti.


   L’episodio del Nobel entra a pieno titolo in questa atmosfera. Sui centosette accademici complessivi nel periodo di attività dell’istituzione (tra il 1929 e il 1944), tre risulteranno titolari del premio conferito dall’Accademia Svedese: Guglielmo Marconi (1909) ed Enrico Fermi (1938) per la Fisica, Luigi Pirandello (1934) per la Letteratura. Riguardo al riconoscimento assegnato a quest’ultimo, la cui risonanza in Italia fu oggettivamente scarsa, in termini appropriati Raffaelli sottolinea: 

Tale complessiva modestia della valorizzazione del premio da parte dell’Accademia - che pure nell’avanzamento della proposta dimostrò una seppur relativa autonomia operativa nel contesto istituzionale del fascismo - riflette, anche come conseguenza del poco slancio con cui la candidatura fu appoggiata dal regime, lo scarso entusiasmo col quale fu celebrata la vittoria in Italia. 

   La scomparsa dovuta a una grave polmonite, nel dicembre del 1936, trovò l’Accademia «pronta alla celebrazione di un rito del resto abituale, vista l’età avanzata di gran parte dei suoi membri», racconta Raffaelli: «Solo le festività natalizie dovettero indurre a spostare di alcune settimane la commemorazione, pronunciata com’è noto alla Farnesina da Massimo Bontempelli».  

   Tutto nella norma, quindi, sino all’estrema dimora. Ne La vita nuda (1907), uno dei maggiori esempi della novellistica pirandelliana, l’esordio recita: 

Un morto, che pure è un morto, caro mio, vuole anche lui la sua casa. E se è un morto per bene, bella la vuole; e ha ragione! 

   In parallelo al personaggio di Giulio Sorini della novella, Pirandello e le sue ceneri acquisirono - anch’esse in seguito a un tormentato iter - una “bella casa”, in base alle ultime volontà, nel giardino della villa di famiglia nella contrada “Caos” accanto alla scultura monolitica di Renato Marino Mazzacurati. Una scelta di ritorno all’infanzia, alla terra natìa, consona a un brano del discorso funebre del Bontempelli di cui Raffaelli riporta le parole-chiave, là dove si accenna a un «candore, qualità elementare, nativa […], divinamente incauta, piena di senso del mistero, provvista di un suo proprio linguaggio semplificato, […] profondamente sincera» e in grado di sfiorare subito il cuore delle cose, che vede «degli atteggiamenti altrui […] in modo immediato fino alle ultime conseguenze e senz’altro le denunzia».

"La vita nuda"

   Di una simile disposizione, legata a uno stato d’animo di sofferenza-ribellione, Pirandello dava prova in una lettera indirizzata alla figlia da Milano nell’ottobre del 1931:   

Più di cinquanta ne ho pagate di tasse; e poi supplementi straordinarii a te, a Stefano, a Fausto; sapete bene che mi sono spogliato di tutto; e bisognerà pure che pensi un poco alla mia vecchiaja, se proprio non volete che vada a finire in un ospedale. Sono esausto! Un po’ di considerazione. Avreste potuto essere ricchi e vi siete condannati tutti e tre alla povertà e ai continui bisogni, con me e i vostri figliuoli. A 64 anni io non ho nessuna posizione e sono ancora obbligato a lavorare per vivere e farvi vivere! È duro. Basta. Recriminazioni inutili. Ti bacio, Lietta mia, con la tua piccola, il tuo Papà. 


   Il limite precario della storia, animato da un continuo divenire, in Pirandello ha i caratteri dell’unicità e della globalità: pervade non solo le creature del suo teatro, il territorio delle novelle, l’universo dei romanzi, ma ispira pensiero e azioni personali, adesioni e rifiuti, gioie e inquietudini. Alberto Raffaelli è attento a scandire la ricostruzione degli anni dell’Accademia descrivendo i timori lancinanti di un’eventuale esclusione («Sono preparato a tutto; e ormai non mi aspetto nulla da nessuno»), il moderato entusiasmo alla conferma («Dunque sono Accademico d’Italia»), la sorpresa per l’elenco dei “colleghi” prescelti (salvando solo gli amici Salvatore Di Giacomo e Roberto Bracco), i giudizi feroci («L’Accademia? Una buffonata»). Del resto, la potente Margherita Sarfatti (del cui salotto Pirandello era stato frequentatore) si chiedeva con perplessità: «Può l'Accademia non essere accademica?».

   Atteggiamenti del tutto presenti alla coscienza del grande autore, e in certo qual modo elencati in un passo di una conferenza tenuta nel 1922: 

È naturale che ogni espressione raggiunta, mondo creato, a sé, unico e senza confronti, che non può essere più né nuovo né vecchio, ma semplicemente «quello che è», in sé e per sé in eterno, trovi in questa sua stessa «unicità» le ragioni: prima, della sua incomprensione; e poi, per sempre, della sua spaventosa solitudine: la solitudine delle cose che sono state espresse così, immediatamente, come vollero essere, e dunque «per se stesse». 

   Ma per fortuna, almeno una volta, il nostro Pirandello è stato sin troppo incline al nichilismo, al suo «sentimento destrutturante» (così ben definito da Raffaelli): le «cose» da lui significate e rappresentate, invece di finire racchiuse in sé, sono giunte lontano, molto lontano.   


Alberto Raffaelli, PhD in Letteratura Italiana, è docente nelle scuole medie e studioso d'Italianistica, con all'attivo svariate monografie specialistiche. Tra queste, La comparseria. Luigi Pirandello accademico d'Italia (Firenze, Cesati, 2018) è risultata vincitrice di due premi per la saggistica: il 45° Premio Letterario Casentino, sezione narrativa/saggistica, e il 6° Premio Internazionale Salvatore Quasimodo, sezione saggio/tesi di laurea. L’autore si è poi occupato nei suoi volumi di argomenti quali la narrativa barocca, i periodici per l'infanzia nell'Italia post-unitaria, epistolari tra scrittori del Novecento, la politica linguistica del fascismo; ha inoltre all'attivo articoli e curatele in riviste e miscellanee universitarie. Si occupa attualmente di divulgazione libraria e culturale come amministratore del gruppo Facebook Segnalazioni Letterarie (https://www.facebook.com/groups/segnalazioniletterarie). Vive a Roma, dove partecipa attivamente a numerosi eventi culturali, organizzando tra le altre cose il premio “Lettere al Sempione".

 

 

sabato 25 settembre 2021

 CINZIA BALDAZZI – Premio alla Carriera da Segnalazioni Letterarie

  




Il 24 settembre a Roma, presso il bar Pinguino Goloso – crocevia di svago e cultura del territorio tra Nomentano e Talenti – Alberto Raffaelli e il gruppo Segnalazioni Letterarie mi hanno assegnato un premio alla Carriera per l’«intensa attività culturale».

Ho ascoltato parole lusinghiere da Riccardo Evangelista, da Andrea Lepone, e naturalmente da Alberto Raffaelli, anima del gruppo Facebook con oltre ottomila membri. Li ringrazio sinceramente, così come le amiche e gli amici che hanno voluto essere presenti.

Qui di seguito riporto il testo dell’intervento che ho esposto durante l’incontro.

 

 Il dove e il quando di ogni episodio della nostra vita sono significativi e contribuiscono in gran parte a custodirne il valore. Ecco perché, onorata di ricevere un riconoscimento alla carriera da Segnalazioni Letterarie, debbo ammettere che - non essendo esattamente un’esordiente - pur avendo ottenuto vari encomi durante festival e concorsi, in teatri e caffè letterari, accade per la prima volta all’interno di un bar, ossia di uno spazio ricreativo per eccellenza.

Era però scritto nella mia storia. Sarebbe dovuto succedere poiché per circa un anno, in epoca anteriore al lockdown, ho partecipato agli eventi realizzati da Andrea Lepone dal titolo “Poesia Gourmet Itinerante”. Con Andrea, abbiamo condotto poetesse e poeti a leggere i loro componimenti proprio nei bar, nei bistró, nei pub, nelle discoteche, persino in una sala da bowling. Lo scopo era di allargare il messaggio culturale ai luoghi dedicati al ristoro e al divertimento, per far apprezzare la bella pagina di un romanzo o dei versi commoventi in un contesto di svago eterogeneo.

Insomma, in qualche modo, qui mi sento a casa. Doppiamente, perché sentirsi a casa comprende al momento, per me, altri due ordini di riferimento.

Risiedo con la famiglia in questo quartiere, a Montesacro, da quasi vent’anni, ma soprattutto sono cresciuta qui, nell’appartamento con giardino dei genitori tra piazzale Jonio e i Prati Fiscali. Inoltre, a poche centinaia di metri da qui, dopo il prato in fondo a questa strada, si trova la mia scuola, il liceo classico Orazio. Lo raggiungevo a piedi da piazzale Jonio perché non era stato ancora avviato il servizio di autobus: il mitico 391, ora 69, fu inaugurato nella primavera dell’anno in cui mi sono diplomata, il 1974. A quel punto, non mi serviva più.

A dire il vero, per molto tempo ho sofferto di non aver frequentato una scuola “storica” di Roma, come il Tasso, il Visconti, il Dante. Poi ho capito che non mi era andata così male, nonostante la periferia, perché ho avuto insegnanti per l’epoca veramente “progressivi”.

 Il professore di filosofia, Marcello Vigli, alla mia classe numerosa, un po’ aggravata dalla dottrina di Kant, Hegel e Kierkegaard, parlando dei nostri studi futuri (ricordate che in quegli anni l’università era già diventata di massa), diceva:  

Studiate, ragazzi, fatelo con impegno poiché, quando andrete all’università, i vostri genitori pagheranno le tasse di immatricolazione e quelle annuali, ma moltissimi altri genitori, i cui figli però non avranno mai messo piede negli atenei, finanzieranno egualmente le università attraverso le imposte dirette. 

Da quel giorno ho sempre pensato a loro, figli e genitori, proponendomi di farli entrare comunque a contatto con informazioni culturali utili a vivere meglio, a districarsi nelle empasse quotidiane. La cultura non è una bacchetta magica, ma può aiutare.

Segnalazioni Letterarie mi ha voluto assegnare una nota di merito alla carriera, ovvero una gratificazione importante per tutti. Ma nel mio caso può sorgere un quesito: di quale carriera parliamo? Qual è l’attività per cui vengo premiata?

Scrivo da sempre, da studentessa, poi giornalista, consulente della RAI, critico. Ho pubblicato libri, collaborato a concorsi nel ruolo di Presidente di Giuria, partecipato a convegni, tenuto seminari. La scrittura ha costituito per me l’impegno principale, dai copioni che affidavo personalmente nelle mani di Raffaella Carrà e di Pippo Baudo, alle recensioni consegnate al mio caporedattore Maurizio Liverani il quale per molti anni mi ha inviato nei teatri romani e nei festival in tutta Italia. Era però un rapporto (anche se denso di responsabilità) sempre mediato, privo del contatto diretto con chi avrebbe letto i miei scritti.


L’assetto dell’industria culturale, soprattutto editoriale, ha fatto sì che moltissimi scrittori e scrittrici dovessero autofinanziare le proprie opere e soprattutto auto-promuoverle. È in questo campo - non esattamente di pertinenza della scrittura - che sono intervenuta: facendo conoscere personaggi esordienti e non, presentando sillogi poetiche, romanzi e racconti, organizzando incontri tra autori, coordinando reading sia dal vivo sia online, curando l’edizione di libri di prosa e poesia. 

Quindi ho accolto con enorme gioia che Alberto Raffaelli, con la motivazione di questo premio, abbia centrato il cuore del lavoro svolto, ossia l’opera di diffusione della letteratura della quale, del resto, io e tanti nati negli anni Cinquanta, da giovanissimi - non dimentichiamolo - siamo stati tra i primi a godere.

Per noi intellettuali, lo ritengo un dovere prioritario. Da adempiere, però, all’interno dei cambiamenti che hanno coinvolto il mondo della cultura, non per forza migliorativi. Alludo alle correnti di pensiero finalizzate a ridurre l’apporto del passato, ad appiattire azioni e giudizi sul presente, sulla dimensione dell’attualità.

Qualcuno, non ricordo chi, ha scritto: 

Gli artisti spazzano via la polvere dalla vita degli uomini, ma perché accada l’arte deve essere continua ricerca. Bisogna studiare, attingere dal passato e modellare il sentimento, le emozioni e il gusto del presente. 

Senza gerarchie, siamo chiamati tutti ad assolvere un tale compito: il cittadino e il politico, l’allievo e il docente, il poeta e il saggista. Ognuno, nella propria sfera di competenza, ha un cospicuo lavoro da portare a termine.

Questo premio alla carriera vorrei divenisse, per me e per voi, amiche e amici, il simbolo di una cultura in crescita che al contempo, tuttavia, è capace di non dimenticare.

Per concludere, alcuni di voi suppongo si chiederebbero cosa mi sia mai successo visto che non ho ancora citato, almeno una volta, uno dei padri ispirativi della critica ai quali sono fedelissima.

Bene, lo farò scegliendo un brano tratto dal volume che accompagnò l’esame di maturità nel lontano 1974 nel mio liceo Orazio. Scuola allora isolata, in una traversa di via Romagnoli, in mezzo ai prati: dalle finestre della classe vedevamo pascolare greggi di pecore. Oggi gli studenti vedono passare i cinghiali, ma non è la stessa cosa.

Lo studioso che voglio ricordare è Angelo Marchese, caposcuola in Italia dell’approccio strutturalista, e il suo libro, all’avanguardia, era intitolato Le strutture della critica letteraria. Me lo aveva consigliato la giovane insegnante di italiano Marina Piagnani, credo ancora residente in via Luigi Capuana. Insomma, ho frequentato un liceo che era, a tutti gli effetti, decentrato: nondimeno, lo scambio di notizie culturali ricevuto è stato all’avanguardia come nei grandi istituti della Capitale.

Cosa scriveva Angelo Marchese?

 Il messaggio artistico nasce sempre in un ben preciso contesto storico, individuabile sia nelle sue componenti socio-politiche sia in quelle letterarie e culturali. La caratterizzazione critica di una data opera, dunque, comporta lo studio della sua genesi, della sua nascita in un momento determinato della storia, all’incrocio di tendenze strutturali, di oggettivi problemi sociali, e di specifiche tendenze culturali, di problemi, cioè, che riflettono il travaglio etico e umano di un’intera età. 

Per difendere il libero sviluppo dell’arte, quindi, non rimane che curare l’organizzazione sociale e la vita oggettiva, quotidiana, della gente. Sarà uno degli incarichi della nuova amministrazione, nei singoli municipi e nell’intera città. Anche a loro, rappresentati qui da Riccardo Evangelista, invio il mio saluto. 

Grazie di cuore a tutti.