domenica 14 maggio 2017

"Il tuo viso", poesia di Otello Semiti




Ad Acquasparta (TR), all'interno della “Festa della mamma” di sabato 13 maggio, sono state lette alcune poesie sul tema scritte dall'amico Otello Semiti. Di una di esse, in particolare, ho letto un commento, che riporto insieme ai suoi versi.
 














IL TUO VISO

di Otello Semiti



Ogni volta che il sogno mi onora

del tuo viso la sembianza affiora

come una carezza mi sfiora.

Madre:

la tua presenza mi rassicura

quella fatiscente luce mi consola.

Madre:

da bambino raccoglievo le voci

di sgridate veloci

di pianti innocenti per quei mancati momenti,

ma poi bastava il tuo sguardo

e quel tuo viso così dolcemente rotondo

di giovane amante

di quei tuoi figli venuti dal niente

da quel tuo modo di vivere arrogante

verso quell'uomo sposato per renderlo assente.

Ogni volta che il sogno mi onora

del tuo viso ancora

ho il brivido dentro

mi desto e penso,

al tuo richiamo perso nel vento

al mio essere spento

al mio amore che brucia nel tempo.

Madre,

il tuo viso è un groviglio di pagine

scritte nelle notti dei tempi

dove ragioni non servono

dove tutto è irreale

dove non serve essere per capire di essere

serve solo l'amore per quei figli destinati a morire
















commento

di Cinzia Baldazzi



Più di una volta mi càpita di ripensare ai lontanissimi giorni trascorsi da figlia. Mi avvolge un sentimento dominante e generatore dell’amore, o meglio l’amore dell’amore, una sorta di valore aggiunto, non posseduto davvero se non nel rimpianto di averlo smarrito. Ciononostante, mi trovo ancora immersa nella coscienza di un incantesimo, appunto, eterno.

Lo incrocio nel tentativo di uscire dalla nebbia accattivante dei giochi linguistici, delle tracce dialettiche nelle pagine della letteratura da me amata. Quasi che la gente e i poeti incontrati, con i loro versi, tra una riga e l’altra, mi interrogassero innanzitutto sulla bellezza di un volto di madre, apparizione vera o immaginaria. Magari perché credono che la poesia sia in grado di far bruciare e alimentare il fuoco del desiderio ancestrale, ineffabile, di assolutezza a-priori e di verità concreta.

È quanto accade a Otello Semiti nella poesia Il tuo viso, mentre il volto materno, sognando, lui lo carezza. Forse la ammira dall’alto, oppure appoggia un braccio a lei, in un gesto di sostegno diffuso e fidato. Con la testa piegata di lato, riesce a scorgerne la “sembianza” appena affiorata.

Il nostro poeta è sensibilissimo agli avvenimenti recenti, nella società dilaniata da odio e violenza, da guerre fratricide. E confessa:

Madre:

la tua presenza mi rassicura

quella fatiscente luce mi consola.

Spesso, nel passato e anche di recente, ho avvicinato i versi di Otello alla poetica di Giovanni Pascoli là dove parla del “fanciullino” che è in noi. La vita del nostro grande letterato di inizi ‘900, come sapete, è stata segnata dal ricordo atroce della morte del padre, ucciso in un agguato mentre ritornava a casa. Pascoli lo ha raccontato nella Cavallina storna.

E la figura materna? Ebbene, la mamma pascoliana è più simile a una sorella. Scrive:

come non è che sera,

madre, d'un solo dì?

Me la miravo accanto

esile sì, ma bella:

pallida sì, ma tanto

giovane! una sorella!

bionda così com'era

quando da noi partì

Torniamo ora a Otello e alla poesia che abbiamo appena ascoltato, cioè Il tuo viso. Quando rammentiamo l’esperienza della scomparsa di qualcuno, nella disperazione non chiediamo di vederne l’anima: piuttosto proviamo, all’ultimo, a fissarne gli occhi, il volto, che rappresentano l’estrema fisionomia di una persona. Così sarà più facile, di lì in poi, assimilarne e costituirne la figura tra gli alberi “sopravvissuti”, insieme alle sostanze naturali, allo scorrere dei fiumi, a boschi e radure.

E la luce, la luminosità di cui Semiti circonda la mamma, testimonia che fu gioia spirituale di per sé, comunque liberata da un unico sguardo, e non è concepibile possa morire con il corpo per essere con esso sepolta. Le parole, per scelta, non sono idonee a rendere l’impressione, il significato di un’esistenza resa dall’anima al nostro involucro materiale, indifferentemente prima o dopo la morte.

Ora devo introdurre un poeta contemporaneo di Pascoli, ma assai distante nello spazio. Mi riferisco a Tagore, illustre poeta indiano, anzi bengalese, essendo originario della regione del Bengala.

Come in un sogno, l’amore viene con passi silenziosi”, sottolineava Tagore. Nonostante ciò, suppongo che tale silenzio non obblighi a tacere gli amorosi richiami materni, non li annulli, anzi penso che conduca la sua musica in un sonno indulgente, protetta dal cielo stellato. È confortato da un fondo di anelito al divino, si estende alle creature di ogni terra, ai luoghi nei quali si vive e si è vissuti. Riesce a colmare lo spirito di una rinascente illusione di realtà divenuta irreale, essendo stata annientata.















Al risveglio, lo descrive bene Otello, riappaiono i pasti quotidiani, gli abiti, i compagni, i doveri, circostanze attive dall’alba alla notte seguente; oppure il buio e l’angoscia della malattia di un amico, di un congiunto e, di certo, le malefatte infantili, di tanto in tanto:

da bambino raccoglievo le voci

di sgridate veloci

di pianti innocenti per quei mancati momenti.

In casa e fuori, il gioco non è ozioso. Sull’erba, chissà, rimuovendo un opprimente groppo dalla gola, non chiede parole, piuttosto musica e rime, da associare all’andante delle nenie ascoltate la sera da piccini.

Il messaggio mormorava sempre più fievole, mentre il suono calava ovunque. Nondimeno, scrive Otello

quel tuo viso così dolcemente rotondo

di giovane amante

di quei tuoi figli venuti dal niente

era trasformato pure in un mezzo per mostrarsi

arrogante

verso quell'uomo sposato per renderlo assente.

Ho nominato l’italiano Pascoli, il bengalese Tagore. Ora è la volta di un francese contemporaneo, Jude Stefàn, il quale, nella raccolta I cipressi, ha celebrato e raccontato un’Estasi. È il titolo del brano che potremmo utilizzare per conciliare, come suggerisce Semiti, una soavità.

Scrive Stefàn:

Se neve cade sopra alberi solitari

oh volto terso di neve di marzo

oh guance di petali oh occhi accesi

oh labbro d’ala oh capelli d’ombra

oh bocca di sorriso oh carne

che illumina (…) oh voi

he calmate dalla dolce stretta di dita

al busto sereno al grembo di perdono

seduto di fronte a voi per toccare

premendo la colomba del cuore .

Ho citato Stefàn perché la sua visione materna è molto in sintonia con il “viso così dolcemente rotondo” evocato da Semiti, simile a quello di una “giovane amante”.

Otello Semiti, però, prosegue in un’altra direzione. Dal linguaggio metaforico emerge una simbologia polisensa, trapelata dalla memoria, in un paesaggio di oscurità e colline aperte al sole: avanza un’immagine familiare còlta in un incognito indistinto, tra affetto, pietà e forza autorevole, onorando il suo destino con un “brivido dentro” di nostalgia. Il sogno è sospeso, confessa Otello, con

un richiamo perso nel vento

al mio essere spento

al mio amore che brucia nel tempo


L’evocazione ottenuta, però, non è simile a una fiamma esaurita di vita pallida: al contrario, rinvia a uno sguardo “acceso”, con dei “capelli d’ombra” sparsi insieme all’eco del “vento”.













Purtroppo, ogni annuncio viene disseminato nello spazio illimitato: tuttavia, per incanto, nell’intervallo dell’“essere spento”, insiste a “bruciare nel tempo” della continuità.

Nell’opera Il tuo viso si svela, dunque, una madre protagonista capace, nella forma e nei valori espressi, di sprigionare coraggio, rimanendo in sé fragile. È una presenza imperiosa e tenera, preziosa nella musicalità del testo, a dispetto dell’intenso fremito d’addio, leitmotiv dell’intero componimento. È ricco di spiritualità inquieta e amara, di intime bontà, segnale e indizio di molteplici ansie femminili. È il volto inerente a

un groviglio di pagine

scritte nelle notti dei tempi

dove ragioni non servono.

Occorre, io credo, vincere con l’emotività del “cuore”, evitando sfarzo e trionfi. “Dove tutto è irreale”, non è affatto utile “es/sere per capire di essere”. Lo sappiamo, per riuscire a decifrarne la natura, e lo dico con le parole di Otello,

serve solo l'amore per quei figli destinati a morire.

Ho trovato una forte analogia tra i versi di Otello Semiti e quelli dei grandi poeti Crepuscolari (un nome tra molti, Camillo Sbarbaro), qui però rinnovati, nell’immediato, da una vasta pertinenza empirica della morte, assai più robusta e matura di allora. L’energia tipica della parola poetica di Otello, infatti, è sostenuta in un movimento unitario, fiero avversario del potere della chiusura estrema, del lutto eterno. Non in una tempesta di illusioni, bensì in un’area dell’autocoscienza propria del chiarore della poesia.

Anche se siamo condannati a morire, ecco la vita e l’anima, nell’attualità e nel ricordo, pur essendo due differenti elementi, nutrire saldi contatti che non saranno allentati, spezzati, preclusi. Mai e poi mai.