mercoledì 2 marzo 2022


Cinzia BALDAZZI - «Origami»: incontro con Sabatina Napolitano e il suo romanzo 

 



Sabatina Napolitano

Origami

Campanotto Editore, Pasian di Prato (UD), 2021

pp. 144, € 15,00

 

Sabatina Napolitano è nata a La Maddalena (SS) nel 1989. Ha pubblicato la prima raccolta di poesie Metastasi di autonomia (2011) per la casa editrice napoletana La scuola di Pitagora. Negli anni i libri di poesia sono diventati sette. Tra questi, Scritto d'autunno (edizioni Ensemble, 2019) ha la prefazione di Gabriel Del Sarto mentre da Corsivo (edizioni Il Foglio di Gordiano Lupi, 2021) alcuni testi sono stati condivisi sulla rivista “Nazione Indiana”. Ha vinto molti concorsi per poesia edita e inedita. Suoi racconti sono pubblicati in riviste come “L'incendiario”. Dal 2019 scrive critiche su www.ilgiornaleletterario.it ed è giurata per il Premio Nabokov. Recensisce e intervista autori di poesia, narrativa e saggistica. Origami (Campanotto, 2021), il suo primo romanzo, è stato inserito nei 74 titoli segnalati dal gruppo “Amici della domenica” per il Premio Strega 2022. Per Origami ha rilasciato interviste a Rtl 102.5 news, ha dialogato con Antonio Syxty, Maria Pia De Martino e Angelo Cocozza (del Premio “Le Nuvole” dedicato a Peter Russell). Sul sito dedicato a Origami sono disponibili gli interventi aggiornati: 

https://sabatinatableauvivant.wordpress.com/romanzi/

 

 

Puoi descrivere il personaggio di Olga, la protagonista di Origami? 

Origami è un romanzo breve che ruota intorno alla vita di una bibliotecaria e giornalista. Il lettore ne segue i pensieri e le vicende fino alla fine. Olga vive un’infanzia drammatica perché, avendo perduto da piccola entrambi i genitori, vive coi nonni, i quali sono i bibliotecari di Itaque. Durante la prima adolescenza formalizza il progetto del giornalino “Origami” e via via sviluppa questa passione anche e soprattutto attraverso il lavoro in biblioteca. Le atmosfere delle sale di lettura e consultazione, così come quelle della redazione di “Origami”, segnano la crescita di Olga che da ragazzina orfana con un destino di bibliotecaria passa a essere una donna emancipata, culturalmente sviluppata, conoscitrice di lingue e amante della cultura. Rossana è un personaggio che ostacola la formazione di Olga, anche se spesso finisce per rinvigorire le intenzioni della bibliotecaria. 

Hai definito Origami un “romanzo di formazione”. In questo genere di romanzi, almeno nella loro versione classica, il protagonista è oggetto di un processo di cambiamento nel corso della vita. In Origami succede qualcosa del genere? 

La formazione si può leggere su più piani: quello familiare, col passaggio da un’infanzia dal tono drammatico a una crescita attraverso l’amore per i libri e il destino della biblioteca; quello evolutivo, se pensiamo che da ragazzina sognatrice Olga diventa una donna, una caporedattrice, una madre, un personaggio popolare e influente; quello psicologico, con l’attraversamento di un’adolescenza di desideri frivoli e incapacità sentimentale, fino all’affezionamento sincero per il marito Gustavo. Questi tre piani descrivono la formazione di Olga all’interno del romanzo, anche se tutta la vicenda è un allenamento di formazione attraversando ogni personaggio. La biblioteca di Itaque conta più di settecentomila volumi, con più di trecento posti per ospitare non solo studenti dall’università di Itaque tre ma anche docenti e studiosi da altre parti del mondo. Olga ne è la responsabile e di fatto influisce sulla vita degli impiegati. Nel capitolo “Pamphlet” scrivo: «La bibliotecaria prima del matrimonio aveva avuto uno spirito adolescenziale, era stata una ragazza indifferente alle vite degli altri, tesa ai suoi interessi personali, i suoi unici dialoghi erano coi libri. Non avrebbe mai pensato di essere alla fine in grado di guidare la vita di un uomo, di partorire un figlio e di accudire un marito e una villa delle dimensioni di Villa Miso». 

Hai anche scritto che «pretende di esser un romanzo utopico» per via dei luoghi geograficamente imprecisati. È solo per questo motivo? 

No, non solo per i luoghi. La città di Itaque ha un sistema governativo che descrivo bene in alcuni passaggi: nessuno sciopera, la maggior parte dei cittadini ruota intorno al festival di Itaque ed essi fanno ruotare le attività culturali intorno al festival. L’informazione e il giornalismo non sono avvertiti come strumenti sociali ma come opzioni di verità. Tuttavia l’editore Gustavo Miso non è un dittatore ed è lontano dall’essere un manipolatore. Tutti lavorano per un’informazione democratica, liberale, nutritiva, vicina ai cittadini e appannaggio di tutti, sia dei più deboli socialmente che dei ricchi. È un romanzo utopico perché i personaggi non si annoiano mai, finiscono per risolvere quasi sempre le loro sfortune e riescono a prendere il buono dalla società. A Itaque il popolo non si infiamma mai, tutti sembrano avere la bocca piena e anche chi sta apparentemente in parcheggio risulta essere un protagonista in modo indiretto. Ma non è solo la biblioteca ad Itaque ad avere un ruolo importante, lo è anche l’orfanotrofio. I luoghi intorno cui gira la vita dei protagonisti sono città che conosciamo come Parigi, alcune isole in Sardegna a La Maddalena, Tokyo, New York, Manhattan, Alicante, etc. Direi che è soprattutto il clima ideologico a essere utopico a Itaque. I motivi dell’utopia nel romanzo sono tanti: volendoli cristallizzare con più puntigliosità direi l’educazione dei cittadini spinti continuamente dal bisogno culturale, la capacità d’inclusione che dimostrano anche e soprattutto coi bambini rifugiati (che per la nostra società è una visione utopica: i bambini rifugiati raramente partecipano alla vita culturale dei comuni e delle città). 

Nel romanzo descrivi un gruppo sociale ristretto assai benestante, senza problemi economici, con eccellente formazione culturale e lavori gratificanti. Cosa ti ha spinto a descrivere questo ambiente? 

È un mondo, quello dell’editoria e dell’informazione, che mi ha sempre attratto. Ed è un mondo in cui tutto sommato vivo, ma dalla parte umile. I Miso sono facoltosi, il figlio Edoardo vende milioni di copie coi suoi libri. Per me è molto presto e non so se in futuro diventerò celebre come Olga. I Miso sono popolari ma questo non li rende cinici, sono propensi sempre a sporcarsi le mani, a fare qualcosa di concreto per tutti. Olga vive tutta la vita nella biblioteca di Itaque lontana dai riflettori, e non la ritiene un’esistenza gloriosa. Lo stesso vale per il marito Gustavo. L’aspetto interessante è che loro riescono a includere la vita pubblica in quella personale, quindi si parla spesso e quasi sempre di lavoro perché lavoro è vita. I cittadini non solo per questo sono affezionati. “Origami” finisce con l’essere una rivista molto seguita, al di là del fascino dell’editore. I Miso comunque restano magici, come attraversati da un disegno. Olga e Gustavo, Edoardo e Ada, hanno elementi magici per tutto il romanzo. Basti pensare all’importanza affidata alle date: ad esempio, i Miso si sposano il quindici maggio, e la prima pagina che di solito Olga legge di un libro è la numero quindici. Quindici gli scalini della casa di Olga in via Rimbaud, quindici gli abiti neri di Olga a Villa Miso nell’armadio a muro, quindici gli attori preferiti della bibliotecaria. 

Si ha l’impressione, a volte, che la caratterizzazione dei personaggi, anche quelli minori, venga affidata alle preferenze culturali, in particolare in campo letterario, e non ai loro pensieri, comportamenti, azioni. Qualcosa del genere: “Dimmi cosa leggi e ti dirò chi sei”. 

Potrebbe essere vero per un verso. Ciò che interessa ai personaggi è di avere un ruolo culturale all’interno dell’atmosfera di Itaque, che prescrive cultura e non grettezza o inettitudine. Si avverte l’esigenza di avere un autore di riferimento, di potersi calare in un contesto di dialogo. In una storia di esistenze che ruotano intorno a una biblioteca è naturale che i dipendenti cerchino di differenziarsi e di esistere anche incidendo sui gusti letterari e di pensiero. Il dolore è visto come un raccontarsi (a parte il fratello di Jeremy, che si suicida), ma c’è un grande rispetto dei sentimenti umani, della sofferenza. I libri sono un mezzo per autodeterminarsi, per distinguersi intellettualmente. Come i personaggi di Origami, anche io leggo libri che sento vicini ai miei gusti: ad esempio, Il museo del mondo di Melania Mazzucco di cui ho parlato anche in un video su Youtube. Mi è piaciuto molto immaginare di allestire una galleria con dipinti famosi; ecco, questa è una cosa che Olga non coltiva, cioè la passione per l’arte, per i musei. Sono ambienti che rimando al futuro perché altri autori a me vicini si sono occupati di questo e del rapporto con l’arte. 

Il personaggio di Olga, che si muove tra ricevimenti e cene al ristorante, teatro e vacanze, profumi costosi e abiti griffati, è pura invenzione oppure è ispirato a una donna realmente esistita? 

Olga è un personaggio tanto debole quanto forte, una moglie fedele ma ansiosa, controversa. Non mi sono ispirata a una giornalista anche perché avrei dovuto scrivere la vita di una giornalista, direttrice di una biblioteca, con il marito direttore di un magazine, e non credo al momento esista una personalità simile che sia conosciuta dal pubblico italiano, perlomeno. Olga è un personaggio di mia invenzione e fortunatamente non assomiglia a nessuna. 

I mestieri dei personaggi sono molto “di tendenza”: editori, giornalisti, fotoreporter, commediografi, stilisti, romanzieri di fama internazionale, intenditori d’arte, e così via. Come mai hai deciso di descrivere un gruppo così elitario? 

Le vite di chi si occupa di cultura, di arte, teatro e giornalismo non sono meno interessanti o più interessanti, meno aggressive o più aggressive, meno docili o più docili. Ho esaminato un mondo che vivo da dietro le quinte e che conosco bene. Non sarei riuscita a raccontare il mondo operaio perché non l’ho vissuto; avrei potuto parlare di laboratori e analisi genetiche, ma riservo le competenze scientifiche forse per altri progetti. La vita che ho vissuto con gli artisti è quella che ho raccontato in Origami. Era difficile trovare una storia che mi accontentasse e mi appassionasse allo stesso tempo: Olga conosce tutto quello che ho vissuto ed è per me come un’amica oltre che una creatura magica. Le ho regalato quel poco che ho vissuto della vita pubblica e di quanto ho vissuto nel privato. Mi piace che Olga non abbia mai desiderio di sopraffazione: anzi, è una donna che lascia che tutto diventi attraverso un sogno, una pulsione. È un romanzo di esistenze intorno alla grande biblioteca di Itaque, e solo grazie a questo ambiente ho potuto parlare del rapporto tra poesia e vita, così come tra poesia e filosofia, anche dalla lente del giornalismo. A differenza di quello che si fa col romanzo storico, in un romanzo del realismo magico, o inscrivibile tra i romanzi del realismo magico, le ambientazioni sono scelte nella relazione “fantasia” e “segni”. Anche per questo Origami è un romanzo che intreccia destini, che strega. L’unico ambiente che legittimasse l’amore per la cultura, i libri e il giornalismo era appunto una grande biblioteca dove coesistessero caos ed eros, passione e dramma.

 


I personaggi non sembrano essere oggetto di un giudizio morale da parte tua. Questo avviene perché ne condividi il comportamento o perché hai voluto mantenere un atteggiamento distaccato come autrice? 

Alcuni personaggi vengono filtrati dai protagonisti stessi. Ad esempio Piera, la prima compagna di Edoardo, viene odiata da Olga che la considera “una leggera”. Ecco, Piera è il personaggio più odiato nel romanzo. Viene odiata e condannata da Olga, così come da Edoardo dopo il tradimento. Eppure è una donna umana, piena di vita, di pathos. Con lei sono stati ingiusti sia Olga che Edoardo: dopotutto, voleva solo bere quel bicchiere d’acqua che disseta dopo una resistenza durata anni. 

I personaggi hanno una incessante attività di lettura. Più di una volta, tra le pagine, ricorrono elenchi di autori e libri letti da qualcuno di loro, oppure book-list preferite, o enumerazione di titoli allineati sullo scaffale di una biblioteca o di una libreria. Come mai questa predominanza del libro in quasi tutte le parti della trama? 

L’apertura al libro è insita nella natura del romanzo. Cominciando a parlare seriamente di Origami nel 2017, ho detto a tutti che avrei parlato dello spirito del mio tempo, avei scritto un romanzo dal titolo Origami, avrei parlato di personaggi impegnati a vivere in una grande biblioteca. I libri in Origami sono stazioni, scale, aperture. I libri, così come i titoli, sono il fil rouge dell’anima dei personaggi, a partire dai nonni di Olga. Sono proprio loro a inculcare nella bibliotecaria la convinzione che solo i libri portino al vero successo e alla salvezza: con un libro puoi scalare vette, raggiungere i piani più alti di un palazzo senza ascensore. Ecco, Olga sa fin da bambina come il vero ascensore sociale sia la cultura. Scrivere un libro che ruota intorno a una biblioteca odiando i libri avrebbe significato rifiutare la ragione stessa del romanzo. È vero, molti romanzi nascono dal rifiuto, ma Origami non è un romanzo da riciclo spirituale, nasce dalle tavole in cui ho mangiato per molti anni da sola e qualche volta con gli amici. Nasce dalle tavole di quando ho lavorato sodo per comprare i libri necessari alla mia formazione, nasce dalla voglia di evadere dalla pubblicità almeno nelle otto ore che servono in questa lettura. I libri sono ciò che riempie la nostra vita passata in questa sala d’attesa di speranza, per un “oltre” che ci riporti tutti alla condizione miserevole della nostra esistenza. 

I testi citati nel romanzo sono i tuoi preferiti? Oppure quelli che non hai letto e vorresti leggere? 

Molti libri citati sono per me interrogativi, altri mi hanno accompagnato nel benedire o maledire le persone incontrate nella mia vita. Sono polemica coi libri, soprattutto quelli letti in momenti dolorosi, perché mi riportano alla mia condizione umana, priva di fantasia, di quella fantasia che pretendo nella vita per vivere meglio. Soprattutto ora che c’è la guerra e spero vada via presto. In Origami sono citati soprattutto romanzi, ma amo molto la filosofia e la saggistica, dove si descrive come l’uomo reagisce di fronte alle crudeltà della storia. Mi piacciono i romanzi che mostrano come i ricordi si seppelliscono, soprattutto quelli spiacevoli, e come il tempo riesce a convertire ogni esperienza in un racconto: più esperienze in un romanzo, più decenni in più romanzi. 

Prima di pubblicare Origami, lo hai fatto leggere a qualcuno? Hai avuto pareri, consigli ecc? 

Ho partorito il romanzo con sentimento, ed è stato letto da una persona che amo molto. Lui si è riscoperto, si è sorpreso nella mia scrittura sensuale. Era felice perché dal romanzo traspare un’evidente analisi della società sebbene sia un modello di società utopico. Era felice perché il romanzo, a differenza di una tesi, è un prodotto di sentimento molto più sofferto a volte di una pubblicazione di poesia. Ed era orgoglioso perché affronto in Origami temi cari, importanti, vicini al nostro sentire, faccio luce su situazioni e conflitti contemporanei e terribili ma con una penna sinuosa e sontuosa. 

Puoi descrivere Sabatina Napolitano come lettrice? 

L’immagine di Sabatina Napolitano lettrice che il pubblico ha di me è legata a Vladimir Nabokov, alla poesia, alla critica (non quella di stampo accademico). Ultimamente sono stata intervistata dalle ragazze di Rtl 102.5 news e anche in quell’occasione ho parlato di Virginia Woolf, ad esempio. L’immagine della vera lettrice, come l’immagine della vera scrittrice oggi, è legata a una componente di gusto, di tifoserie, di interessi. Mi trovo in più squadre ma con grande sincerità e trasparenza e credo che questo sia un mio punto di forza. Ho educato il lettore a conoscermi come amica e a crescere con me, come in una favola moderna. Non mi sono mai resa più preziosa per vincere i premi, o più solenne per entrare negli occhi dei giurati ai premi. Il tono che ho conservato col lettore è stato lo stesso dalla mia prima apparizione in pubblico del 2013. C’è stato addirittura un momento in cui ho dichiarato i miei capricci su Instagram, e credo che nelle debolezze mi abbiano tutti amata di più. Ho rivelato quanto abbia sofferto per gli uomini e ancora soffro, ho parlato dei miei problemi di salute. Per molti scrittori questo tipo di discorso deve essere usato come cavallo di battaglia in programmi televisivi; per me, che sono insidiata da forze, è naturale ormai avere un rapporto confidenziale col lettore e questo si evince anche dalle prefazioni a Origami. 

Qual è il tuo “livre de chevet”?

Di solito porto sempre con me nei viaggi dei libri di critica, di spiritualità e qualche romanzo. Di base nelle mie valigie non mancano mai Teoria del romanzo di György Lukács, I destini generali di Guido Mazzoni, La letteratura circostante di Gianluigi Simonetti, Folklore di Tommaso Braccini. Per la spiritualità porto sempre con me Il castello interiore di Santa Teresa D’Avila. E poi cambio romanzi di volta in volta. Non dimentico mai di Nabokov Intransigenze, e ultimamente sto rileggendo, per commentarlo, Un mondo sinistro. 

Andando a ritroso nel tempo, quale epoca storica consideri la più importante dal punto di vista della produzione di romanzi? 

È chiaro che risento dell’influenza della mia epoca, il mio non è un romanzo storico, è un romanzo dei nostri anni. Non parlerò ora di teoria del romanzo perché quando rispondo alle interviste, diversamente dalle recensioni, mi sento sempre di stare per salire su un treno che parte tra pochi minuti. Il mio campo di influenza parte dall’Ottocento e non prima, anche se studio e amo la letteratura dantesca come quella degli antichi. Tutto comincia con Omero, passa per Dante, e poi per la critica di stampo moderno. Come ho spesso detto l’epos è quegli occhi celesti (come da dio) della letteratura. La letteratura è nata dagli occhi dell’epica. Non so quando precisamente saremo alla frutta con la storia del romanzo, credo che togliere la storia al romanzo sia come togliere dal tavolo l’acqua o il necessario per mangiare. La storia del romanzo è la chiamata più importante per uno scrittore: non si può improvvisare una chiamata senza conoscere il numero, la storia del romanzo è il numero da chiamare per diventare uno scrittore. Sono aperta ad ogni tipo di definizione del romanzo, ma chiaramente bevo il mio caffè con Nabokov. 

Cosa pensi dei concorsi e dei premi letterari?

Alcuni concorsi hanno fatto la storia, ma siccome negli anni sono cambiate le giurie non li ho più apprezzati; altri restano dei concorsi importanti. La mia preoccupazione è di fare quanto meglio posso secondo le mie possibilità, la carriera è giusto improntarla secondo le proprie competenze.