sabato 19 agosto 2017

Il filo rosso della tragedia antica: Elettra e Antigone nel teatro moderno.


Il n. 23 (giugno 2017) della rivista digitale “Euterpe”, diretta da Lorenzo Spurio, è stato dedicato al tema “La scrittura teatrale e i suoi interpreti”. A misurarsi sul tema sono stati chiamati, come di consueto, poeti, autori di racconti, saggisti, giornalisti. Riporto qui di seguito il mio contributo, ricordando che la rivista può essere letta e scaricata in formato pdf collegandosi a  
http://rivista-euterpe.blogspot.it/#!/2017/06/e-uscito-euterpe-n23-la-scrittura.html
Rammento, inoltre, che il tema del prossimo numero della rivista è “La cultura ai tempi dei social networks”.

 
Il filo rosso della tragedia antica:
Elettra e Antigone nel teatro moderno.

di Cinzia Baldazzi

 


 
Io credo che la sperimentazione e il laboratorio
siano fondamentali, però non credo, e non ho mai pensato,
che Nono o Berio o Benedetti Michelangeli
facciano un concerto di come loro stanno preparando
un’invenzione estetica. Secondo me il laboratorio è necessario
e può diventare oggetto di lezione se si trasforma in scuola.
Romolo Valli, 1980

 

E già, il teatro: suggestivo e millenario manifestarsi artistico di umanità, di gioia e dolore, dubbio e pensiero, trae origine - è noto - dalle cerimonie religiose dedicate al prestigioso e seducente Dioniso, divinità della linfa vitale della natura, del vino, dell’estasi e della pura dimensione istintiva. Nel VI secolo a.C., nel culto delle quattro feste dionisiache, venivano intonati motivi denominati “canti del capro”, in greco τράγο, da cui deriva la “tragedia”, τραγωδία: infatti, proprio le sembianze di questo animale sembra il Dio assumesse fuggendo in Egitto per eludere l’attacco di Tifone all’Olimpo. Chissà se, per semplice coincidenza o “affinità elettive”, Romolo Valli debuttò dinanzi al pubblico quando, lo racconta Guido Davico Bonino, «nel 1938 vince, come tenore adolescente, gli Agonali», competizioni riprese dall’antichità romana in cui il rito centrale consisteva nel sacrificio di un montone. Il grande attore esordirà poi “ufficialmente” il 23 maggio 1942, con i compagni allievi della scuola di recitazione del liceo - lo Spallanzani di Reggio Emilia - nei panni di Anselmo Terrazzani, il protagonista de La famiglia dell’antiquario di Goldoni. 1

Nella drammaturgia occidentale del ‘900, in effetti, tra il ’25 e il ’56 primeggia un’atmosfera di enormi cambiamenti, con l’instaurarsi di caratteristiche fondamentali tra le quali il recupero dell’aspetto arcaico a lato del sorgere del cosiddetto teatro moderno (ad oggi, sebbene revisionato, attualissimo e, in certa misura, ancora d’avanguardia). Aveva avuto luogo, nel tardo Ottocento, il mutamento architettonico e scenografico di sale, laboratori e accademie, condizione dell’inserimento di una simile forma d’arte nell’attività di massa: l’Espressionismo e il Futurismo in Germania e Russia, il Surrealismo, il Teatro della Crudeltà del francese Antonin Artaud.

Spinto da una sofferta meraviglia per la fisicità ritualizzata e codificata della danza tipica della civiltà dell’indonesiana isola di Bali, dichiarava Artaud:

 
Dal dedalo di gesti, atteggiamenti, grida lanciate nell'aria da evoluzioni e giravolte che non lasciano inutilizzata nessuna parte dello spazio scenico, si sprigiona il senso di un nuovo linguaggio fisico basato su segni e non più su parole. 2
 
In Inghilterra, all’interno di una feconda poetica, George Bernard Shaw, irlandese di nascita, affermava nel 1903:
 
L'uomo ragionevole si adatta al mondo. L'uomo irragionevole insiste nel cercare di adattare il mondo a sé. Quindi tutto il progresso dipende dall'uomo irragionevole. 3


Dunque, le metamorfosi sul palco e sulla ribalta, dalla sua epoca in poi, si uniformano a una singolare tensione di scambio tra l’indole umana, la società, l’ambiente.

All’interno di un simile “ponte” lanciato à rebours, indietro nella notte dei tempi, medesimo appare il tentativo compiuto negli anni ’30 da Thomas Stearns Eliot (di St. Louis, nel Missouri, ma naturalizzato britannico), affrontando un itinerario di adattamento interiore per mezzo dell’evocazione di una drammaturgia della “poesia”, ricorrendo al folklore leggendario valorizzato da William Butler Yeats. Il poeta, infatti, con la madre di provenienza celtica, è sempre stato affascinato - nel misticismo allora in voga - dal Ciclo dei Fionn, uno dei grandi epos mitici irlandesi.

Le attrici Alla Nazimova e Alice Brady in Il lutto si addice ad Elettra (1931)
 

Oltreoceano, negli Stati Uniti, si sviluppa la definitiva genesi di una “poetica tra le quinte”, la quale, con Eugene Gladstone O’Neill - padre attore, una passione costante per Darwin, Nietzsche, Freud e Jung - riprende l’argomento della lotta in difesa dell’affermazione individuale sino alla disfatta: solcata da traumi nevrotici, anime perverse e mitologia, in particolare quella dell’antica Grecia.

Al 1931 risale Il lutto si addice ad Elettra 4, una trilogia  (Ritorno, L’agguato, L’incubo) con protagoniste Alla Nazimova (Christine) ed Alice Brady (Lavinia). La storia è vissuta dalla famiglia di un alto ufficiale nordista durante la Guerra di Secessione e rielabora la tragedia degli Atridi: Agamennone è ora il generale Ezra Mannon, Clitennestra la seconda moglie Christine, Oreste il figlio Orin ed Elettra la figlia Lavinia. In analogia alle opere originarie di Eschilo alla metà del V sec. A. C., la tematica è orientata su omicidi, adulteri, incesti e vendette, e l’incarico del Coro è assunto da un insieme di cittadini.

Se nelle trame-intreccio autentiche il ruolo di guidare le vicende spettava al Fato (la Τύχη), qui sono articolate in base ai risultati della recentissima teoria psicoanalitica. Diventa quindi urgente, per decifrare gli eventi così raffigurati, accettare il consiglio del semiologo lituano Algirdas J. Greimas circa il modo di intendere, attraverso i significanti creati (o, meglio, allestiti in scena), i loro significati:
 
Indicheremo con il termine significante gli elementi o gruppi di elementi che rendono possibile l’apparire della significazione al livello della percezione, e che, per ciò stesso, sono riconosciuti come esterni all’uomo. 5

Riguardo al contenuto, lo accoglieremo dove «saranno indicate “la” o “le” significazioni di cui si riveste il significante e che si rivelano grazie all’esistenza di quest’ultimo». Soprattutto, però, conclude lo studioso,

sarà possibile riconoscere qualcosa in quanto significante, e attribuire a esso questo nome, solo se questo qualcosa significa veramente. L’esistenza del significante presuppone dunque l’esistenza del significato. 6

Un impulso ideologico e ideativo di simile qualità, ritengo sia importante, anzi prioritario, nel comprendere la mise en scène moderna, persino dopo, quando negli anni ’50 (ancora in Francia) si espande il “Teatro dell’Assurdo” (il caposcuola era stato Alfred Jarry, con il celebre Ubu re del 1893), mentre in Germania Est con il Berliner Ensemble è ormai istituzionalizzato il Teatro Epico di Bertolt Brecht.
 
Lo studioso Algirdas J. Greimas

In esempi del genere, nel legame tra segno e segnale della scrittura (o il corrispondente in scena) e il contenuto, come mai è essenziale la presenza attiva del significato emerso: individuabile e oggetto di verifica per lo spettatore o destinatario. Volendo sostare nelle tappe del lungo viaggio della tradizione antica e classica, pensiamo - nell’ambito di superare le suggestioni espressionistiche dove lo scopo non è procurare emotività, ma riflessioni - all’Antigone di Sofocle, rivisitata appunto da Brecht. 7 L’autore, cresciuto ad Augusta, in Baviera, temendo che la concretezza del messaggio trasmesso dall’opera non fosse abbastanza esplicito, concentrandosi sulla tragica esperienza subìta dai protagonisti della Resistenza tedesca, confessava:

Tanto più ci addolorava di non poter scrivere, in tale occasione, il loro poema, né il fatto che qui non si trattasse di loro poteva riuscir chiaro a chiunque; e soltanto quelli cui risultava chiaro avrebbero usato la dose di distacco necessaria; affinché ciò che mette conto di vedere nell’Antigone - cioè la funzione della violenza al momento del crollo dell’autorità statale - potesse essere visto con utilità. 8

La complessità nel raggiungere l’obiettivo desiderato è anche ingigantita dalla matrice ispirativa del copione, contraria a ogni tentativo di immedesimarsi e sostituito dal “V-effect”, il Verfremdung, ossia lo straniamento, provocato dall’animare personaggi capaci di lanciare al pubblico, di continuo, richiami diretti. È l’«uomo irragionevole» di Shaw, il quale, varcando lo spazio tra palco e platea, cerca di «adattare il mondo a sé».

Essendo il mito un dato antistorico, combinando le tessere eterne dell’umanità, cogliendolo, può accadere sia difficile trovarsi nei suoi caratteri primigeni: e, accanto, il commediografo è tormentato dal pericolo di impiegare un codice comunicativo ormai “occupato” dal nemico. Allineandosi ai regimi totalitari, il nazismo aveva saputo invadere pure il campo dello stile (in lessico e sintassi) della letteratura contemporanea, incluso il discorso teatrale: non a caso numerosi intellettuali ebrei tedeschi, nel comporre, non adottavano la lingua madre. Ecco, allora, il ritorno dei classici “non contaminati”, in particolare Johann Christian F. Hölderlin, la cui traduzione di Antigone piacque a Brecht per precisi toni aspri ma avulsi da pesanti retoriche di riferimento.  
Il debutto di Antigone di Bertolt Brecht (1948)

Il tema acquisito sembrava perfetto: la guerra, la necessità di seppellire pietosamente i morti. Certo, un mero rievocare non era esaustivo: ben presto avverte l’impegno di trasformarlo in attualità. Nel prologo campeggia la scritta “Berlino 1945” e nel preludio appaiono due sorelle e una Schutz-staffeln (SS). Gli unici personaggi aggiunti sono le ancelle, a riprova dell’interesse brechtiano per questa “categoria”: era opportuno «sperimentare su un testo antico non tanto una nuova drammaturgia, quanto un nuovo genere di recitazione». 9 Di sicuro, la semplice proposta di consegnare ai teatri «un modello vincolante per la messinscena, consistente in una serie di fotografie corredate da note esemplificative», 10 conteneva una forte sfida anche agli attori, in un’epoca in cui gli applausi erano invece indirizzati all’“originale”, al “mai visto”, all’”incomparabile”.

Sul palco, al centro, sono le protagoniste contrapposte tra loro: Antigone fa domande, Ismene le evita. Chissà perché si determina, all’improvviso, un climax di fame, e diviene tangibile il mutismo di tanti connazionali verso la persecuzione degli altri (la comunità ebraica). Le battute seguono un narrare anomalo, a volte con “plurali” immotivati e sorprendenti: le frasi sembrano rielaborate per rispondere, in via ipotetica, al monito di Greimas di potenziare, innanzitutto, un nome, un segnale, il quale implichi, in vero, l’associarsi a un senso effettivo.

Nell’area semantica appassionante dei “novecenteschi” Eteocle e Polinice, non fratricidi - il secondo è un disertore assassinato dallo zio sovrano di Tebe, alter-ego utopico di Hitler - l’efficacia del significante «presume dunque l’esistenza del significato»: vale a dire, l’emergere figurato di distinte “trincee” belliche, oltre quella arcaica di Creonte e del re di Argo, dove solo alcuni lottano da partigiani e molti disertano (scelta spesso non circondata da grande credito, ma a suo modo “recuperata” da Brecht). Qui agisce il riedificare simbolico di tali soggetti come emblema della Resistenza: Polinice, non meritando sepoltura poiché traditore, è quindi anche un testimone di ribellione. Creonte esalta i conflitti tramite stilemi aulici dotando di spirito, tra le quinte, il “rimosso” generalizzato di paurosi e odiati schemi logico-intuitivi: «Fa riferimento alla rimozione collettiva», spiega Federica Maltese, «il tentativo di guardare avanti cercando di dimenticare più in fretta possibile il passato, soprattutto nella Germania  Ovest». 11

Le battaglie sono lodate, pensando a Sofocle, ma si sviluppa una vena di volgarità, tramutata in atteggiamenti inquisitori usando in Creonte termini tipici della Gestapo. Nelle metafore, metonimie e allegorie di una teatralità del genere, mentre allude in misura costante al nazismo, innesca il recupero in progress di una eccelsa dimensione poetica, holderliniana, sorta in uno scambio di influssi “buoni”. In conclusione del dramma, Eteocle è schiacciato dai cavalli, Polinice, inorridito, fugge ed è giustiziato. Il messaggio realistico sarebbe: Hitler-Creonte ha ucciso la gioventù.

Suggerisce Brecht, collegando d’un balzo la sua Antigone ai primordi della tragedia antica:

Il rapporto dell’attore con il suo pubblico dovrebbe essere il più libero e diretto possibile. Al riguardo non fa differenza se la comunicazione e rappresentazione ha luogo in mezzo al pubblico, su una strada o in una stanza, oppure sulla scena, su questo assito circoscritto, riservato alle comunicazioni e alle rappresentazioni. 12


NOTE 

1                   Romolo Valli, Ritratto d’attore, a cura di Guido Davico Bonino, Milano, Il Saggiatore, 1983, p. 13
2                   Antonin Artaud, Sul teatro Balinese, in Il teatro e il suo doppio, Einaudi, Torino 2000 (trad. Ettore Capriolo)
3                   George Bernard Shaw, Uomo e superuomo, Milano, Edizioni Ghibli, 2016
4                   Eugene Gladstone O’Neill, Il lutto si addice ad Elettra, Torino, Einaudi,1974 (trad. Bruno Fonzi)
5                   Algirdas Julien Greimas, La semantica strutturale, Milano, Rizzoli, 1968, p. 11 (trad. Italo Sordi)
6                   Ibidem
7                   Sofocle, Jean Anouilh, Bertolt Brecht, Antigone. Variazioni sul mito, a cura di Maria Grazia Ciani, Venezia, Marsilio, 2004 (trad. A. Rodighiero, M.Carpitella)
8                   Bertolt Brecht, Prefazione al «Modello per l’Antigone 1948», in Scritti teatrali. III. Note ai drammi e alle regie, Torino, Einaudi, 1962, p. 238
9                   Bertolt Brecht, Prefazione, cit., p. 239
10              Ibidem
11              Federica Maltese, appunti su Il mito di Antigone, Università degli Studi di Torino, Facoltà di Lettere
12              Bertolt Brecht, Rapporto dell’attore col suo pubblico, in Scritti teatrali. I. Teoria e tecnica dello spettacolo. 1918-1942, Torino, Einaudi, 1962, p. 208

 
 

Rivista di Letteratura Euterpe

ISSN: 2280-8108
N°23 - giugno 2017
“La scrittura teatrale e i suoi interpreti”
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