sabato 30 giugno 2018


Luisa SANFILIPPO – La ragazza di Saint Louis (racconto breve)
                                                          

mail-art di Vincenzo Sanfilippo
 
 
Alfredo attende con trepidazione, dopo molti anni, il ritorno di Josephine. La sta aspettando da circa quindici giorni, ma tarda a venire, sebbene sia già in Europa ospite di amici. Solo lei - cittadina di Saint Louis - potrebbe recar sollievo alla ingarbugliata esistenza di Alfredo, ritemprarne lo spirito, alzargli il morale. Solo lei, calma e rassicurante immagine femminile, sarebbe in grado di beneficiarlo della sua ambita presenza.
Di Josephine gli affiorano alcune frasi dell’ultima lettera scritta in un traballante, tenero italiano. Ogni tanto - lontano ormai dal pensare alla comunicazione cartacea - la tira fuori quasi fosse una reliquia, e si sofferma in alcuni punti: 

“… mi manchi, è sempre come primo… non voglio lasciare mia terra, famiglia, amici, chiesa… e lo so che tu non puoi venire qui per tuo figlio piccolo e per tuo lavoro pure. Sei troppo caro…una persona molto speciale… scrivimi quando puoi. A me non dispiace se mi fa con computer pure… ti penso sempre con molto affetto, con amore…”.                                                                                                                                                   

Con amore, sei troppo caro, una persona molto speciale… Parole che ad Alfredo pulsano di continuo nel cervello e che ritiene troppo impegnative, inusitate per un tipo come lui. Ci riflette su e considera che con Josephine potrebbe iniziare un nuovo capitolo della sua vita.
Lei rappresenta la donna irraggiungibile, fuori dalla propria quotidianità. Ecco, quotidianità. Forse è quello il pericolo che teme maggiormente.
Intanto, nell’attesa tutto gli appare confuso ed estremamente complesso.
Persino smanie e manie si raddoppiano, come quelle delle telefonate pomeridiane delle ore quindici agli amici. Per Alfredo quell’ora è estremamente intollerabile, come pure la sua costrizione, se pur momentanea, alla solitudine. Il rapporto con il telefono, dunque, diventa simbiotico. Rapporto che qualche volta si tramuta in odio profondo quando si trova a litigare violentemente con qualcuno. In preda a un attacco isterico, scaraventa l’apparecchio per terra, ma se ne pente subito dopo.
In queste particolari condizioni psicologiche Alfredo aspetta Josephine.
I dubbi continuano ad assillarlo: 

“Sono in grado di sapermi accattivare la simpatia, la benevolenza, l’arrendevolezza di una donna?”.

Cerca di dare valide giustificazioni all’insorgere di questi timori, attribuendoli al periodo particolarmente difficile che sta attraversando. Ma l’immagine di lei, che balza prepotente e imprime al proprio corpo un moto morbidamente ondulatorio, fuga subito ogni dubbio o timore.
Era bella, Josephine. Una falsa magra come piacevano a lui, una massa di capelli neri, occhi seducenti. Così la ricorda. L’avrebbe persino sposata.  

“Ma ne sono del tutto convinto? Accidenti! Perché sono così complicato?”. 

Si tormenta per queste sue contraddizioni. Subito viene assillato da incertezze, dubbi sulla sua sensualità.
Una telefonata di Josephine gli annuncia il suo arrivo imminente.
Due giorni dopo sono insieme, lui facendo ironiche osservazioni sul fisico di lei, lei scherzando bonariamente per l’adipe formatosi nell’addome di lui. Ciononostante mostrano molto entusiasmo, quello che normalmente accompagna i primi incontri. Soprattutto Alfredo sembra aver ritrovato la sospirata pacatezza. Sembra. 
La sua è un’illusoria, apparente serenità? 
                                                                                                                                 
Dopo appena una settimana di convivenza, lo spirito lievemente ritemprato di Alfredo comincia a perdere il suo vigore. I dubbi che lo hanno tormentato stanno per trasformarsi in certezze.
Ha scoperto che con lei, come del resto era accaduto con altre donne, non c’è nulla di imprevedibile. Tutto ripetitivo, niente di stimolante, nessuna novità.
Al pari di certi personaggi brancatiani, “… se la donna è altrove, l’Eros ha per oggetto soltanto una figura di donna immaginaria”. Alfredo l’ha molto idealizzata, ha creato nella sua immaginazione un tipo di donna che non corrisponde più all’immagine reale. Una donna con il suo bagaglio quotidiano carico di improvvise accensioni colleriche, trasporti affettuosi, angosce, fragilità, bisogno di amore... Di lei non riesce più ad accettare l’eccessiva magrezza, gli occhi meno seducenti, i capelli non più voluminosi, la mentalità non corrispondente alle sue esigenze intellettive. Alfredo, molto deluso, comincia a rimpiangere i momenti insoliti della sua struggente attesa, il caldo entusiasmo, i deliri del desiderio che per lungo tempo avevano preceduto il nuovo, sospirato e temuto incontro con lei. 

“Non mi ami più? Non senti più nulla per me?”, gli chiede accorata Josephine, con una dizione simpaticamente siculo-americana.  

 “Devi capirmi… è un periodo difficile… sono uscito da una disastrosa relazione… Se tu fossi arrivata magari tra un mese… sarebbe stato diverso…”. 

Poi Alfredo si autoconvince che l’unica soluzione per distaccarsene definitivamente è quella di comunicarle la sua imminente partenza per un importante impegno di lavoro. 
Naturalmente non parte, rimane ospite in casa della moglie, dalla quale è separato, dormendo nella camera del figlioletto su un letto a castello.
Appena svegliatosi, dopo una notte piena di incubi in cui si mescolano nel sogno le fisionomie della madre che lo tiene in braccio come fosse un bambino, della ex moglie che prende le sembianze della ragazza di Saint Louis, si sofferma a guardare suo figlio con amore e tenerezza, mentre ancora dorme, come se lo vedesse per la prima volta, determinando in lui la formazione della coscienza morale del ruolo di padre.
Poi ripensa a Josephine. Solo sentimenti di nostalgia, ma nessun rimpianto. Solo una pulsione impetuosa terminata in un rapido e progressivo declino.

 

 
(c.b.) Apprezzando un componimento in prosa, di frequente l’obiettivo coincide con valutarne lo stile espressivo e il corpus delle notizie, il messaggio, equilibrandone in scala personale (è ovvio, connessa alla realtà attuale del testo) l’ingerenza reciproca di ruolo nella trama-intreccio. In termini critici, il messaggio una volta era definito contenuto: sebbene le due entità non siano equivalenti, poiché il secondo raffigura solo un aspetto del primo, spesso, per utilità strumentale, concentro su di esso l’importanza.
Quando ciò avviene, per complesso contenutistico intendo anche gli elementi, le tracce sentimentali, dunque non un flusso eminentemente informativo: lo identifico, pertanto, con gli indizi di un certo “sentimento dominante”, ossia con il carattere naturale, la vicenda particolare, psichica e culturale enfatizzati dallo scrittore (in questo caso, scrittrice) nell’opera analizzata, o meglio, nel piano della struttura semantica elaborata.
Per un motivo simile, leggendo La ragazza di Saint Louis della Sanfilippo, sin dalle righe d’esordio sono stata indotta a costruire un livello interpretativo adeguato a seguire il legame tra la story dei protagonisti (Alfredo e Josephine), la Weltanschauung dell’autrice (cioè l’idea del microcosmo e del posto da noi occupato in esso), e le occasioni spirituali o storiche (di taglio pure economico) del nostro tempo. In altre parole, il racconto così recepito incarna l’attesa di concretizzare l’ambizione coraggiosa di lasciare alle spalle la collettività di uomini impegnati a dedicare «la loro vita a ripetere cose, gesti e comportamenti che chiamano abitudini», descritti dal cileno Louis Sepùlveda in Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza (2013).
Ma nel “fluire” di tale aspettativa, presto delusa dalle scarse forze in campo e dall’alibi di scovare nella novità orme indelebili del già vissuto, si impone essenziale e vitale una siffatta pausa di segni e segnali in grado di espandere e inaugurare un mondo analogo a quello risolto per Ismaele - emblema della matrice utopica dell’Herman Melville di allora - in un’aura impietosa di totale relativismo: ovvero, in un eterno ritorno del ciclo del fare umano per niente rassicurante, al contrario fautore dell’annullamento di qualsiasi tentativo che nel nostro Alfredo «potrebbe recar sollievo alla ingarbugliata esistenza (…) ritemprare lo spirito», alzare il “morale”.
Adottando un lessico a metà strada tra il ricordo e il presente percepito, l’intelaiatura narrativa del brano si snoda di conseguenza, con peculiare riguardo alla semiotica del mezzo di trasmissione telefonico (mezzo «simbiotico» e «intollerabile»), lungo iter realizzati con funzionalità diretta e indiretta di brame e desideri, materiali o immaginari, sinceri o velleitari al limite del lecito e dell’illecito. Il tutto, comunque, sempre e per volontà idealizzato ed espresso grazie a consonanze di lessemi e referenze di origine familiare, idonei a catturare interesse, solidarietà e immedesimazione: ecco il protagonista considerare «che con Josephine potrebbe iniziare un nuovo capitolo della sua vita».
L’input di passione trasgressivo, ciononostante, è racchiuso non in una simbologia erotica travolgente - sarebbe oltremodo ordinario - quanto piuttosto in insiemi di pertinenza delle “cose” transitate in un codice linguistico e un periodare intensi, soffusi di allusioni suggestive, all’altezza di attrarre e garantire piacere emotivo e dei sensi, carichi in misura elevata di gratifiche responsabili e unanimi. Infatti, l’uomo indugia su «alcune frasi dell’ultima lettera scritta in un traballante, tenero italiano»: «Con amore, sei troppo caro, una persona molto speciale…». Una coesione paradigmatica, quindi, colloquiale, nell’area semiologica affettiva; eppure, appunto per questo, sono «parole che ad Alfredo pulsano di continuo nel cervello e che ritiene troppo impegnative, inusitate per un tipo come lui. Ci riflette (…) Lei rappresenta la donna irraggiungibile, fuori dalla propria quotidianità».
Ma per quale ragione tali unità di veicoli e messaggi così classiche, a dispetto della chiara bellezza evocativa, spaventano il maturo spasimante? Magari perché - e Luisa Sanfilippo ne è ben consapevole - i valori fondamentali non sono generati dai fenomeni, dai sentimenti, dalle relationship in sé, ma dalle conseguenze, dagli esiti da esse imposte. In sostanza, se in principio amare una lady del Missouri lasciava intravedere un gioco di qualità contrastanti avvincente ed estraneo al ritmo “quotidiano” («Quotidianità. Forse è quello il pericolo» che il personaggio «teme maggiormente»), nel procedere, poi, i passaggi dall’hic et nunc oggettivo ai significati presupposti non si compiono come previsto, o secondo un’attendibilità rassicurante. Persino nell’attesa, «tutto gli appare confuso ed estremamente complesso».
No, Alfredo non rimane deluso dall’incontro, né interrompe la programmata convivenza perché «di lei non riesce più ad accettare l’eccessiva magrezza, gli occhi meno seducenti, i capelli non più voluminosi, la mentalità non corrispondente alle sue esigenze intellettive». «Smanie e manie» ossessive, invece, raddoppiandosi, stabiliscono un segnale di singolare ricerca di conforto in cui il dinamismo delle angolazioni sentimentali ed esistenziali del protagonista trova, infine, il punto focale negli albori associativi della società umana: l’unione famigliare formata dalla moglie (anche se ex), il proiettarsi progressivo infantile, molto saldo se rinnovato nel vissuto di un figlio dove i limiti dei gesti reiterati e delle consuetudini alienanti non esistono ancora.
Attenzione, però: non penso a una fuga nell’infanzia felice e idilliaca, in quanto, come Oriana Fallaci ribadiva, la vita dei bambini spesso è una battaglia perpetua, con momenti di gioia pagati a caro prezzo. Completo queste note critiche su La ragazza di Saint Louis citando una riflessione di Ennio Flaiano dal romanzo Melampus (1970), assai confacente all’atmosfera del racconto, tale da suggerire il movente autentico capace di spingere Alfredo nel rifugio conclusivo della sua avventura: «L’amore non può nascere che dall’oscuro desiderio che è in noi stessi di ripetere le sconfitte infantili. L’amore comincia quando ci accorgiamo di aver sbagliato ancora una volta».

2 commenti:

  1. L'attesa,certe volte spasmodica,di un evento.. Costituisce di per sè l' evento stesso. Ma poi la quotidianità della vita costringe ad amare..le abitudini stesse..Un amore lontano,fugace,vissuto..quasi di nascosto,poetico in sé,costringe poi ad accettare quel che la vita porta..Aux revour..Ritornando all' inconscio..dei pensieri e crucci..Della infanzia...Tutta la vita è una ricerca spasmodica di un evento..Che poi ....si può configurare come...l' Evento....

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    1. Cara Valentina, sono d'accordo con te. La vita è un'attesa e, quando l'attesa si realizza, già sorge il desiderio di costruirne un'altra. Com'è mostrato a suo modo in questo racconto di Luisa Sanfilippo.

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