giovedì 10 maggio 2018


Paola FORTINI – “Profumo in scatola” (racconto breve)
 
 
Guardi sconsolata il caos che regna nell’armadio. È ormai arrivato il momento di rimboccarti le maniche e di cercare di mettere ordine tra la montagna di vestiti che rischia di crollarti addosso ogni volta che lo apri.
In mezzo a tutti quei maglioni e pantaloni neri o comunque scuri, la scatola di tela bianca è facilmente visibile.
Vorresti non aprirla e cerchi di ignorarla, ma ora che tutti gli abiti sono sul letto in attesa di essere piegati con cura e rimessi al loro posto, sul ripiano è rimasta solo la scatola.
Lo sai che aprirla ti farà perdere tempo. Lo sai che il contenuto ti riporterà nel passato e che sarai avvolta da ricordi teneri e dolorosi. Lo sai già, ma la apri lo stesso.
Eccoli là: il pigiama grigio, stropicciato e grinzoso, la vestaglia di nylon a fiorellini rosa, perfetta perché il nylon non prende le pieghe, e il guanto lungo, da cerimonia, di pelle finissima e bianca, traforato come a formare un ricamo sul dorso.
La mamma si era comprata quei guanti per la tua prima comunione, tre anni prima di morire. Te ne rimane uno soltanto. Lo prendi e, come fai ogni volta, provi a indossarlo. È piccolo ma la pelle è così morbida ed elastica che alla fine riesci ad entrarci. Poi, con la mano guantata, prendi la vestaglia e ci affondi il naso. Inspiri profondamente. Lo conosci già l’odore che senti. È l’odore della mamma. Non è più così intenso come lo era nei primi anni dopo la sua morte, quando tenevi la vestaglia con te nel letto nell’illusione di averla ancora vicino, almeno di notte.
Sono passati quasi cinquant’anni, e forse l’odore che ti sembra ancora di sentire è presente soltanto nel tuo ricordo.
È il profumo della mamma quando era già ammalata. Un misto di disinfettante e sapone palmolive. Era l’odore che sentivi quando ti sdraiavi accanto a lei, ormai ferma a letto divorata dal cancro, per farle vedere cosa avevi fatto a scuola.
Lei ti ascoltava stanca, sforzandosi di partecipare ai tuoi racconti. Ti accarezzava e ti abbracciava e tu venivi avvolta da quel suo profumo. Allora non ti piaceva molto. Quell’odore di disinfettante la rendeva malata. Ti liberavi dai suoi abbracci e correvi a rifugiarti tra le braccia della nonna o del babbo.
Loro ti dicevano di essere più affettuosa con lei e di non scappare subito via, ma tu non ci volevi stare con la mamma in quelle condizioni. Non volevi vederla così pallida e magra. Non la volevi una mamma ammalata. Le mamme non si ammalano. Quelle delle tue compagne stavano tutte benissimo.
Poi, l’ironia della vita ha fatto sì che l’unica cosa che ti rimanesse a ricordo di lei fosse proprio quella vestaglia leggera, impregnata del profumo della sua malattia, un profumo che ti avrebbe fatto sentire in colpa per il resto della tua vita.
Ti sfili il guanto e lo riponi insieme alla vestaglia nella scatola bianca. Ti annusi le dita alla ricerca di quella leggerissima fragranza di lavanda che ricordi di aver sentito altre volte. Ma non c’è più. Allora prendi il pigiama grigio e ripeti il rito. Lo premi sul viso, lo strusci sulle guance e sul naso e finalmente lo senti. L’odore di Valerio è ancora vivo. Era l’odore che sentivi, quando, specialmente in inverno, ti stringevi a lui nel letto per riscaldarti. Quando gli mettevi i piedi gelati tra le gambe e le mani sotto le ascelle e lui ti chiedeva se eri ancora un essere umano oppure se ti eri già trasformata in rettile. L’odore della sua pelle, mescolato a quello del dopobarba e del sapone di marsiglia che usava sempre per lavarsi, ti riscaldava quasi quanto il calore del suo corpo. Ti piaceva tanto addormentarti avvolta in quel profumo così caldo.
Avresti voglia di metterti a letto e dormire abbracciata al suo pigiama, ma non lo fai.
Pieghi con cura il pigiama e, mentre lo rimetti nella scatola, pensi che in fondo sarebbe bello avere qualcosa che ti ricordi il profumo di tutte le persone che hai amato e che non sono più con te. Hai foto e oggetti che te li ricordano, è vero, ma il profumo, l’odore è qualcosa di diverso. È vivo, animato. È tridimensionale. Pensa che bello se si potesse mettere sottovuoto il profumo della gente!
Ma guarda in che pensieri ti vai a perdere. Hai un armadio vuoto e un letto con una montagna di abiti neri da sistemare velocemente prima che i gatti li riempiano di peli. 
Via via che li riponi nell’armadio li annusi. Forse dovresti scegliere un maglione che profuma di te e metterlo in una scatola sigillata. Forse tuo figlio sarà felice di averlo quando non sarai più con lui. Chissà quali ricordi di te gli tornerebbero alla mente annusando questo maglione nero.
Scacci i pensieri strani e le tristezze e ti rimetti al lavoro.
Leone, che essendo cane di odori se ne intende, annusa l’aria, inizia a scodinzolare e si precipita nell’ingresso tutto felice. Lui percepisce il profumo delle persone che ama anche attraverso i muri.
Un minuto dopo tuo figlio apre la porta. 
 

Paola Fortini, sessantenne, si è appassionata alla scrittura traducendo dall’inglese racconti d’amore per una rivista. Scrive prevalentemente storie autobiografiche. Nel 2016 pubblica alcuni racconti nell’antologia Pezzo su pezzo edita da Porto Seguro, insieme ad alcuni compagni di un laboratorio di scrittura creativa. Nello stesso anno un altro suo brano viene pubblicato in una raccolta a cura dell’Associazione culturale Small Room di Firenze. Esordisce nei concorsi letterari partecipando alla terza edizione di “Incrociamo le penne”: il suo racconto Profumo in scatola si classifica al 1° posto nella sezione Narrativa. 

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          Lo scrittore, fotografo, cineasta tunisino Marcel Hanoun, contemporaneo alla Nouvelle Vague, una volta ha dichiarato: «Di tutti i sensi, l’odorato è quello che mi colpisce di più. Come fanno i nostri nervi a farsi sfumature, interpreti sottili e sublimi, di ciò che non si vede, non si intende, non si scrive con le parole? L’odore è come un’anima, immateriale».
In effetti, il profumo produce o è il frutto di un percepire, di un gustare alquanto remoto da status materiali; inoltre incline, per legge proustiana, a sperimentare sinestesia. Immateriale, dunque, a patto di ritenere di tale natura anche l’amore, l’ispirazione, la paura, la felicità, il dolore. Il racconto di Paola Fortini offre un momento prezioso di dedicata riflessione sull’animus dei lettori, verificando se collaborano o meno nel decifrare -  in virtù della simbologia suscitata da questo olfatto evocativo - l’ampiezza dei segni/segnali esatti e costruttivi di sensibilità molto concrete, veicolate però da elementi, per così dire, impossibili da toccare, perfino nel contesto illustrato in cui appaiono.
Cosa accade, quindi, a lato della protagonista della vicenda, aprendo ciascuno la propria scatola? Sappiamo dove si trova, e quando, con premura e timore, ne alziamo il coperchio, allora di sicuro scaturirà, assai attesa, la forza di una vita anteriore mai cancellata. Gli oggetti custoditi sono lì al completo: in realtà, vorremmo fossero già nostri, ma purtroppo, a causa della singolare matrice obbiettiva dell’esperienza di avvertire un profumo, non riusciamo a conquistarli da soli. Gli itinerari trapelati da quell’essenza, in qualche dettaglio, non appartengono in stretta misura alla sfera personale, nonostante siano motivati in un’intimità intensa al punto da risultare permanente e immutata.
Il linguaggio adottato dall’autrice, denso di quelle entità valutate in semiotica ad “alto grado” significative, procede manifestandosi in un andamento progressivo, per mezzo di unità semantiche patetiche e avvincenti, con l’intervento di un travolgente scambio tra le componenti lessicali e il referente. Ad esempio: «Inspiri profondamente. Lo conosci già l’odore che senti. È l’odore della mamma», oppure «Lo premi sul viso, lo strusci sulle guance e sul naso e finalmente lo senti. L’odore di Valerio è ancora vivo».
Secondo il filosofo danese Louis Hjelmslev, «qualunque segno, qualunque sistema di segni, qualunque sistema di figure organizzate in funzione di segni, qualunque lingua contiene in sé forma dell’espressione e forma del contenuto» (è ovvio, compreso anche il sistema di comunicativo dell’olfatto). Tuttavia, per mala sorte, ciò non fa sì che una tale scelta stilistica di cliché sensoriali, affettivi, ideali e fisici, abbia il potere di sancire la sussistenza dell’hic et nunc richiamato. Del resto leggiamo, a proposito della madre: «Sono passati quasi cinquant’anni, e forse l’odore che ti sembra ancora di sentire è presente soltanto nel tuo ricordo» e, riguardo al marito: «Ti piaceva tanto addormentarti avvolta in quel profumo così caldo. Avresti voglia di metterti a letto e dormire abbracciata al suo pigiama, ma non lo fai».
La Fortini gestisce con maestria l’energia utopica e metalinguistica dell’immaginare e dell’immedesimarsi compiuta tramite una fitta rete di segni e segnali consona a suggerire aspettative, alimentarle e, con realistica e impietosa efficacia, tradirle: in una mirabile dialettica intessuta nello slancio orientato verso l’esterno allo scopo di recuperare e riconciliare l’animo con gli errori, i sensi di colpa, a pari importanza con la felicità un tempo goduta in modalità legittime. Ne deriva una struttura adeguata a individuare la via eccellente e articolata di un ritorno all’immanente, in un mondo sorretto non da mere fantasie, nostalgie o pure illusioni: al contrario, i significanti e significati esibiti sono proficui per intrecciare l’impulso di desideri non inibiti nell’attuarsi - la scomparsa e morte sono dati invincibili - essendo idonei, però, a proiettare, tra una parola e l’altra, o negli intervalli e nell’avanzare del plot, un’aura giustificata dalla protagonista in qualità di veri, probanti riflessi di un vivere tuttora reale.
Dov’è il mistero? Direi di trovarlo riposto nella dote dell’Io narrante di trasmettere la pertinenza di una soggettività ricca di esiti di riferimento precisi, mai fuorvianti, sebbene a contatto con oggetti ambigui, polivalenti, perché collocati nell’interregno peculiare dell’essere stato e del divenire. È così che Paola Fortini conferma quanto gli autori (nel caso commentato, autrici) siano specialisti nell’associare (alludo allo schema logico-intuitivo del testo), nel dissociare (i giudizi di conoscenza formulati) e nel ricomporre: ossia dispongono, grazie allo spazio del Conscio, una costruzione o ricostruzione di nuove unità con requisiti per noi a sorpresa, per loro sperimentati a lungo e nel segreto della mente, del proprio amore per l’utopia letteraria. E per la vita. (c.b.)

 

11 commenti:

  1. Commento relativo al racconto “Un profumo tra i ricordi”
    Ho sempre pensato che la memoria olfattiva abbia qualcosa di quasi miracoloso: basta davvero poco perché angoli di mondo lontani dalle coordinate spazio-temporali del presente, o persone quasi sepolte nella nostra memoria, riacquistino all’improvviso tutta la propria “ fisicità”. Ma questo, quasi sicuramente, lo pensiamo tutti; non tutti però, siamo altrettanto capaci di vestire tale memoria con le parole leggere come un soffio e pesanti come il dolore, che compongono lo struggente racconto di Paola Fortini . Un racconto che assolutamente non può lasciare indifferenti, tanta è l’intensità del narrato e del legame affettivo che unisce la protagonista a persone scomparse per sempre dal palcoscenico della quotidianità, ma vive per sempre dietro le sue quinte, grazie alla scia , in parte vera e in parte quasi immaginaria, dei loro profumi. Profumi non sempre gradevoli, ( il disinfettante nel caso della madre) ricordi non propriamente piacevoli ( presumibilmente la perdita del compagno di vita), ma indispensabili per prolungare l’esistenza di chi è rimasto con lei ben più a lungo dell’arco temporale condiviso nella realtà. La capacità dell’autrice di toccare con il suo racconto le corde più sensibili della nostra emotività è notevole: lo fa con un tocco impalpabile ed insieme profondo: certo non è un testo che si possa facilmente dimenticare.
    Rossella Cipressi

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    1. Grazie anche da parte mia per il commento appropriato.

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    2. Grazie Rossella per il suo commento. Tutto questo è emozionante.

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  2. Il Profumo e' anche, se non erro,un' opera cinematografica.Quante volte un profumo riconduce ad un ricordo..D'Annunzio amava profumarsi,lo fecero anche le donne egiziane,romane..Il profumo conduce la mente a ricordi che solo il subbconscio,anche dopo anni,fa riaffiorare...Ecco,in questa opera leggera e garbata l' autrice ci conduce a ricordi da lei vissuti,ma che si intonano appieno con la nostra vita...Ebbene,uno dei profumi per me piu' carezzevoli per l'anima mia..E' l' odore nell' aria..Della pioggia..Dopo un temporale estivo,al mare...

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    1. Grazie, Valentina, per questa nota vagamente leopardiana.

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  3. Ho passato alcuni giorni a cercare le parole più appropriate a esprimere la mia gratitudine per aver pubblicato il mio breve racconto sul suo blog e per la profonda analisi che ne ha fatto.
    Non le ho trovate. Le invio soltanto il mio più sentito grazie. Grazie per aver visto oltre le mie parole. Davvero con tutto il cuore.

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    1. Grazie a te, Paola. Speriamo tu gradisca essere di nuovo ospite, nel tempo, sul mio blog.
      A presto.

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  4. Bellissimo racconto! Intimo, intenso, profondo ma scritto in modo leggero, in modo che il sentimento affiora immediatamente a rapire e coinvolgere il lettore. Complimenti sinceri!

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