Luisa SANFILIPPO – “Mondo frammentato” (racconto breve)
opera di Vincenzo Sanfilippo
Andrea si sentì d’un tratto persona
inconsistente, opaca, vuota.
Non era realtà ciò che stava vivendo.
Evidentemente era ancora sballottato in una situazione onirica, non si era
alzato dal letto e doveva aspettare paziente, senza agitarsi, il risveglio
mattutino.
Dopo alcuni istanti si rese conto che
la sua mente non era annebbiata dal sonno; era andato anche in bagno, poi si era spostato in cucina, fatto
colazione e gustato un buon caffè. Con espressione stralunata più che stupita
osservò ancora il tavolo.
Vi erano sparse molte penne, buste per
lettere, tanto cartaceo che anelava da
tempo di essere riempito di scrittura a mano.
C’era tutto questo, tranne il computer
e il tablet. Spariti.
Si sentì denudato. Come avrebbe potuto
farne a meno?
Non avendo un’eccessiva cerchia di
amici da frequentare, Andrea si accontentava di quelle centinaia di individui
virtuali con i quali chattare o twittare. C’era in lui un sottile piacere
nell’evidenziare costantemente su Facebook la sua immagine con foto inviate
parecchie volte al giorno, scattate nel proprio ambiente domestico, o in luoghi
caratteristici, invidiabili. Tali esigenze o abitudini quotidiane sono
comprensibili se applicate con moderazione, equilibrio. Andrea, invece, immerso
nella pratica dei social network, si aggrappava in modo eccessivo a situazioni
illusorie, effimere, non trovando altro modo - forse per una sua particolare
indole caratteriale - di confrontarsi e
relazionarsi con gli altri.
E quella mattina, guardando il tavolo
stracolmo di tutt’altre cose a lui estranee e lontane, con voce strozzata
riuscì appena a pronunciare: “Dov’è andato a finire il mio computer? Non vedo
nemmeno il mio tablet! Sono entrati i ladri? Non credo. Qui è tutto ordinato,
anche la stanza è ordinata. Sono
perduto!”.
Poi Andrea pensò allo smartphone,
quindi poteva ancora comunicare con qualcuno. L’aveva poggiato sul comodino
nella camera da letto, doveva essere lì, naturalmente.
E invece non c’era. Sparito.
Ciondolante e percorso da forti
contrazioni muscolari, si ricordò poi che da qualche parte, ben riposto, vi doveva
essere il vecchio telefono di casa abbandonato da tempo. Quindi, animato da
questa possibilità, riuscì a spostarsi appena verso il punto dove era sistemato
il telefono. Non lo raggiunse. Si fermò esitante.
La memoria era da troppo tempo
smorzata dalla pratica di attivare numeri solo inseriti sul cellulare. Quindi
non poteva farne uso. Ma il pensiero della vecchia agenda telefonica lo aiutò a
svincolarsi dal fastidioso dissesto emotivo, e subito dopo se la ritrovò in uno
dei cassetti dove era solito conservare oggetti in disuso, o che di tanto in
tanto gli potessero servire. Adesso l’agenda era diventata inconsapevolmente
necessaria, preziosa. Raggiunto il telefono, si apprestò a comporre il numero
dei genitori. Ma Il telefono risultava disattivato. Dovette poi convenire che
ciò era normale, non avendolo più preso, da tempo, in considerazione.
Si chiese: “Cosa fare? Come reagire?”.
Non trovò alcuna soluzione se non
quella di uscire di casa e provare a cercare persone con cui dialogare dal
vivo. Contatti umani veri e non fittizi.
Ritrovatosi sulla strada sottostante
si avviò con passo sicuro, testa dritta, sguardo orizzontale, in direzione del
negozio dove era solito rifornirsi di tutto ciò che riguardasse la moderna
tecnologia. Poco dopo, non vedendo esposto nella vetrina nulla che potesse
ricollegarlo al presente, alle ultime innovazioni, si sentì percorso da
inevitabili tremori, ma cercò di mantenere, prima di entrare, un adeguato
contegno, chiedendo con la lingua
impastata valide chiarificazioni. Ma il negoziante non seppe dare risposta alle
sue impellenti richieste. Gli diede informazioni per ciò che riguardava
televisori, radio, registratori,
macchine fotografiche…
“In che epoca sto vivendo?”, si chiese
sbigottito, appena uscito su strada.
“Non c’è niente che possa ricollegarmi
al mio presente. Io ho bisogno di parlare con qualcuno, devo trovare un amico
con cui confidarmi, esprimere la mia totale confusione, metterlo al corrente di
tutto, aiutarmi a superare questo mio, spero, momentaneo scompiglio mentale”.
Andrea si ricordò allora che dalle
parti di casa sua abitavano alcuni amici con i quali era solito chattare. Tra
questi vi era Stefano, che reputò il più disponibile e confidenziale. L’amico
gli confessò che anche lui avrebbe dovuto chiamarlo per incontrarsi,
trascorrere magari qualche serata insieme ad altri amici; ma anche per discutere, esprimere ognuno le proprie
opinioni… parlare soprattutto della precarietà del loro futuro, delle effettive
difficoltà - essendo giovani - di introduzione al lavoro.
Da quando si erano conosciuti c’era
stata poca frequentazione tra loro; avevano quasi sempre comunicato attraverso
i social. “Come mai Stefano non ne ha accennato?”, pensò Andrea dopo un po’ che
l’amico l’aveva accolto con molta affettuosità. Osservando però che nella sua
abitazione non vi era niente con cui poter comunicare, tranne il telefono di
casa, timidamente e per non metterlo in
imbarazzo lo rese partecipe di ogni cosa.
“Che dici? Internet..? Email,
Facebook…Twitter, chattare? Veramente? Esiste tutto questo? Dimmi tutto,
informami, io non sapevo…”.
Andrea glielo comunicò, e Stefano, non
senza fatica a trattenere lo stupore, rilevò che la fantastica visione di
materiali innovativi faceva parte di un bel sogno premonitore, e che quindi la
nuova, sospirata tecnologia sarebbe venuta alla luce, un giorno quanto prima
possibile. Qualcosa d’inatteso, rivoluzionario, sarebbe accaduto.
Doveva aspettare nuovi eventi. Solo
aspettare…
Fu a questo punto che Andrea si
svegliò. Questa volta veramente.
La prima particolarità del messaggio costruito da Luisa Sanfilippo
nel racconto Mondo frammentato - attraverso le orme di un sogno illustrato, così come lo ha vissuto
il protagonista - appare quasi fosse, nel plot elaborato, una volontaria
conferma letteraria, poetica, della chiave interpretativa dei sogni inaugurata
da Sigmund Freud: nel senso che il padre della psicoanalisi, all’alba del
Novecento, adottò la scelta di decodificare l’aura onirica per tentare di
chiarire l’ambito dell’Inconscio, con l’obiettivo di identificarne i
condizionamenti e la presenza di segni e segnali nella dimensione concreta, gestiti dalla sfera conscia. L’insigne medico viennese, avanzando lungo tappe progressive dei
contesti sognati dai pazienti,
intendeva aiutarli a comprendere i problemi (ossessioni, nevrosi, paranoie) dei
rispettivi atteggiamenti ad “occhi aperti”, favorito dalla scoperta delle
radici motivazionali alla loro fonte.
Nel corso dell’itinerario, nel microcosmo condiviso durante il
sonno dall’Io narrante, in Mondo frammentato procede una realtà - sia pure
avveniristica nell’immaginario - in grado di esplicitare la tangibilità delle
cose smentendone l’ascendente falsificatore, da decenni nemico della naturalità
autentica dell’interscambio umano. Andrea, di conseguenza, agli inizi in uno
stato di veglia illusorio o di metasogno, pensa di alzarsi e – dopo il breakfast e un buon caffè – nella cucina
dell’appartamento osserva il tavolo: «Vi erano sparse molte penne, buste per
lettere, tanto cartaceo che anelava da tempo di essere riempito di scrittura a
mano. C’era tutto questo, tranne il computer e il tablet. Spariti. Si sentì
denudato. Come avrebbe potuto farne a meno?». In breve avverte anche la
mancanza dello smartphone: allora sopraggiungono imbarazzo e timore in un
inquietante e completo smarrimento.
Lo studioso francese Yves Delage, citato nelle opere freudiane,
precisa: «Insomma, il sogno è un prodotto del pensiero vagante senza meta e
senza direzione, che si fissa successivamente sui ricordi che hanno mantenuto
sufficiente intensità per porsi sul suo cammino e fermarlo quando passa, stabilendo
tra di essi un legame ora debole e incerto, ora più forte e stretto, a seconda
che l’attività del cervello, in quel momento, è più o meno abolita dal sonno».
Ma le tracce della mémoire del nostro disorientato personaggio risultano, chissà quando,
cancellate, perché è proposto un quid in fieri relativo al già sperimentato,
al superato. Quindi, la struttura
semiotica organizzata dalla Sanfilippo anima con efficace vigore un souvenir
inconscient (ricordo inconscio) il quale,
svincolato dalla memoria fattiva, è in uno status regredito e concluso e, in altri termini, irreale, in analogia a
quanto spesso si verifica se siamo accolti nell’abbraccio soporifero di Morfeo.
Pertanto, il main character della storia, ormai fuori casa, chiede sbigottito: «In che epoca sto
vivendo?” “Non c’è niente che possa ricollegarmi al mio presente. Io ho bisogno
di parlare con qualcuno, devo trovare un amico con cui confidarmi, esprimere la
mia totale confusione, metterlo al corrente di tutto, aiutarmi a superare questo
mio, spero, momentaneo scompiglio mentale». Come rinvenire la gerarchia di
significato dispersa? La via d’uscita è unica: scavalcare la necessità causata
dalle realtà mass-mediali odierne e recuperare ogni rapporto diretto tra gli uomini
a loro antecedente.
La fantasia, a parere di Sigmund Freud, non è un linguaggio
concettuale: «Ciò che essa vuole esprimere lo deve rappresentare visualmente, e
poiché in questo caso il concetto non interviene a indebolire, essa dipinge con
tutta la pienezza la forza e la grandezza dell’espressione pittorica». Infatti,
l’intelaiatura tecnico-ideativa dell’esperta scrittrice riesce, per magia e
competenza semantica, a simboleggiare in misura perfetta (per mezzo di una
trama-intreccio dinamica e cronologica del riflettere/agire) gli stadi di una
presunta psicosi, la quale, invece di essere frutto occasionale di
un’allucinazione (per l’esattezza, il sovrastare di un hic
et nunc onirico), coincide con
l’incombente disagio di constatare quanto sia ridotto a zero il conforto di una
vicinanza umana e della sensibilità di comunicare con i propri simili.
Dunque, dopo aver “dialogato”, sognando, con l’amico Stefano,
Andrea è consapevole che «qualcosa d’inatteso, rivoluzionario sarebbe accaduto.
Doveva aspettare nuovi eventi. Solo aspettare…». Cosa? Di rammentare, appena
svegliato («Questa volta veramente»), un passato benefico e terapeutico. Freud
ha scritto: «L’uomo addormentato e l’uomo malato ricordano ciò che l’uomo desto
e sano sembra aver dimenticato». E la vicenda della story ha luogo, senz’altro, in un percorso di
guarigione, nell’ambito di una grave malattia della solitudine evocata nel
crescente pathos dal racconto di
Luisa Sanfilippo. (c.b.)
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