venerdì 9 marzo 2018


Marco MARESCA – Il testamento di nonna Memma (racconto breve)




Nel suo studio Martino teneva un teschio umano. Lo aveva poggiato, ai tempi dell'università, al centro di una delle pareti attrezzate a libreria. Il centro dell’universo, diceva, e della sua vita. Il gusto del macabro, o il pessimismo cosmico, dicevano gli altri. Da lì, in ogni caso, non lo aveva più rimosso.
La madre di sua madre, nonna Memma, nell'unico vano della sua casa in cima al paese, proprio sopra il caminetto teneva la foto dei suoi nipoti. Di tutti i nipoti, in un divertente scatto preso in uno dei tanti ferragosto trascorsi insieme. Non lo diceva, ma era il suo punto fermo, la sola certezza che il mondo potesse continuare a esistere dopo di lei.
Martino passava molto tempo nel suo studio. Scriveva storie per sé e per gli altri. E il teschio era la sua principale fonte di ispirazione. Se la morte è il destino che ci attende, diceva, come posso non partire da questa verità? Come non tenerne conto a ogni verso, ogni parola, ogni pensiero?
Nonna Memma era una contadina, figlia e nipote di contadini. Il paese era il suo unico orizzonte, la vita e la morte degli uomini gli unici eventi da ricordare. Nessun mistero, sembrava che dicesse, in quello che succede. Solo un ciclo continuo di vite che arrancano in un palcoscenico fatto di campi da coltivare e animali da custodire.
Martino non credeva in Dio perché, diceva, ogni Dio è sempre nato dal pensiero degli uomini. E il suo volto è sempre stato quello del mondo in cui sono nati. Niente di infinito, insomma. Diceva di credere nella morte, però, perché l'aveva vista accadere negli altri, e di credere nella vita, perché, anche se era stato obbligato a riceverla, era l’unica cosa che non lo lasciasse mai. C'era ben poco di suo in quello in cui credeva, e questo provava a dirlo nelle storie che scriveva. Cercando, forse, una via d'uscita, dicevano gli altri.
Nonna Memma credeva in quello che gli avevano insegnato a credere. Nessun dubbio, diceva Martino, nessuna falsa speranza. Tutto aveva un senso, un ordine preciso da cui non si poteva uscire. La sua fede era fatta di parole tanto incomprensibili quanto indiscutibili e vere.
Ogni cosa aveva subito un naturale mutamento, dicevano tutti. Il passaggio dalla campagna alla città aveva cambiato le cose. Il progresso aveva mutato il significato della vita e della morte, rendendole entrambe più complicate. Per non parlare della conoscenza, figlia tanto dell'istruzione che di un nuovo paesaggio. Esistevano ancora punti in comune tra il mondo di Martino e quello di sua nonna?
Poco prima di morire, nonna Memma disse a Martino qualcosa di nuovo. In una piccola stanza d'ospedale, tra tubi e odori di corpi malati, avvenne un contatto impensabile. La donna, che non pareva avesse coscienza della sua morte imminente - né alcuno si era preso l'onere di spiegarle come stavano le cose - parlò a Martino in modo inaspettato. Gli disse di avere paura, perché non sapeva come sarebbe stato dopo. Aveva anche il terrore che dopo non ci fosse niente. Possibile, si chiedeva con una voce appena tratteggiata, che i grandi scienziati di oggi, che hanno scoperto tutto, che sono andati sulla Luna, che hanno inventato il telefono e la televisione, che hanno costruito i grattacieli, che hanno creato pure quella diavoleria che sono i computer, possibile, diceva con una voce quasi trasparente, che non sono ancora riusciti a capire che cosa succede dopo che si muore?
Il contatto era stato stabilito. Neppure nonna Memma, con le sue certezze innate, aveva dimostrato di possedere tutte le certezze. Nel momento di lasciare la vita era stata insidiata dalla paura del nulla. Il dubbio l’aveva presa per mano e condotta dentro la sua umanità. Senza accessori, né cultura, né parole rassicuranti. Fu un barlume di verità, una rievocazione del dubbio come elemento costitutivo dell’essere umano. E lo aveva detto. Perché non serve a niente nascondere la paura di morire quando la vita se ne sta andando.
Martino, che da sempre mescolava dubbi e verità tra le pagine dei suoi racconti, sentì tutta la forza di quel contatto. Capì di essere suo malgrado parte del mondo lontanissimo da cui proveniva perché da esso aveva ricevuto il seme delle sue idee. Proprio come avviene in ogni successione da una generazione a un'altra, laddove, pure se tutto sembra cambiare, c’è sempre un discreto passaggio di consegne esistenziali che, a dispetto del tempo e dello spazio, dimostra l’unica verità dell'esistenza umana.

Quelle furono le ultime parole di nonna Memma, il suo testamento.
Martino le volle tenere per sé, per accudirle, come faceva con le sue storie, nel migliore dei modi. Scrivendole.

 
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Della vita argomentiamo tutti, al pari della morte, seppure non se ne abbia una conoscenza diretta, in analogia a quanto - nella chiave paradossale, benché assai realistica, sua tipica - dichiarava lo scrittore statunitense Charles Bukowski: «Parlare di morte è come parlare di denaro. Noi non sappiamo né il prezzo né il valore». Marco Maresca, in questo racconto, ha voluto elaborare, in un salto generazionale doppio (nonna e nipote) una simile dimensione esistenziale, nell’ampia prospettiva. in essa implicita, di porsi dinanzi alla realtà e valutarla. Pertanto, la scelta lessicale del testo appare confacente ad un taglio immediato il più possibile remoto dall’evenienza, in continuo agguato, di disperdere l’unità di vocaboli e contenuto in veicoli arbitrari e vaghi.
Nonna Memma, coprotagonista della storia, in consonanza a gran parte dell’umanità dalle origini a oggi, basa la visione del mondo sull’esperienza ricavata: in termini comuni, «crede in ciò che vede». Anche il giovane Martino, sotto lo sguardo trasparente di un autoritario teschio collocato in casa, nello studio, ha fiducia solo negli eventi soggetti a essere osservati nel loro accadere fenomenico. Di conseguenza, ad esempio, non crede in Dio, ma tale assenza di fede non disturba il resto dell’insieme; mentre “scrive” (suggerisce, quasi da alter-ego, Maresca), vorrebbe comunque risollevarsi, in qualche modo, dal non incrementare il frutto delle attività registrate: arricchendolo -  nei segni e segnali selezionati nel trasmetterlo - del celebre «di più» rispetto al codice letterale-materiale richiesto alle opere di metalinguaggio.
Chiediamo veramente questo, quando consultiamo messaggi di elaborazione della realtà? Non credo. Sono invece convinta che in ogni trama-intreccio, dove si alternano giusto-erroneo, oppure immanente-trascendente, emerga lo spazio della paura di non sapere quale indicazione assecondare nelle coppie oppositive di significato. L’autore è consapevole di come, nella logica modale, a guida delle riflessioni umane da lui privilegiate nella struttura espressiva - non a svantaggio, però, delle emozioni - accanto al consenso e alla negazione di una serie di cose, esista inoltre il dubbio, vale a dire a lato del “sì” e del “no” è collocato sempre un “forse”.
Per nonna Memma e per Martino, in conclusione, magari sarà plausibile sperimentare l’enunciato del celebre narratore russo (e abile giocatore di scacchi) Vladimir Nabokov: «La vita è una grande sorpresa. Non vedo perché la morte non potrebbe esserne una anche più grande».
Non so voi, chissà Maresca, ma io ho sospetti fondati che tutto ciò possa risultare vero. (c.b.)







2 commenti:

  1. Nonna Memma, giunta alla fine dei suoi giorni, ha sperimentato la tragicità umana del salto..Quel salto verso l'ignoto..Che ci porta a dirci: perchè ho vissuto? Per chi? Ebbene, trascorrendo oggi un uggioso pomeriggio di pioggia con accanto il mio cane..La risposta che mi viene spontanea è: per..l'amore..Chi ci ha amato..Lo ha compreso..Chi non, lo comprendera' forse...Una unica domanda: se dietro a tutto c' è il Grande Nulla, chi da' il moto alle stelle, ed ai pianeti? Chi dice ad un seme di crescere, e svilupparsi in Primavera? Se uno scienziato dirà che è il Caos, o Caso..Ma che grande..Questo Caso....Preferisco chiamarlo Motore Immobile....

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  2. Sì, è vero. Questo grande Caos, o Caso, cara Valentina, anche io tendo, se non a renderlo antropomorfico, almeno a dotarlo di una continuità rassicurante e infinita: a differenza della vita che va e che viene...

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