giovedì 3 maggio 2018


Luisa SANFILIPPO – “Mondo frammentato” (racconto breve)
 
 
opera di Vincenzo Sanfilippo
 
                                             

Andrea si sentì d’un tratto persona inconsistente, opaca, vuota.
Non era realtà ciò che stava vivendo. Evidentemente era ancora sballottato in una situazione onirica, non si era alzato dal letto e doveva aspettare paziente, senza agitarsi, il risveglio mattutino.
Dopo alcuni istanti si rese conto che la sua mente non era annebbiata dal sonno; era andato anche in  bagno, poi si era spostato in cucina, fatto colazione e gustato un buon caffè. Con espressione stralunata più che stupita osservò ancora il tavolo.
Vi erano sparse molte penne, buste per lettere, tanto cartaceo che anelava da  tempo di essere riempito di scrittura a mano.
C’era tutto questo, tranne il computer e il tablet. Spariti. 
Si sentì denudato. Come avrebbe potuto farne a meno?  

Non avendo un’eccessiva cerchia di amici da frequentare, Andrea si accontentava di quelle centinaia di individui virtuali con i quali chattare o twittare. C’era in lui un sottile piacere nell’evidenziare costantemente su Facebook la sua immagine con foto inviate parecchie volte al giorno, scattate nel proprio ambiente domestico, o in luoghi caratteristici, invidiabili. Tali esigenze o abitudini quotidiane sono comprensibili se applicate con moderazione, equilibrio. Andrea, invece, immerso nella pratica dei social network, si aggrappava in modo eccessivo a situazioni illusorie, effimere, non trovando altro modo - forse per una sua particolare indole caratteriale - di  confrontarsi e relazionarsi con gli altri.
E quella mattina, guardando il tavolo stracolmo di tutt’altre cose a lui estranee e lontane, con voce strozzata riuscì appena a pronunciare: “Dov’è andato a finire il mio computer? Non vedo nemmeno il mio tablet! Sono entrati i ladri? Non credo. Qui è tutto ordinato, anche  la stanza è ordinata. Sono perduto!”. 

Poi Andrea pensò allo smartphone, quindi poteva ancora comunicare con qualcuno. L’aveva poggiato sul comodino nella camera da letto, doveva essere lì, naturalmente.
E invece non c’era. Sparito.
Ciondolante e percorso da forti contrazioni muscolari, si ricordò poi che da qualche parte, ben riposto, vi doveva essere il vecchio telefono di casa abbandonato da tempo. Quindi, animato da questa possibilità, riuscì a spostarsi appena verso il punto dove era sistemato il telefono. Non lo raggiunse. Si fermò esitante.
La memoria era da troppo tempo smorzata dalla pratica di attivare numeri solo inseriti sul cellulare. Quindi non poteva farne uso. Ma il pensiero della vecchia agenda telefonica lo aiutò a svincolarsi dal fastidioso dissesto emotivo, e subito dopo se la ritrovò in uno dei cassetti dove era solito conservare oggetti in disuso, o che di tanto in tanto gli potessero servire. Adesso l’agenda era diventata inconsapevolmente necessaria, preziosa. Raggiunto il telefono, si apprestò a comporre il numero dei genitori. Ma Il telefono risultava disattivato. Dovette poi convenire che ciò era normale, non avendolo più preso, da tempo, in considerazione. 
Si chiese: “Cosa fare?  Come reagire?”.  

Non trovò alcuna soluzione se non quella di uscire di casa e provare a cercare persone con cui dialogare dal vivo. Contatti umani veri e non fittizi.
Ritrovatosi sulla strada sottostante si avviò con passo sicuro, testa dritta, sguardo orizzontale, in direzione del negozio dove era solito rifornirsi di tutto ciò che riguardasse la moderna tecnologia. Poco dopo, non vedendo esposto nella vetrina nulla che potesse ricollegarlo al presente, alle ultime innovazioni, si sentì percorso da inevitabili tremori, ma cercò di mantenere, prima di entrare, un adeguato contegno, chiedendo con la  lingua impastata valide chiarificazioni. Ma il negoziante non seppe dare risposta alle sue impellenti richieste. Gli diede informazioni per ciò che riguardava televisori, radio,  registratori, macchine fotografiche…
 
“In che epoca sto vivendo?”, si chiese sbigottito, appena uscito su strada.
“Non c’è niente che possa ricollegarmi al mio presente. Io ho bisogno di parlare con qualcuno, devo trovare un amico con cui confidarmi, esprimere la mia totale confusione, metterlo al corrente di tutto, aiutarmi a superare questo mio, spero, momentaneo scompiglio mentale”. 

Andrea si ricordò allora che dalle parti di casa sua abitavano alcuni amici con i quali era solito chattare. Tra questi vi era Stefano, che reputò il più disponibile e confidenziale. L’amico gli confessò che anche lui avrebbe dovuto chiamarlo per incontrarsi, trascorrere magari qualche serata insieme ad altri amici; ma anche per  discutere, esprimere ognuno le proprie opinioni… parlare soprattutto della precarietà del loro futuro, delle effettive difficoltà - essendo giovani - di introduzione al lavoro.
Da quando si erano conosciuti c’era stata poca frequentazione tra loro; avevano quasi sempre comunicato attraverso i social. “Come mai Stefano non ne ha accennato?”, pensò Andrea dopo un po’ che l’amico l’aveva accolto con molta affettuosità. Osservando però che nella sua abitazione non vi era niente con cui poter comunicare, tranne il telefono di casa, timidamente e per non  metterlo in imbarazzo lo rese partecipe di ogni cosa. 

“Che dici? Internet..? Email, Facebook…Twitter, chattare? Veramente? Esiste tutto questo? Dimmi tutto, informami, io non sapevo…”. 

Andrea glielo comunicò, e Stefano, non senza fatica a trattenere lo stupore, rilevò che la fantastica visione di materiali innovativi faceva parte di un bel sogno premonitore, e che quindi la nuova, sospirata tecnologia sarebbe venuta alla luce, un giorno quanto prima possibile. Qualcosa d’inatteso, rivoluzionario, sarebbe accaduto.
Doveva aspettare nuovi eventi. Solo aspettare…

Fu a questo punto che Andrea si svegliò. Questa volta veramente.  

 

 
La prima particolarità del messaggio costruito da Luisa Sanfilippo nel racconto Mondo frammentato - attraverso le orme di un sogno illustrato, così come lo ha vissuto il protagonista - appare quasi fosse, nel plot elaborato, una volontaria conferma letteraria, poetica, della chiave interpretativa dei sogni inaugurata da Sigmund Freud: nel senso che il padre della psicoanalisi, all’alba del Novecento, adottò la scelta di decodificare l’aura onirica per tentare di chiarire l’ambito dell’Inconscio, con l’obiettivo di identificarne i condizionamenti e la presenza di segni e segnali nella dimensione concreta, gestiti dalla sfera conscia. L’insigne medico viennese, avanzando lungo tappe progressive dei contesti sognati dai pazienti, intendeva aiutarli a comprendere i problemi (ossessioni, nevrosi, paranoie) dei rispettivi atteggiamenti ad “occhi aperti”, favorito dalla scoperta delle radici motivazionali alla loro fonte.
Nel corso dell’itinerario, nel microcosmo condiviso durante il sonno dall’Io narrante, in Mondo frammentato procede una realtà - sia pure avveniristica nell’immaginario - in grado di esplicitare la tangibilità delle cose smentendone l’ascendente falsificatore, da decenni nemico della naturalità autentica dell’interscambio umano. Andrea, di conseguenza, agli inizi in uno stato di veglia illusorio o di metasogno, pensa di alzarsi e – dopo il breakfast e un buon caffè – nella cucina dell’appartamento osserva il tavolo: «Vi erano sparse molte penne, buste per lettere, tanto cartaceo che anelava da tempo di essere riempito di scrittura a mano. C’era tutto questo, tranne il computer e il tablet. Spariti. Si sentì denudato. Come avrebbe potuto farne a meno?». In breve avverte anche la mancanza dello smartphone: allora sopraggiungono imbarazzo e timore in un inquietante e completo smarrimento.
Lo studioso francese Yves Delage, citato nelle opere freudiane, precisa: «Insomma, il sogno è un prodotto del pensiero vagante senza meta e senza direzione, che si fissa successivamente sui ricordi che hanno mantenuto sufficiente intensità per porsi sul suo cammino e fermarlo quando passa, stabilendo tra di essi un legame ora debole e incerto, ora più forte e stretto, a seconda che l’attività del cervello, in quel momento, è più o meno abolita dal sonno». Ma le tracce della mémoire del nostro disorientato personaggio risultano, chissà quando, cancellate, perché è proposto un quid in fieri relativo al già sperimentato, al superato. Quindi, la struttura semiotica organizzata dalla Sanfilippo anima con efficace vigore un souvenir inconscient (ricordo inconscio) il quale, svincolato dalla memoria fattiva, è in uno status regredito e concluso e, in altri termini, irreale, in analogia a quanto spesso si verifica se siamo accolti nell’abbraccio soporifero di Morfeo.  
Pertanto, il main character della storia, ormai fuori casa, chiede sbigottito: «In che epoca sto vivendo?” “Non c’è niente che possa ricollegarmi al mio presente. Io ho bisogno di parlare con qualcuno, devo trovare un amico con cui confidarmi, esprimere la mia totale confusione, metterlo al corrente di tutto, aiutarmi a superare questo mio, spero, momentaneo scompiglio mentale». Come rinvenire la gerarchia di significato dispersa? La via d’uscita è unica: scavalcare la necessità causata dalle realtà mass-mediali odierne e recuperare ogni rapporto diretto tra gli uomini a loro antecedente.
La fantasia, a parere di Sigmund Freud, non è un linguaggio concettuale: «Ciò che essa vuole esprimere lo deve rappresentare visualmente, e poiché in questo caso il concetto non interviene a indebolire, essa dipinge con tutta la pienezza la forza e la grandezza dell’espressione pittorica». Infatti, l’intelaiatura tecnico-ideativa dell’esperta scrittrice riesce, per magia e competenza semantica, a simboleggiare in misura perfetta (per mezzo di una trama-intreccio dinamica e cronologica del riflettere/agire) gli stadi di una presunta psicosi, la quale, invece di essere frutto occasionale di un’allucinazione (per l’esattezza, il sovrastare di un hic et nunc onirico), coincide con l’incombente disagio di constatare quanto sia ridotto a zero il conforto di una vicinanza umana e della sensibilità di comunicare con i propri simili.
Dunque, dopo aver “dialogato”, sognando, con l’amico Stefano, Andrea è consapevole che «qualcosa d’inatteso, rivoluzionario sarebbe accaduto. Doveva aspettare nuovi eventi. Solo aspettare…». Cosa? Di rammentare, appena svegliato («Questa volta veramente»), un passato benefico e terapeutico. Freud ha scritto: «L’uomo addormentato e l’uomo malato ricordano ciò che l’uomo desto e sano sembra aver dimenticato». E la vicenda della story ha luogo, senz’altro, in un percorso di guarigione, nell’ambito di una grave malattia della solitudine evocata nel crescente pathos dal racconto di Luisa Sanfilippo. (c.b.)

 

 

 

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