Trilogia
della città di K di Ágota Kristóf
(1988-1991)
L’ambientazione
è quella della guerra di Ungheria, dove due fratelli sono affidati
dalla madre alle cure niente affatto amorevoli della nonna contadina:
la donna dimostra la sua ostilità nei confronti dei nipoti
attraverso le punizioni più dure. Si percepisce sin da subito che la
natura dei bambini è complessa, strutturata in modo tale da
risultare sofferente. Ciò in parte deriva dall’ambiente
circostante, altre volte dalle prove alle quali decidono
autonomamente di sottoporsi: come il digiuno per imparare a resistere
alla fame. I protagonisti percepiscono il dolore come uno strumento
per imparare a sopravvivere. Ma è la disperazione assoluta il tema
portante del libro di Ágota Kristóf (1935-2011).
Una
narrazione complessa e sconcertante, quella articolata nella Trilogia
della città di K, nell’alternarsi
tra la perdita e la riconquista dell’innocenza. Così come si
alternano i protagonisti i gemelli, Claus e Lucas. Spesso col
procedere delle pagine si confondono tra loro e diventano un’unica
voce, una sola persona, un’entità solidale. Risulta impossibile
stabilire dove inizia e finisca la storia di uno rispetto all’altro;
come è difficile capire se quello che viene raccontato sia vero o
falso. L’autrice, ungherese naturalizzata svizzera, con uno stile
tagliente, con la sua prosa asciutta in lingua francese, racconta il
dolore e lo offre a piccole e grandi porzioni.
È
uno dei romanzi più tristi e più duri che siano mai stati scritti.
Perché qui non c’è spazio per la speranza o per l’amore, almeno
nell’animo dei gemelli; a tenerli legati è altro,
una sorta di sfida nata tra loro e che si ripete nei confronti
dell’esistenza. Nel susseguirsi di emozioni e vicende la Kristóf
non dà tregua al lettore. Il romanzo, per quanto crudele e distante
dalle nostre realtà, non può che risultare coinvolgente, nonostante
dipinga la vita come un’aberrazione. Perché i protagonisti sono
l’uno lo specchio dell’altro, nelle privazioni e nella mancanza
di pietà fraterna, nella terribile solitudine. Quest’ultima è la
rappresentazione più spietata della natura umana nell’universo
dell’autrice.
…La
vita è di un'inutilità totale, è non-senso, aberrazione,
sofferenza infinita, invenzione di un Non-Dio di una malvagità che
supera l'immaginazione…
In ordine
alla sua struttura, l’opera della Kristóf
può risultare simile a una fiaba, ma purtroppo il finale
è un monito, non certo una speranza, in quanto è la stessa autrice
a disilludere chiunque sia alla ricerca di un significato alla vita:
non ne esiste alcuno.
Trilogia
della città di K
Il
grande quaderno
(Le grand cahier, 1988)
La prova
(La preuve, 1989)
La terza
menzogna (Le Troisième Mensonge,1991)
Torino,
Einaudi, pp. 384
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