sabato 3 marzo 2018

"Percorsi musicali" di Matteo TONNICCHI - Dissonanze


Benvenuti al quarto appuntamento di questa rubrica musicale.

Il concetto di dissonanza è stato dibattuto e ridiscusso continuamente nel corso della storia della musica occidentale. Sarebbe quindi inopportuno darne una definizione rigorosa, in quanto essa andrebbe calata in un qualche contesto storico. In linea generale tuttavia si può dire che la dissonanza è un momento di un discorso musicale dove avviene una rottura delle convenzioni armoniche stabilite dallo stile musicale del pezzo. Tale rottura può essere improvvisa, e creare quindi una sorpresa, oppure più sottile, fluida, e creare una sensazione di qualcosa che si stia sfaldando gradualmente. Potrebbe, da questa veloce descrizione, sembrare che la dissonanza sia un qualcosa di negativo, da evitare. Essa invece, accortamente utilizzata, è in grado di creare momenti di tensione di grande potenza espressiva. Questo concetto è stato così tanto sviluppato all’inizio del XX secolo da aver dato il via alla musica cosidetta atonale, che si distingue proprio per lo sfuggire ad ogni convenzione. La prima caratteristica che salta all’orecchio ascoltando essa è proprio la mancanza di punti di riferimento armonici, come se tutto il brano fosse pensato per essere dissonante. In realtà i brani di questa corrente e delle successive, pur liberi dalla prevedibilità e dall’equilibrio armonico che contraddistingueva i brani della musica fino ai periodi precedenti, chiedono allo spettatore una particolare attenzione per altre caratteristiche musicali, più sofisticate e meno immediate. In questo percorso cercheremo di mettere assieme brani di tutte le epoche dove la dissonanza giochi un ruolo particolare.


Brano I


Iniziamo con un brano del periodo romantico. Il primo Scherzo Op. 20 di Frédéric Chopin. Il genere dello Scherzo, prima di lui, includeva in sé brani dal carattere estroso e gioviale, in qualche modo umoristico, come del resto la parola Scherzo suggerisce. Chopin stravolge il significato originario, componendo Scherzi dove dell’umorismo rimane un eco lontano, dato dal carattere eccitato e tensivo della musica, che tuttavia si esprime in note cupe, nervose, talvolta tragiche. In questo senso, lo Scherzo in Chopin si avvicina più al genere precursore di esso, ovvero la Toccata per strumento solista.
Questo particolare Scherzo, il primo composto dal compositore polacco, si apre proprio con una forte dissonanza. In alcune lettere Chopin scrisse che quando il suo umore era particolarmente depresso, si sfogava scagliando “fulmini sul pianoforte”. Se volessimo immaginare quale composizione in particolare possa essere stata ispirata da questi stati d’animo, potremmo facilmente pensare a questo Scherzo. L’accordo è marcato, non c’è preparazione alcuna, ed è subito seguito da un fiume di note che si susseguono tormentate. Quando questa prima parte si calma, come fosse uno squarcio luminoso nel buio di una memoria dolorosa, ecco che fa ingresso, dolcissimo, un tema da notturno: la melodia di questa cullante sezione è presa direttamente da un canto tradizionale natalizio polacco, Lulajże Jezuniu (tradotto: Dormi, mio piccolo Gesù). Quando questa sezione termina in una sospensione di note che vanno smorzandosi sempre più, ecco che battono con violenza gli stridenti accordi iniziali, a distruggere l’idillio: la frenetica prima sezione si ripete di nuovo, questa volta senza più tregua, raggiungendo un climax di fortissimi accordi ripetuti. Questo grido finale affonda negli accordi conclusivi, dello stesso colore dell’atmosfera iniziale: cupi, nervosi e tragici.


John Constable, Notte all'Abbazia di Netley, 1838


Brano II


Continuiamo con una serie di brevi brani composti dal musicista russo Sergei Prokofiev, messi insieme nella raccolta dal titolo “Visioni Fuggitive”. Al tempo della composizione di questi pezzi, la musica atonale si stava facendo strada tra mille polemiche e dibattimenti nelle accademie di tutto il mondo. Ci furono episodi durante i quali proporre musica in questo stile in eventi formali causò scalpore e aspre polemiche. Lo stesso Prokofiev, pochi anni prima della pubblicazione di questi pezzi, si ritrovò contro il pubblico durante la prima del suo secondo concerto per pianoforte: alcuni ascoltatori lasciarono la sala gridando che persino i gatti sul soffitto sarebbero stati in grado di produrre suoni più piacevoli di quella musica futurista.
Crediamo che anche un ascoltatore reazionario possa tuttavia apprezzare come le atmosfere sonore delle Visioni Fuggitive, proprio in quanto disorientanti dal punto di vista armonico, facciano emergere più vividamente la forza del ritmo e degli accenti. In questo modo l’ascoltatore, privato di appigli stabili, si ritrova indifeso mentre viene “attaccato” da crescendo, pulsazioni incalzanti e gruppi di note sapidamente marcati. In effetti, alcuni tra i primi critici di questa raccolta paragonarono i brani a cani da caccia che si avventano sul pubblico.



Pavel Filonov, Fioritura Universale, 1916


Brano III


Passiamo ora ad un brano più radicalmente dissonante: la Danza Sacrificale, dai Riti di Primavera di Igor Stravinsky.
Anche questo brano, eseguito per la prima volta come musica per un balletto, suscitò forti reazioni.
Al tempo, il teatro degli Champs Elysees era stato da poco costruito ed ospitava eventi musicali molto esclusivi. La sera della prima dei Riti di Primavera, esso era gremito; tutta l’alta società e gli accademici più colti erano presenti. All’apertura del sipario, le coreografie del ballerino sperimentalista Vaslav Nijinsky unite alla musica fortemente dissonante provocarono dapprima lo scoppio di una risata, che molto indignò Stravinsky; poi si crearono due fazioni contrapposte all’interno della sala: una conservatrice, che denigrava e fischiava lo spettacolo, l’altra modernista, che difendeva a spada tratta la rappresentazione. Tanto l’attrito tra le due, oggetti lanciati in scena e sull’orchestra, grida e clamore, che le luci vennero accese nel mezzo della rappresentazione e quaranta persone allontanate.
Quasi ironico pensare che i Riti di Primavera si siano presentati al mondo sotto reazioni tanto convulse e irrazionali, avendo come tema proprio il primitivo. L’opera era stata in un certo senso data in pasto, quasi in sacrificio, al pubblico benpensante; e allo stesso modo della protagonista, che danza fino alla morte nella scena finale qui proposta, la prima andò avanti infermabile fino alla scena finale. 



Vassily Kandinski, Composizione VII, 1913


Brano IV


Torniamo indietro nel tempo, in un’epoca dove la musica era reputata “buona” se in grado di seguire i canoni di olimpica seraficità dati da progressioni armoniche prestabilite, condotta delle parti equilibrata da un sapiente contrappunto, e colore negli spunti melodici. Tutti ambiti nei quali Wolfgang Amadeus Mozart era grande maestro. Il genio di questo compositore tuttavia, stava anche nella conoscenza così profonda delle regole, da saper trovare i modi più eleganti per contravvenirvi. Potremmo citare moltissimi esempi, da semplici variazioni nel ritmo finalizzati a dare l’idea di uno stato d’animo particolare di un personaggio in un’opera lirica, fino a più esplicitamente goliardiche parodie, come nei goffi corni e il volutamente disastroso accordo finale del brano "Ein musikalischer Spaß".
Qui proponiamo un quartetto dove il materiale melodico è presentato immerso in spiazzanti amalgame dissonanti, le quali sembrano non riuscire a risolversi ma anzi progredire disorientate verso dissonanze ancora più forti. Improvvisamente, questa introduzione di grande tensione si interrompe, e il materiale musicale che sembrava non trovare la propria strada finalmente imbocca la direzione calma e sicura dell’armonia classica. La particolare (per il tempo) introduzione ha battezzato l’intero quartetto “La Dissonanza”. 



Joseph Wright, Penelope disfa la sua tela, 1784




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