giovedì 4 gennaio 2018

Carlo SIMONELLI – "La condanna" (racconto breve)


 
 


Con il racconto La condanna di Carlo Simonelli riprende sul blog la rubrica di narrativa breve già tenuta fino allo scorso ottobre su “Scenario”. Buona lettura a tutti.

 
Gli altri allungano il passo e io rimango un po’ indietro affannata. Per fortuna non porto striscioni, solo la voglia di giustizia e la mia voce. Di tanto in tanto Michele si volta verso di me e i nostri sguardi s’incrociano per un momento, come è già successo tante volte, prima di continuare il cammino. Daniela gli sta a fianco, senza mollarlo d’un metro. Adesso mi sono dovuta fermare, un momento solo, per rifiatare. Un respiro profondo e poi un altro. L’acidità mi sale in bocca, col suo amaro retrogusto, come da qualche tempo mi succede. Daniela è avanti a Michele, che la segue passo passo.
Dobbiamo fare ancora un centinaio di metri e poi girare l’angolo. Dall’altro lato della strada arriva gente che cammina a gruppetti, vivaci e lesti si muovono insieme, muovendosi tutti nella stessa direzione. Di fronte alla grande cancellata si trovano i soldati, con armi in pugno, in tenuta antisommossa. Se ne stanno a guardare immobili.
Chi sopraggiunge spinge quelli più dietro verso avanti e ci si ammassa l’uno sull’altro. Michele comincia a srotolare gli striscioni appena arrivo io ansimando.
«Come va?» – chiede e senza aspettare la risposta – «Prendi, lo dobbiamo tenere in questa direzione» – dice porgendomi un lembo di tela.
All’ambasciata sono abituati a queste manifestazioni che di tanto in tanto, prima di un’esecuzione capitale, vengono inscenate.
Uno Stato barbaro, quello che parla di democrazia e poi uccide i propri figli. Si riempie la bocca di Libertà e Diritti dell’individuo, ma poi condanna alla pena di morte, sempre le stesse persone. Poveracci che non si possono difendere, che non si possono permettere un vero avvocato: gliene assegnano uno d’ufficio e se l’imputato è assolto o condannato è pagato lo stesso. Il processo, sì, quello c’è ma molto spesso l’esito è scontato.
Un ragazzo di poco più di vent’anni sarà giustiziato. Davanti ai parenti della sua presunta vittima. Lo osserveranno contorcersi di dolore, con l’occhio impaurito del bue che va al macello, e se ne compiaceranno, gustando la perfida e fredda vendetta per le sue colpe. Ha fatto del male e deve pagare. Pagare ed essere ripagato con la morte. Morte per morte. Perché chi uccide merita d’essere ucciso. Una legge assurda, quella capitale.
Ancora ventiquattro ore e l’esecuzione sarà eseguita. Noi facciamo quel che possiamo; ognuno nel suo piccolo; ognuno a dare il suo contributo a un mondo migliore e più giusto nel quale non possiamo non credere. Quando si crede a un’idea bisogna mettersi in gioco, senza contraddizioni.
L’acidità e i capogiri sono comparsi da un po’ di tempo. E mi sento sempre debole e appesantita.
«Tieni qua!» – mi ordina Daniela con quel tono che m’infastidisce ogni qualvolta apre bocca; da un po’ di tempo mi è diventata insopportabile. Ma ormai di lei m’infastidisce tutto. E la odio. E Michele pure. È stato gentile con me, e molto vicino, sì. Ma questo prima che sapesse del mio disagio. Eravamo amici già molto prima che io gli presentassi Daniela. Al cuore non si comanda ma agli uomini sì. Adesso lo guardo con disprezzo, ancor di più poi quando lo vedo piegarsi alle parole di quella carampana.
«Tu! Prendi qui, svelto!» - gli ordina la megera. La guardo torva, mentre sento il respiro che mi manca e qualcosa che si rompe dentro. So che è stata colpa sua. Lo so.
Un ragazzo di poco più di vent’anni morirà. Avrebbe avuto una vita d’avanti e una famiglia lo piangerà. Non ha vissuto che vent’anni e forse non ha mai conosciuto l’amore, non ha avuto figli e non ne avrà e nemmeno dalla vita avrà niente. Ingiusto.
Cominciamo a gridare slogan. «Diritto a un processo! Diritto a un processo giusto! No alla pena di morte! No alla pena di morte! Assassini! Assassini!».
I soldati ci guardano e non sembrano impensieriti. Noi continuiamo la nostra pacifica e decisa manifestazione di dissenso contro una cosa tanto barbara.
In quella posizione, con le braccia tese a tenere lo striscione, sono scomoda. Una fitta improvvisa mi colpisce la schiena. Anche questa l’ho già avuta. Non è una cosa nuova, mi devo decidere ad andare dal medico. Ci andrò domani – penso. Adesso dobbiamo cercare di fermare la barbarie lontana.
Domani andrò dal medico e gli chiederò di abortire.
È una delle conquiste delle donne, l’aborto. Qualcosa che insieme al divorzio rende libere.
È successo proprio a me. Senza che me lo aspettassi. Pensavo che bastasse essere informate perché certe cose non capitassero; ché queste cose succedono solo agli ignoranti. Io sono laureata. Ci hanno insegnato a fare contraccezione ma in quei momenti pensi che a te non possa succedere perché tu non sei ignorante. Basta sapere una cosa per poterla prevenire. Ma non è stato così.
Il medico, dopo qualche domanda e le giuste risposte, mi toglierà quell’imbarazzo, che ormai non sopporto più, come la pantomima di Daniela e Michele davanti ai miei occhi.
Mi faccio forza, non mi posso arrendere per così poco. Alzo le braccia e ricomincio a gridare il mio disappunto contro l’ambasciata assassina. Non posso permettermi d’essere stanca, come potrei perdonarmi di non aver fatto nulla per salvare una vita? Come potrei perdonarmi che un ragazzo di poco più di vent’anni dovrà morire senza essere forse nemmeno colpevole, con un processo che è stato una farsa? Ognuno deve dare il suo piccolo contributo per il mondo che desidera e che crede giusto e risponde alla propria coscienza.
Domani, sarà compiuto un assassinio. Una vita innocente sarà condannata a morte, ma la mia coscienza è a posto. Sono sicura d’aver fatto tutto quel che ho potuto per salvarla.

3 commenti:

  1. La condanna coinvolge emotivamente, credo che certi valori (il valore della vita soprattutto) vadano difesi fino a farsi male...comunque, l'importante è avere la coscienza tranquila per aver dato tutto se stessi per evitare, in questo caso, una condanna inopportuna.

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  2. La vita contro la morte! Scritta molto bene ma apre un grande problema: possiamo batterci per la vita sacrificando un’altra vita?

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  3. Trovo molto bello che stiate a riflettere su argomenti che vi hanno toccato, come è successo a me. Il fatto, forse, non è tanto sacrificare una vita per un'altra, ma la consapevolezza di cosa sia la vita stessa, di come possiamo cercare di essere le migliori persone del mondo senza capire cosa significhi veramente la vita e il diritto alla vita.

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