sabato 27 gennaio 2018

"Percorsi musicali" di Matteo TONNICCHI - Armonie a tinte fosche


Benvenuti al secondo appuntamento di questa rubrica musicale.

Dopo la serena apertura data dal percorso sui “Preludi”, si è deciso per un contrasto deciso: in questo percorso sono stati messi insieme brani che si assomigliano per la scelta compositiva di aprire con cellule tematiche drammatiche e cupe, le quali immediatamentesi si sviluppano in brani dal carattere ombroso.


Brano I


Iniziamo con la Fantasia K475 di Wolfgang Amadeus Mozart.
Questo brano esprime un lato di Mozart piuttosto distante dal carattere giocoso di altre sue composizioni più tipiche: composto nel 1785, una data molto ravvicinata alle grandi rivoluzioni europee, contiene anticipazioni di inquietudini che verranno affermate definitivamente solo quarant'anni dopo, ovvero con l’energia delle composizioni di Ludwig van Beethoven in apertura al Romanticismo musicale.
Il brano si chiama Fantasia perchè non segue una struttura predefinita, come accade ad esempio per forme più rigide come la forma Sonata. I temi si susseguono con inaspettati cambi armonici e di carattere, passando con disinvoltura da atmosfere languidamente tragiche alla dolce nostalgia. È il genio di Mozart a una naturale unità e fluidità al tutto: le idee musicali si inseguono come libere associazioni, come ricordi di una stessa scena vissuta sotto punti di vista diversi e contrastanti. L’apertura, che sembra emergere spontaneamente dalle note basse della tastiera è come un germe nella storia della musica, che sboccerà più volte nelle diverse ere della musica, come ad esempio, decadi dopo, nella Ballata Op. 23 di Frédéric Chopin.


Jean-Honoré Fragonard, La Fontana dell'Amore, 1785


Brano II


Passiamo al primo tempo della Sonata Op.57 di Ludwig van Beethoven, col titolo apocrifo di "Appassionata".
Che Beethoven fosse fortemente influenzato da Mozart non è solo evidente dalle sue composizioni giovanili, dove ci sono interi passaggi presi a prestito dal suo predecessore, ma anche da composizioni più tarde come queste. Appare evidente, accostando questo pezzo e il precedente, come Beethoven avesse assorbito completamente il gusto per il contrasto tematico di Mozart infondendogli però la sua firma: una drammaticità per quell'inizio di ottocento inedita, travolgente.
Questa sonata prende un tema del folklore inglese e lo trasforma prima in un inciso grave, poi in passaggi più sognanti; ma senza mai languire, mantenendo sempre quella pungente icasticità tipica di Beethoven. E' questa forte personalità che dà unità a tutto il pezzo.



Joseph Mallord William Turner, Il Naufragio, 1805


Brano III


Concludiamo la parte pianistica addentrandoci in un pagine ancora più impegnative: quelle della Sonata in Si minore di Franz Ferenc Liszt.
Questa è una delle ultime grandi opere di Liszt: oltre a fare sfoggio di soluzioni tecniche magistrali dal punto di vista pianistico, è tanto innovativa quanto coraggiosa sul piano formale.
La forma Sonata, infatti, che tanta musica aveva plasmato dal Barocco al tardo Classicismo, se dal seicento al settecento era stata considerata la forma compositiva più equilibrata, a metà dell'ottocento ormai era reputata decisamente superata e troppo severa. Alterarne l’equilibrio formale, senza disfare il lavoro di decadi di consolidamento delle rigide convenzioni che la contraddistinguevano, significava rischiare troppo facilmente di comporre qualcosa che non fosse affatto una Sonata.
Liszt, con la temerarietà che contraddistingueva gran parte delle sue opere, sembra raccogliere la sfida rilanciando temerariamente la posta: non solo sceglie un tema di forte carattere, marcatamente tetro, nel quale alcuni primi uditori videro la rappresentazione della risata del diavolo; ma anche manipola le convenzioni della forma Sonata in maniera così spinta da tenersi sempre al limite tra la forma classica e qualcosa di irriconoscibile.
La Sonata classica si basava sul dialogo tra due sezioni tematiche; Liszt usa un solo tema che dialoga con sè stesso nelle molteplici forme che il compositore riesce a fargli assumere: tetro accento alcune battute prima, dolce notturno alcune battute dopo. La Sonata classica era di solito divisa in tre o quattro movimenti nettamente separati; Liszt usa un solo tempo dove si distinguono diversi movimenti, ma non c’è soluzione di continuità, le sezioni sono sfumate le une nelle altre. Il punto culminante della Sonata classica era la modulazione tra le sezioni tematiche, dove esse si mescolavano alterando il contesto armonico; Liszt, che come abbiamo detto usa un unico tema che muta pelle continuamente e lotta con sè stesso, fa culminare questo auto-conflitto in una implosione fatta di maestosi accordi fortemente tensivi, nei quali i contemporanei del compositore videro la rappresentazione dell’aprirsi delle porte dell’Inferno.
Insomma, senza lasciarsi andare troppo a suggestioni romanticiste, è questo il modo in cui Liszt cerca di superare la struttura classica della forma sonata: in pratica rappresentando l’atto di distruggerla, senza nascondere, anzi celebrando quanto tale atto fosse diabolico. Tuttavia, il brano non si può non definire una Sonata: il concetto quintessenziale della trasformazione tematica e del contrasto non viene mai perso di vista.
L'opera naturalmente destò feroci critiche. Alcuni la consideravano inascoltabile; altri troppo intricata per essere godibile. Pettegolezzi dell'epoca vogliono che lo stesso Brahms, al primo ascolto, si perse a tal punto nelle complessità dell’evolversi del tema da addormentarsi!
Il parere della critica successiva si è tuttavia ormai consolidato nel considerare questa opera l'estremo sviluppo delle tematiche Beethoveniane, reinterpretate con il carattere tutto personale di Liszt: l'ardimento tecnico, espressivo e strutturale del brano sono decisamente distintivi del personaggio Liszt, oltre che del compositore.
Per mantenere un’atmosfera di controversia, proponiamo l'interpretazione di Pogorelich, che è molto più colorita e libera di altre più ortodosse, ma proprio per questo ci sembra particolarmente adatta al brano.




John Martin, Il Giudizio Finale, 1853


Brano IV


Come pezzo non pianistico, torniamo a Mozart.
In particolare, un Mozart appena diciassettenne che, prendendo stralci di Joseph Haydn e combinandoli con le più avveniristiche (per il tempo) tecniche orchestrali della scuola di Mannheim, sembra avere un momento visionario, quasi mistico, una finestra divinatoria su musica che verrà pensata solo cento anni più tardi. Nella Sinfonia K183, infatti, il tema iniziale è così marcatamente Sturm und Drang che solo la gabbia di precisione ed equilibrio formale, ineludibile per i canoni estetici del settecento, riesce a discostare dai brani del futuro Romanticismo.



Jaques-Louis David, La Morte di Seneca, 1773

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