venerdì 19 gennaio 2018



Luisa SANFILIPPO - S-Memorie (racconto breve)




(disegno di Vincenzo Sanfilippo)



Avverto una leggera velatura mentale.
Eppure stamane mi sono alzata piena di aspettative, mi sono aggirata da un capo all’altro della camera da letto, ben truccata, vestita elegantemente, concitata, trepidante. 
Ora mi accorgo che i miei passi sono più trattenuti, alternati con qualche breve percorso. 
Cerco ancora di muovermi oltrepassando la camera, ma lo spazio che mi delimita è ancora ristretto.
Mi sono preparata per uscire, è evidente.
Uscire? Per andare dove? Per fare cosa? Allora resto a casa per ultimare… non so… dovrei organizzarmi… però ancora devo ancora dare da mangiare al gatto. Non lo vedo e non lo sento… Mocki, Mocki dove sei, un segnale, un miagolio, Mocki…Tomboletto…
Ma cosa chiamo a fare. È sordo. E poi a quest’ora dorme.

Allora per consolarmi incrocio le mani e lo sguardo, il pensiero si trasforma, diventa intenso, amorevole come se avessi in grembo il gatto.
Che sia sordo poco importa. Il mio micio mi si acciambella addosso, impasta, mi fa le fusa. Per me è come un figlio, un esserino con la testa di gatto, che mi guarda con occhietti di gatto, e i suoi miagolii suonano come parole balbettate.

Ho cercato di emanare poeticità ai miei pensieri, renderli meno statici. Tutto ciò è interessante.
Ma io… che progetti ho, cosa avevo deciso di fare? Forse… uscire…
Questo disorientamento mi provoca disagio.
Devo, dunque, sprofondare - ad ogni s-memoria - in un mare di inerzia, lasciare svaporare il cervello, nascondermi dietro un muro di nebbia e non veder nulla oltre questa barriera? L’intelletto potrà rimettersi in moto, riaccendersi di una luce abbagliante? Abbagliante… mah!
Solo un tentativo di costruire frasi meno banali.

Barcollante, per via dei tacchi alti, mi tolgo la giacca e mi avvio verso una mèta più idonea e comoda.
Non c’è ancora chiarezza nella mia mente.
Dovrei uscire di casa, ma non so bene ancora per quale motivo. Un appuntamento di lavoro? Non so…

Un appuntamento galante? Magari. Forse qualcuno l’avrei. Potrebbe essere con un collega di lavoro. Ma se non ricordo quale lavoro, come faccio a ricordarmi di lui.
Non so cosa mi succede. Ogni tanto mi si spegne dentro qualcosa. Bel pensiero. Ma non basta solo comporre belle frasi. Bisogna anche agire.
Mi ero preparata così bene, messo persino le scarpe col tacco che non so come farò a reggere per lungo tempo.
Se riuscissi a ricordare anche una sola motivazione per uscire di casa, comincerei intanto ad allontanarmi da questa mia fase caratteriale più buia, apatica, anche più idiota. Idiota? Mi sembra un termine appropriato.
Molto critica verso me stessa. Allora significa che pian piano mi sto spostando verso quella parte di me volitiva, intraprendente, e non immersa… in una innocente inconsapevolezza.

Sto facendo dei progressi. Innocente inconsapevolezza.
Quando ci si ritrova in una particolare condizione psicologica, forse ci si sente più fragili, magari ingenui, probabilmente innocenti… non si è coscienti delle proprie effettive potenzialità, siano esse umane, artistiche o di altro genere. Basterebbe avere più consapevolezza di sé, autostima, quel poco di luce nell’intelletto che possa consentire di fare anche piccole cose. Sì, anche le minime cose se fatte con entusiasmo potranno apparire grandi ai nostri occhi!

A questo punto, infervorata e incoraggiata da pensieri più disinvolti, con prontezza mi alzo e comincio ad eseguire saltelli di entusiasmo, già proiettata verso la porta d’ingresso. Mi rimetto la giacca, prendo la borsetta, rovisto dentro per capire se manca qualcosa - un gesto automatico, la paura di dimenticare - e poi il telefonino, le chiavi di casa, della macchina…
Posso uscire finalmente! Ho degli impegni, sono una donna impegnata… ah, un pensiero che mi assilla.
Sono veramente una donna impegnata?

Mi affiora un ricordo.
Subito arretro di qualche passo dall’uscita e mi dirigo verso un modellino di casa, finora da me inosservato, posto in evidenza su un mobiletto.

Già, lavoro in un’Agenzia Immobiliare che offre case anche arredate. L’Agenzia… ecco dove ho conosciuto il mio collega di lavoro. Con lui condivido interessi, ambizioni, fobie, ansie, patemi, paturnie. Allora cos’è che ci diversifica? A questo dilemma penserò dopo.

E intanto mentre parlo muovo il mio corpo con piccoli spostamenti, tentativi intenzionali di agire, di capovolgere la situazione iniziale.

È necessario arrivare puntuale all’appuntamento, sono pronta, posso farcela, sono ancora in tempo… devo convincere una persona a comprare casa. Di solito ci riesco.
Saprò ascoltare con attenzione le sue esigenze, saprò sollecitare il suo interesse, gli parlerò di agevolazioni, di… mediazione creditizia, devo essere professionale.
Uscire! Sono molti i passi da compiere, basta organizzarsi, basterebbe…

Un brivido… poi una calma impotenza.

No, no… non esco più, non arriverò in tempo, sono stanca, troppi impegni, troppe rotture di scatole. Dovrò solo telefonare a questa persona, disdire l’appuntamento, scusarmi, dirgli che ho avuto un contrattempo.

Improvvisamente sento qualcosa animarsi nella mente.
La memoria sta per rinnovarsi?

Con la sensazione di agire in uno spazio circolare, girando su me stessa e ampliando sempre più il movimento rotatorio, torno nel punto dov’ero seduta prima. 
E qui, con una risata sincopata e buttando all’aria giacca e scarpe, comincio ad esternare uno smanioso e buffo sfogo, secondo quelle che erano state le mie intuizioni.

Quale telefonate, che scuse, quali incontri!
Oggi non avevo nessun appuntamento.
Appuntamento? Figuriamoci!
L’Agenzia Immobiliare è in crisi, è un periodo di stasi economica, sempre appuntamenti e non si vende nulla, quasi nulla… anzi nulla! Si lavora pochissimo, rimangono solo gli appuntamenti che scrivo dappertutto… mi procurano ansia, non mi fanno dormire, con conseguente perdita di memoria, è pazzesco, è snervante tutto ciò, una continua attesa!

Un po’ più rabbonita dopo queste esternazioni, rivolgo anche a lui un pensiero misto di tenerezza e risentimento per non avermi informato sull’andamento del lavoro.

Poteva almeno telefonarmi… solo lui mi conosce così bene… sa che ho bisogno di essere continuamente tranquillizzata… solo lui, solo lui sa che soffro spesso di stati confusionali, solo lui conosce le mie fragilità, le mie turbe nervose, solo lui, solo lui…

Qualcosa accade. Impassibile per qualche attimo, riesco subito dopo ad alzarmi con la sensazione di sentirmi libera di spaziare in tutta la casa, fisicamente e mentalmente.

Sento che la memoria continua a rinnovarsi.

Perché ho elencato tutto ciò che riguarda lui? A che serve? Ormai non stiamo più insieme da diversi anni. È finita.

Sopraggiunge una sottile speranza.

Che faccio? Gli telefono? Non per parlare di lavoro, naturalmente. Con l’Agenzia non collaboro più da molto tempo. Mi impegnavo molto, era diventata un’attività stressante. Troppe illusioni, poche aspettative.
Allora, gli telefono? Mi piacerebbe… meglio rimandare… ma sì, è meglio rimandare, non si sa mai.

Continuo ad aggirarmi sicura per casa con l’intenzione di concedermi un momento di tregua. Nel caso decidessi di uscire, saprei scegliere i miei percorsi, le mie destinazioni.
E mentre vado ad assicurarmi della presenza del gatto - che ancora dorme, beato lui – considero:
sarà bene ogni tanto riporre nell’oblio ciò che non si vuol ricordare, magari a scopo difensivo, terapeutico… e affidare alla memoria solo qualche evento piacevole della vita, piuttosto che le sue precarietà?
È così? È giusto così? Credo… forse… certamente!
“S-memorare” è un’arte!






Nella società odierna, dove i ritmi della vita hanno perso la loro regolarità in favore di una corsa sempre più affannosa verso il progresso, ci si può ritrovare in momenti simili a quelli della protagonista di questo racconto: si interrompe all’improvviso la propria sferzante agenda (o quel che ci si ricorda di essa) col bisogno di analizzare la propria dimensione interiore. Ci si rifugia in un momento statico nel quale si mette da parte, sparpagliandolo in ricordi falsati, il mondo circostante.

 Questo bisogno di fermarsi, avere una pausa, contrasta ed è continuamente messo in discussione dall’impellenza di impegni, appuntamenti, desideri repressi, frustrazioni; e si può pensare di aver perso il senno, chiamare questa stasi uno stato confusionale, una fragilità, una turba nervosa, come se fosse una malattia. Leggendo il testo di Luisa Sanfilippo, tuttavia, si ha quasi l’impressione che siano invece il lavoro, le relazioni il ritmo della vita ad essere diventati confusi, fragili e turbati.

Quindi sia benvenuto questo apparentemente malsano e nevrotico desiderio di cancellare e rimescolare la realtà nella propria testa. Tutto sommato, potrebbe essere semplicemente il desiderio di riconciliarsi con la parte più atavica del nostro io di natura, dove la felicità non è l’essere continuamente in movimento, ma nel saper assaporare le piccole attese.

Durante le quali, ad esempio, si può passare il tempo vezzeggiando il proprio gatto. (matteo tonnicchi)

3 commenti:

  1. E' una bravissima e gustosa smemorata; complimenti vivissimi.

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  2. In questo piacevolissimo racconto,la protagonista compie un processo quasi freudiano:non riconduce alla memoria eventi che le procurano stress..Ecco, in cio' rivedo la frenetica compulsivita' degli uomini e donne contemporanei..Sempre alla ricerca di qualcosa..Perdendo di vista..Il se' piu' vero...

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  3. In effetti, trovo l'ipotesi di lettura di Valentina Tortora assai attinente allo svolgimento del racconto, dove suppongo venga illustrata, dal punto di vista letterario, una sorta di tentativo di rimozione (la freudiana Verdrängung).

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