giovedì 25 gennaio 2018

Donato NUZZACI - Ferro, Fuoco e Fantasia (racconto breve)




Littorina, impiegata presso le Ferrovie Sud-Est, tra voglia di evasione dalla monotonia e gratitudine per aver vissuto una vita speciale.

Volevo confondermi tutt’uno con l’immenso spazio naturale. Per rinfrescare il corpo e l’anima. Far entrare i miei piedi a contatto con la terra fresca, piena di erbetta, licheni, ornata di pietre e pietruzze, popolata di rovi e animaletti. Lo volevo, lo desideravo.
Qui, disperso nella campagna tra Spongano e Castiglione d’Otranto, posata la bicicletta su un muretto, il mio sguardo si era precipitato a puntare due strisce parallele, rettilinee e infinite: i binari delle ferrovie Sud-Est.

Colava il mio naso, d’un tratto. Per l'emozione forse, oppure per il fastidio di sentire quell'odore pungente proveniente dalle traversine e da quei ferri vincolati al terreno misto breccia: ruggine, petrolio, resine, nafta, catrame..........

……Tuhthunt tuhthunt…...Sciuff….sciuff…….Tuhthunt tuhthunt.........

C’è qualcosa di strano intorno a me... Il binario vibra sempre più. È un continuo ticchettio, frenetico, a tratti fastidioso. Un dondolio incalzante. Sarà la spinta del treno, penso tra me. Mi assalgono mille dubbi e mi accorgo che però non si tratta di piccole oscillazioni.
Adagiato sul muretto comincio a sentire un fischio continuo, assordante. Eccola! Arriva… arriva… Vedo Littorina… oggi è in forma smagliante. Ma cosa sta succedendo? Viaggerà sicuramente sui 100 km/all’ora. Velocità assurda. Non consentita per ora su quei binari con le traversine in legno... tutte traballanti…
Mi passa accanto. Mi sfiora quasi. E succede l’incredibile: si accorge di me seduto sulle pietre e, con una frenata al limite, si blocca letteralmente. Mi fissa, ansimando.

Non ci potevo credere. Con gli occhi fuori dalle orbite dei fanali, Littorina si ferma. Grida. E si smuove tutta. Con voce affaticata, supplica: «Aiuto! Aiuto! Ehi tu, aiutami, ti prego!».
Oh..… cara, ciao! Ma che succede?, chiedo con espressione stupita, mentre noto che nella carrozza non c’è un solo passeggero, nemmeno uno.
«Vogliono portarmi via da qui!», esclama Littorina con voce squillante, «non vedi? Rifanno le traversine, ristrutturano i passaggi a livello, potenziano l’elettronica, riducono i casellanti. Il tutto per cosa? Per far viaggiare le persone più velocemente con treni di ultima generazione, e far risparmiare loro una manciata di minuti. Aiutooooo! Salvami, salvami ti prego!! Portami a mare, fa qualcosa per me…».
Ma insomma, Littorina! Tutto questo baccano. Non sai che la tecnologia ha bisogno di ammodernarsi in continuazione? È lo “sviluppo”, bellezza. È la “crescita”.
«Senti, io voglio andare via da qui. Lo vuoi capire? Non voglio essere smembrata in mille pezzi oppure addirittura trasferita in un qualche paese del Terzo mondo…, magari col caldo torrido in groppa tutto l’anno!». Littorina non scherza e finisce la sua supplica in un bagno struggente di lacrime.

Da una campagna vicina sento rumore di passi sul terreno inzuppato d’acqua piovana. I click di una macchina fotografica. Faccio dieci metri e scorgo lui. Il mio amico Agostino.
«Pazzo! Ti ho sentito questionare, ma con chi parli?», mi domanda socchiudendo gli occhi. Guarda, Littorina piange, dice che la polizia ferroviaria verrà a prelevarla tra non molto per un destino che non si sa. «Ho paura che sia un altro dei tuoi sogni», sentenzia.
«Buon uomo …ciao!» balbetta Littorina dal binario. «Fate qualcosa per me, ho pochi minuti a disposizione per parlarvi, fra non molto passerà un altro mio collega da qui».
A dir poco elettrizzato dalla sorpresa di poter parlare per la prima volta nella sua vita con una macchina, Agostino si ravvede: «Mia cara», dice rivolgendosi al treno, «dovresti sapere che tutto cambia. Essere legati al passato è come trovarsi col culo per terra dentro una cella che impedisce il contatto diretto con la vita. Crogiolarsi poi nelle proprie abitudini, nella propria autocommiserazione, nei propri presenti dolori, nel ricordo dei bei tempi passati, nell’inerzia, nella rassegnazione, nella vana tranquillità dei giorni che scorrono sempre uguali, non è mai un bell’esercizio. Ma ti salveremo vedrai», continua col dirle con un pizzico di ironia. «Abbiamo salvato perfino la Parmalat, vuoi che non salviamo proprio te?». E rincara: «Vedi bella, il tempo non si perde e non si trova… Quando avrai capito che… il tempo non passa, sei tu che passi… avrai capito cos’è il tempo e vivrai meglio il tempo che ti resta».
Littorina si china quasi a toccare la terra con il mento ferroso. Sembra travolta da ondate di disperazione, stremata. Davanti a sé, nella fantasia, scorrono immagini di un tempo ormai lontano, quando bambini, anziani, studenti e lavoratori salivano sul suo groppone, alcuni festanti altri un po’ meno, per raggiungere l’altro capo della Provincia o della Regione.
Decido di azzardare una proposta: «Ho un piano per provare una fuga disperata. Ma tu, Littorina, dovrai esaudire un nostro desiderio».
«Va bene, va bene, dimmi. Fai veloce che ho pochi altri istanti…».
«Domenica prossima, approfitteremo del fatto che i treni della Sud-Est sono fermi. Io e Agostino ti aspetteremo qui su questo stesso punto. Saliremo nel tuo scompartimento e ci porterai in viaggio tra le province di Lecce, Taranto e Brindisi dove respireremo aria di messapia, profumi seducenti e godremo di paesaggi affascinanti. Sarai, a quel punto, per una volta considerata il treno sul quale viaggia la Felicità.
«Perfetto, per me va benone», dice Agostino. «Sì, ma poi cosa succederà?», chiede Littorina con una certa ansia. «Io voglio scappare via da qui, nascondermi in qualche modo per salvare almeno la dignità: non mi va di restare ancora per molto su queste linee parallele e sentirmi confusamente precaria, surclassata, raggirata dalle giovani e avvenenti carrozze tutto smalto e velocità».
«Vedrai…».

Domenica 3 marzo 2013, ore 8.30 del mattino. Littorina arriva con gran fretta nel punto concordato e frena d’impeto. «Siete pazzi! La gente mi guarda attonita. Tutti i passaggi a livello oggi sono aperti, ogni volta devo stare attenta e andare a passo d’uomo. È vietato procedere di domenica. Qualcuno avrà chiamato la polizia. E nel giro di poco, verranno qui! Salite!».
Ci fiondiamo nel cuore della Littorina. Il viaggio prende avvio. I motori, già caldi, quasi esplodono. Sembra di stare su un aereo in partenza. Trema tutto, dalle sedie ai finestrini.
Castiglione, Tricase e poi via via verso Gagliano. Il treno è tutto nostro. Nessun controllore. Nessun passeggero. Il paesaggio è multiforme. Arriviamo a Casarano, poi Gallipoli. E ancora Nardò, Novoli, Francavilla Fontana, Martina Franca, Taranto. Da qui torniamo a Lecce. E poi Zollino, il tempo di un buon caffè al bar della stazione e quindi di nuovo torniamo a Spongano. Pioggia, poi sole, ancora pioggia.
«Ragazzi, piaciuto eh?», sorride Littorina. «Meraviglioso!», esclama Agostino: «Sei stata incredibile, insuperabile, sublime». «E ora», le dico, «ti porteremo al mare, per il primo bagno della stagione. Dovrai soltanto cercare di lasciare i binari e inserirti in quella stradina asfaltata laggiù in fondo. Ti aspetteremo lì».
Littorina si prepara al grande salto: svincolarsi dai binari e fuggire verso nuovi orizzonti, dove più congeniale sarà la sua dimensione. Oscilla avanti e indietro. È piuttosto emozionata. Prende la rincorsa e, mentre sta per compiere una rocambolesca manovra…. succede qualcosa di inaspettato. Boom!!!


Donato Nuzzaci è nato nel 1983 e vive nel Salento (Puglia). Laureato, giornalista, scrive su testate giornalistiche e altre riviste letterarie e di scrittura creativa. Collabora con il “Nuovo Quotidiano di Puglia” dal 2004 e realizza anche attività di ufficio stampa. È autore del libro Salento. Bagliori di Stelle (2014, Giorgiani Editore).




Il rapporto uomo-macchina è divenuto ormai un argomento ineludibile in qualsiasi dibattito sul progresso. Difatti, la civiltà è stata testimone di tre Rivoluzioni Industriali dove la macchina è sempre stata assoluta protagonista e ha profondamente mutato la condizione dell’uomo; in particolare, la macchina concretizzata in sistemi di trasporto sempre più veloci, come il treno.

Possiamo immaginare l’entusiasmo, nello stendere l’ultima di quelle traversine di legno della linea sulla quale avrebbe operato la Littorina pugliese. Possiamo immaginare i sogni di avvenire, all’inaugurazione di quell'automotrice per le masse. Difficilmente qualcuno poteva immaginare che quella macchina, fatta di ferro e modellata dal fuoco, si sarebbe a tal punto fusa nella coralità del paesaggio di fondo alle vite umane in quel tratto di Puglia, da spingere uno scrittore a crearvi sopra un personaggio di fantasia.

Nel momento in cui si scrivono queste righe assistiamo al fiorire dell’intelligenza artificiale, che sta di fatto aprendo le porte alla quarta Rivoluzione Industriale.
Non solo la Littorina è tramontata, sostituita da treni più veloci: forse presto non ci sarà più bisogno di alcun treno, con il diffondersi del telelavoro e la capillarizzazione dell’automazione del lavoro. 
Non vogliamo immaginare quale futuro ci aspetti. Possiamo tuttavia dire con certezza che le macchine che verranno, guidate da prevedibilissimi impulsi elettrici, efficientissime e prive di quelle emozioni che potrebbero alterarne l’ottimo rendimento, seppure arriveranno un giorno a passare i loro sensori sullo stesso suolo fatto di terra fresca qui descritto, seppure saranno in grado di memorizzare ogni filo di erbetta, ogni lichene, ogni pietra e pietruzza, ogni rovo e animaletto, non saranno mai in grado di guardare con lo stesso affetto e nostalgia al passato dell’entroterra tra Spongano e Castiglione d’Otranto come ha fatto Donato Nuzzaci in questo racconto.

Solo in un racconto come questo una macchina, non importa se estremamente sofisticata o se una semplice e popolare Littorina; solo in un racconto come questo una macchina, sfuggendo dai vincoli dei suoi binari, potrà condividere la nostra dimensione umana.(matteo tonnicchi)

6 commenti:

  1. Racconto avvincente, sembra quasi di viverlo

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    1. In effetti, Umberto, sembra proprio di trovarsi là senza sapere...

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    2. Complimenti..Conosco la bellezza di quei luoghi..Trovo che il dialogo tra l' uomo e la macchina sia..Veramente geniale: la dimensione umana del viaggiare,dello stare insieme,del vivere... immersi nella natura..E'quanto di piu' reale e vero..Ci resta. La natura e l' uomo..Vivono in simbiosi..E le macchine devono essere fatte..Per l' uomo...

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  2. Complimenti, ho visto in questo racconto alcuni paesaggi che ho avuto modo di vedere qualche mese fa! Grazie

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    1. Grazie a te, Elvio, da parte nostra per aver condiviso, in questo racconto, la tua esperienza con noi.

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  3. Però, interessante il processo di personalizzazione, una figura che piace sempre tanto. Una favola moderna che conquista.

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