Qualcuno di voi ricorderà il terrore suscitato nel
leggere le note bibliografiche a un testo: in particolare, volendo
reperire da quale parte dell'universo semantico provenisse il
complesso di segni e segnali appena letti, trovare a piè di pagina
(o peggio, alla fine di lunghi capitoli) il termine passim.
Secondo le norme editoriali
comunemente accettate, con tale espressione si intende che il tema
trattato può trovarsi “ovunque”, “in varie parti”, “qua e
là” all'interno del titolo studiato.
Passim, ovvero “in ogni dove”, appariva
all'autore saggista o al curatore la soluzione migliore per far
comprendere ai destinatari come l’argomento differenziato fosse
insomma rintracciabile in vari passi e intervalli del testo
complessivo, e non in un suo luogo specifico (pagina, paragrafo,
capitolo). Il lavoro da svolgere per arrivare a trovare il libro o il
saggio oggetto della citazione, in realtà non coincideva con trama e
intreccio di una detection: era invece necessario ricorrere
alla pazienza, sforzo all’epoca ritenuto oneroso ed evitabile.
Perché non aiutare il lettore e ripetere direttamente,
mi chiedevo infatti, i dati della citazione? Anche qui, la risposta
era solo la giovane età a nasconderla: quel passim voleva
significare che quanto cercavo non era letteralmente coincidente con
un messaggio già percepito, ma spaziava di continuo da una riga
all’altra, da un capoverso all’altro.
È appunto un simile “qua e là”, un tale spazio di
pertinenza o nesso referenziale, che - ormai matura e addestrata alle
note bibliografiche - scelgo a sigla della nuova rubrica, oggi
inaugurata con un commento alla poetica di Maria Grazia Procino, così
come si colloca appunto nel mio giudizio critico complessivo.
Seguirete così, nelle prossime settimane, alcune
considerazioni sviluppate intorno ad autori, opere e manifestazioni
che sono stati capaci di suscitare un’attenzione particolare. A
volte incontrerete nomi (magari voi stessi) da me già commentati e
presentati con prefazioni e introduzioni: qui, ovviamente, còlti da
un punto di vista differente. Può darsi, altrimenti, vengano
affrontate tematiche del tutto inedite. Infine conto, tempo
permettendo, di tenere aggiornato un calendario di incontri d’arte
ai quali spesso partecipo.
Come in altre parti del blog, spero di poter ricevere
vostri contributi, anche saltuari, con ragioni e input autonomi, sia
nel segnalare sia nel commentare.
L'appuntamento è quindi con la rubrica “Il «passim»
della poesia”, su questo blog. Mario Fubini ed Emilio Bigi,
curatori dei canti leopardiani, avrebbero detto: ibidem.
Soffi di nuvole: l'anima ellenica
di Grazia Procino
di
Cinzia Baldazzi
Nell’antologia
Soffi di nuvole di
Grazia Procino - «svelamento di un’anima “ellenica”,
nell’efficace e vigoroso tentativo poetico di ricreare un Eden
culturale in cui la democrazia, il teatro e la poesia siano le
colonne portanti di una civiltà modello», ha giustamente dichiarato
Vincenza Fava nell’introduzione - la lotta per la ricerca di una
verità ponderata, in chiave semantica attualissima, risulta appunto
nel ripercorrere i “giorni” del Novecento, forse il più
turbolento secolo della storia della razza umana. Smascheramenti
continui e drammatici sull’orlo della morte, nelle tragedie, nei
sacrifici cultuali, o negli omicidi, causati dal cammino e dal
travaglio sociale, strutturale e bellico di questi decenni: appaiono
fragilissime le basi di fiducia da riporre nel futuro, durante lunghe
“notti” di affanno, lutti e stermini.
In
un’atmosfera analoga, in Anche oggi, la
Grecia, in un itinerario utopico e
strumentale, la Procino scrive:
Per
procurarci linfa per il domani
occorre
riandare alle spiagge assolate di una Grecia inondata
dal
sole brillante del mito
Anche
oggi.
Certo,
lo leggiamo in Apocalisse,
Il
cielo cade giù,
smarriti
ci incamminiamo
per
sentieri stretti, mano nella mano
tutt’intorno
buio,
le
stelle infrante sulla terra
non
c’è luce a orientarci.
E
tutto ciò, sebbene l’umanità abbia mostrato di aver con coraggio
mantenuto degno di fede il disegno di fondare uno status di difesa
della facoltà dell’esistere, in grado di appagarne i desideri
giudicati prevalenti. Magari, in maniera che corpo e anima contassero
il meno possibile: come dire, “vuoti a perdere”. In un simile
processo astrattivo e di rarefazione della materia vitale, la sintesi
di vocabolo e contenuto della Procino mette in campo, in un
linguaggio polisemico ricco di livelli e pertinenze, con tropi –
metafore e metonimie – studiati e fecondi, una strenua e meditata
testimonianza logico-intuitiva e formale dei sentimenti, delle
ideologie principali: mai l'autrice rinuncia a modificare la spirale
perversa, pubblica e individuale, intima e sociale, allargandola
invece oltre l’arco di sé, in una consistenza altamente stilizzata
di “scudo” da utilizzare a ridosso di qualsiasi senso di angoscia
immerso in una cieca «oscurità», per volere del fato iniquo.
Dunque,
le proposte alternative di tale poetica libera, edificata su premesse
etiche e costruttive, hanno viaggiato e viaggiano su un piano
“giornaliero”. Innanzitutto “dissetandosi” alla solarità,
come in Apulia:
Scrostati
dal tempo ladro di vite
i
muri apuli parlano di storie appassite,
i
popoli peregrini, di genti in lotta
per
luoghi assediati di sole.
Quindi,
nel “nutrimento” di un'espansione intellettuale, nel sentire un
πάϑος (pathos)
indirizzato allo splendore dell’oggi e e del domani.
Marco
Aurelio, già nel 100 d.C., nei Pensieri
spiegava:
Per
quanto si diffonda dall'alto, come a noi sembra, e si espanda
dovunque, la luce del sole non si disperde. Il suo espandersi stesso,
infatti, è un estendersi, tanto è vero che i suoi raggi sono così
chiamati perché si irradiano. Cosa poi sia un raggio puoi vederlo
osservando la luce del sole che penetra in una camera buia attraverso
una fessura: si estende in linea retta. Ebbene, allo stesso modo deve
scorrere ed espandersi la luce dell’intelletto, cioè il pensiero,
distendendosi ma senza disperdersi, e quando incontra un ostacolo non
deve urtarlo con violenza sfrenata, e neppure cadere, ma deve
fermarsi e illuminare l’oggetto che la riceve, il quale, se non la
riflette, resta privo di luce.
La
produzione della nostra poetessa è di conseguenza inseribile, nella
civiltà occidentale, sin da epoche lontane, in un intreccio saldo e
documentato: nello specifico, nel vasto profilo di una poeticità con
brani arricchiti della virtù di rimuovere inutili aspettative. Nei
versi-omaggio a Dino Buzzati, in Polvere,
il monito è:
E
ti aspetta il calare
malinconico
delle ombre
a
sera, ogni sera
mentre
osservi da un punto imprecisato dell’orizzonte
anche
tu l’arrivo dei Tartari.
Trapela
aldilà dell’arbitrio di ognuno, nelle pause di questa sorta
raffinata di metalinguaggio (nella sfumatura greca di λόγος
(logos): oscillante
tra discorso e ragione), un fluire riflettente,
ancestrale, al contempo fisico e soggetto a convalida: idoneo a
guadagnare premura e accortezza, nei conflitti tra la mente e
l’anima, mediati e decisi a conquistare mète non banali e a
combattere per le illusioni. Ciò non coincide, però, come potrebbe
apparire, con un meccanismo assodato o autosufficiente nell’ambito
di una matrice elementare, di sopravvivenza e trionfo della
giustizia, acquisito una volta per sempre.
Al
proposito, l’esoterista e pedagogo bulgaro Omraam Mikhaël
Aïvanhov, alla fine degli anni ’30, in un’area di prospettiva
correlata riteneva opportuno il quesito:
Perché,
nel considerare la luce solare, non ci si basa sulla medesima logica
che si usa nei confronti del cibo? Per il nutrimento, si dice: «È
vero, ieri ho mangiato, ma quel pasto non conta più, per cui oggi
devo mangiare di nuovo». Così è anche per la luce del sole: tutti
i giorni ne dovete prendere, per non farvi mai mancare la giusta dose
di quel nutrimento particolare.
Concordo
con Grazia Procino: un simile tipo di nutrirsi
è inconsueto, al punto da permettere alle sensazioni contrastanti
della silloge, tra i distinti e molteplici riflessi e barlumi (pronti
a rischiarare la struttura imperante osteggiata), di catalizzare un
alludere nitido ed emotivo, linguistico e poetico, coinvolgente e
alternativo: a forma, chissà, del ritmo di una carezza persuasiva
tra le parole in progressione, insinuata con modalità lievi e
delicate a tenere allerta il nucleo profondo dell’interiorità.
Cosa
accade, in sostanza? Se la sensibilità ellenica - evocata nel ruolo
di modello propulsore - riesce a snebbiare la coscienza da
controsensi deleteri, nondimeno, per magia, rimane irrequieta a
soddisfarsi. E, per ipotesi, il fine del desiderio, o concetto, si
determina praticabile, ma non da raggiungersi all’istante.
Scaturisce
qua e là, inattesa, una preziosa attitudine comunque assai feconda,
preparata a non temere la condanna a patire, o a partecipare al
dolore altrui, ancora arcano e ignoto, accusando esso stesso la
sofferenza dell’uomo collettivo, portatore ed emblema della zona
psichica inconscia dell'umanità. Nasce dunque, tra le strofe di
Soffi di nuvole,
l’ideologia del bagliore di una realtà ordinaria, “quotidiana”,
chiarificatrice del vago e dello smisurato, aiutata dal potere
dell’Amore spesso remoto, veicolo e scopo principale di
informazioni adeguate a rendere vibranti i versi.
In
Volontà d’amore
leggiamo:
Volontà
d’amore
è
cambiare la vita
che
non gli piace,
non
lo soddisfa più
La
conclusione dialettica, capace di trovare spazio a qualsiasi risposta
degna di fiducia, è:
Prescrizioni
d’amore
non
so notificarti
se
non incerti gesti,
sparuti
segni di desiderio.
D’altro
canto, tuttavia, emergono ovunque e persistenti, in ogni dove tra le
pagine dell’antologia, energia e passione nel confutare la sorte
dei messaggi di restare sinora inascoltati: la Procino mostra, al
contrario, una facoltà di rinnovarsi all’altezza di lasciare
intravedere sviluppi in progress non trascurabili, nel criterio di
una nuova profondità metafisica e di pertinenza operativa del mondo
vissuto.
Grazia
Procino
Soffi
di nuvole
prefazione di Vincenza Fava
edizioni
Scatole parlanti, 2017, pp. 98
Grazia Procino è pugliese della terra di Bari, precisamente di Gioia del Colle. Laureata in Lettere classiche, insegna nel Liceo Classico di Gioia del Colle, che ha frequentato da studentessa. Appassionata di lettura da sempre, recensisce libri di narrativa italiana e cura una rubrica di letteratura classica dal titolo “Allois ophtalmois” sul blog letterario “Diario di pensieri persi”. Nel febbraio del 2016 sono stati pubblicati tre suoi haiku nel volume Haiku tra meridiani e paralleli III stagione edito da Fusibilialibri. Soffi di nuvole è stata la sua prima raccolta di poesie, edita da Scatole parlanti (marzo 2017).
Grazia Procino è pugliese della terra di Bari, precisamente di Gioia del Colle. Laureata in Lettere classiche, insegna nel Liceo Classico di Gioia del Colle, che ha frequentato da studentessa. Appassionata di lettura da sempre, recensisce libri di narrativa italiana e cura una rubrica di letteratura classica dal titolo “Allois ophtalmois” sul blog letterario “Diario di pensieri persi”. Nel febbraio del 2016 sono stati pubblicati tre suoi haiku nel volume Haiku tra meridiani e paralleli III stagione edito da Fusibilialibri. Soffi di nuvole è stata la sua prima raccolta di poesie, edita da Scatole parlanti (marzo 2017).
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