domenica 4 febbraio 2018


“Il «passim» della poesia” di Cinzia BALDAZZI - L'anima ellenica di Grazia Procino


Qualcuno di voi ricorderà il terrore suscitato nel leggere le note bibliografiche a un testo: in particolare, volendo reperire da quale parte dell'universo semantico provenisse il complesso di segni e segnali appena letti, trovare a piè di pagina (o peggio, alla fine di lunghi capitoli) il termine passim. Secondo le norme editoriali comunemente accettate, con tale espressione si intende che il tema trattato può trovarsi “ovunque”, “in varie parti”, “qua e là” all'interno del titolo studiato.
Passim, ovvero “in ogni dove”, appariva all'autore saggista o al curatore la soluzione migliore per far comprendere ai destinatari come l’argomento differenziato fosse insomma rintracciabile in vari passi e intervalli del testo complessivo, e non in un suo luogo specifico (pagina, paragrafo, capitolo). Il lavoro da svolgere per arrivare a trovare il libro o il saggio oggetto della citazione, in realtà non coincideva con trama e intreccio di una detection: era invece necessario ricorrere alla pazienza, sforzo all’epoca ritenuto oneroso ed evitabile.
Perché non aiutare il lettore e ripetere direttamente, mi chiedevo infatti, i dati della citazione? Anche qui, la risposta era solo la giovane età a nasconderla: quel passim voleva significare che quanto cercavo non era letteralmente coincidente con un messaggio già percepito, ma spaziava di continuo da una riga all’altra, da un capoverso all’altro.
È appunto un simile “qua e là”, un tale spazio di pertinenza o nesso referenziale, che - ormai matura e addestrata alle note bibliografiche - scelgo a sigla della nuova rubrica, oggi inaugurata con un commento alla poetica di Maria Grazia Procino, così come si colloca appunto nel mio giudizio critico complessivo.
Seguirete così, nelle prossime settimane, alcune considerazioni sviluppate intorno ad autori, opere e manifestazioni che sono stati capaci di suscitare un’attenzione particolare. A volte incontrerete nomi (magari voi stessi) da me già commentati e presentati con prefazioni e introduzioni: qui, ovviamente, còlti da un punto di vista differente. Può darsi, altrimenti, vengano affrontate tematiche del tutto inedite. Infine conto, tempo permettendo, di tenere aggiornato un calendario di incontri d’arte ai quali spesso partecipo.
Come in altre parti del blog, spero di poter ricevere vostri contributi, anche saltuari, con ragioni e input autonomi, sia nel segnalare sia nel commentare.
L'appuntamento è quindi con la rubrica “Il «passim» della poesia”, su questo blog. Mario Fubini ed Emilio Bigi, curatori dei canti leopardiani, avrebbero detto: ibidem.


Soffi di nuvole: l'anima ellenica di Grazia Procino

di Cinzia Baldazzi

Nell’antologia Soffi di nuvole di Grazia Procino - «svelamento di un’anima “ellenica”, nell’efficace e vigoroso tentativo poetico di ricreare un Eden culturale in cui la democrazia, il teatro e la poesia siano le colonne portanti di una civiltà modello», ha giustamente dichiarato Vincenza Fava nell’introduzione - la lotta per la ricerca di una verità ponderata, in chiave semantica attualissima, risulta appunto nel ripercorrere i “giorni” del Novecento, forse il più turbolento secolo della storia della razza umana. Smascheramenti continui e drammatici sull’orlo della morte, nelle tragedie, nei sacrifici cultuali, o negli omicidi, causati dal cammino e dal travaglio sociale, strutturale e bellico di questi decenni: appaiono fragilissime le basi di fiducia da riporre nel futuro, durante lunghe “notti” di affanno, lutti e stermini.
In un’atmosfera analoga, in Anche oggi, la Grecia, in un itinerario utopico e strumentale, la Procino scrive:

Per procurarci linfa per il domani
occorre riandare alle spiagge assolate di una Grecia inondata
dal sole brillante del mito
Anche oggi.

Certo, lo leggiamo in Apocalisse,

Il cielo cade giù,
smarriti ci incamminiamo
per sentieri stretti, mano nella mano
tutt’intorno buio,
le stelle infrante sulla terra
non c’è luce a orientarci.

E tutto ciò, sebbene l’umanità abbia mostrato di aver con coraggio mantenuto degno di fede il disegno di fondare uno status di difesa della facoltà dell’esistere, in grado di appagarne i desideri giudicati prevalenti. Magari, in maniera che corpo e anima contassero il meno possibile: come dire, “vuoti a perdere”. In un simile processo astrattivo e di rarefazione della materia vitale, la sintesi di vocabolo e contenuto della Procino mette in campo, in un linguaggio polisemico ricco di livelli e pertinenze, con tropi – metafore e metonimie – studiati e fecondi, una strenua e meditata testimonianza logico-intuitiva e formale dei sentimenti, delle ideologie principali: mai l'autrice rinuncia a modificare la spirale perversa, pubblica e individuale, intima e sociale, allargandola invece oltre l’arco di sé, in una consistenza altamente stilizzata di “scudo” da utilizzare a ridosso di qualsiasi senso di angoscia immerso in una cieca «oscurità», per volere del fato iniquo.
Dunque, le proposte alternative di tale poetica libera, edificata su premesse etiche e costruttive, hanno viaggiato e viaggiano su un piano “giornaliero”. Innanzitutto “dissetandosi” alla solarità, come in Apulia:

Scrostati dal tempo ladro di vite
i muri apuli parlano di storie appassite,
i popoli peregrini, di genti in lotta
per luoghi assediati di sole.


Quindi, nel “nutrimento” di un'espansione intellettuale, nel sentire un πάϑος (pathos) indirizzato allo splendore dell’oggi e e del domani.


Marco Aurelio, già nel 100 d.C., nei Pensieri spiegava:

Per quanto si diffonda dall'alto, come a noi sembra, e si espanda dovunque, la luce del sole non si disperde. Il suo espandersi stesso, infatti, è un estendersi, tanto è vero che i suoi raggi sono così chiamati perché si irradiano. Cosa poi sia un raggio puoi vederlo osservando la luce del sole che penetra in una camera buia attraverso una fessura: si estende in linea retta. Ebbene, allo stesso modo deve scorrere ed espandersi la luce dell’intelletto, cioè il pensiero, distendendosi ma senza disperdersi, e quando incontra un ostacolo non deve urtarlo con violenza sfrenata, e neppure cadere, ma deve fermarsi e illuminare l’oggetto che la riceve, il quale, se non la riflette, resta privo di luce.

La produzione della nostra poetessa è di conseguenza inseribile, nella civiltà occidentale, sin da epoche lontane, in un intreccio saldo e documentato: nello specifico, nel vasto profilo di una poeticità con brani arricchiti della virtù di rimuovere inutili aspettative. Nei versi-omaggio a Dino Buzzati, in Polvere, il monito è:

E ti aspetta il calare
malinconico delle ombre
a sera, ogni sera
mentre osservi da un punto imprecisato dell’orizzonte
anche tu l’arrivo dei Tartari.

Trapela aldilà dell’arbitrio di ognuno, nelle pause di questa sorta raffinata di metalinguaggio (nella sfumatura greca di λόγος (logos): oscillante tra discorso e ragione), un fluire riflettente, ancestrale, al contempo fisico e soggetto a convalida: idoneo a guadagnare premura e accortezza, nei conflitti tra la mente e l’anima, mediati e decisi a conquistare mète non banali e a combattere per le illusioni. Ciò non coincide, però, come potrebbe apparire, con un meccanismo assodato o autosufficiente nell’ambito di una matrice elementare, di sopravvivenza e trionfo della giustizia, acquisito una volta per sempre.
Al proposito, l’esoterista e pedagogo bulgaro Omraam Mikhaël Aïvanhov, alla fine degli anni ’30, in un’area di prospettiva correlata riteneva opportuno il quesito:

Perché, nel considerare la luce solare, non ci si basa sulla medesima logica che si usa nei confronti del cibo? Per il nutrimento, si dice: «È vero, ieri ho mangiato, ma quel pasto non conta più, per cui oggi devo mangiare di nuovo». Così è anche per la luce del sole: tutti i giorni ne dovete prendere, per non farvi mai mancare la giusta dose di quel nutrimento particolare.


Concordo con Grazia Procino: un simile tipo di nutrirsi è inconsueto, al punto da permettere alle sensazioni contrastanti della silloge, tra i distinti e molteplici riflessi e barlumi (pronti a rischiarare la struttura imperante osteggiata), di catalizzare un alludere nitido ed emotivo, linguistico e poetico, coinvolgente e alternativo: a forma, chissà, del ritmo di una carezza persuasiva tra le parole in progressione, insinuata con modalità lievi e delicate a tenere allerta il nucleo profondo dell’interiorità.
Cosa accade, in sostanza? Se la sensibilità ellenica - evocata nel ruolo di modello propulsore - riesce a snebbiare la coscienza da controsensi deleteri, nondimeno, per magia, rimane irrequieta a soddisfarsi. E, per ipotesi, il fine del desiderio, o concetto, si determina praticabile, ma non da raggiungersi all’istante.
Scaturisce qua e là, inattesa, una preziosa attitudine comunque assai feconda, preparata a non temere la condanna a patire, o a partecipare al dolore altrui, ancora arcano e ignoto, accusando esso stesso la sofferenza dell’uomo collettivo, portatore ed emblema della zona psichica inconscia dell'umanità. Nasce dunque, tra le strofe di Soffi di nuvole, l’ideologia del bagliore di una realtà ordinaria, “quotidiana”, chiarificatrice del vago e dello smisurato, aiutata dal potere dell’Amore spesso remoto, veicolo e scopo principale di informazioni adeguate a rendere vibranti i versi.
In Volontà d’amore leggiamo:

Volontà d’amore
è cambiare la vita
che non gli piace,
non lo soddisfa più

La conclusione dialettica, capace di trovare spazio a qualsiasi risposta degna di fiducia, è:

Prescrizioni d’amore
non so notificarti
se non incerti gesti,
sparuti segni di desiderio.

D’altro canto, tuttavia, emergono ovunque e persistenti, in ogni dove tra le pagine dell’antologia, energia e passione nel confutare la sorte dei messaggi di restare sinora inascoltati: la Procino mostra, al contrario, una facoltà di rinnovarsi all’altezza di lasciare intravedere sviluppi in progress non trascurabili, nel criterio di una nuova profondità metafisica e di pertinenza operativa del mondo vissuto.


Grazia Procino
Soffi di nuvole
prefazione di Vincenza Fava
edizioni Scatole parlanti, 2017, pp. 98


Grazia Procino è pugliese della terra di Bari, precisamente di Gioia del Colle. Laureata in Lettere classiche, insegna nel Liceo Classico di Gioia del Colle, che ha frequentato da studentessa. Appassionata di lettura da sempre, recensisce libri di narrativa italiana e cura una rubrica di letteratura classica dal titolo “Allois ophtalmois” sul blog letterario “Diario di pensieri persi”. Nel febbraio del 2016 sono stati pubblicati tre suoi haiku nel volume Haiku tra meridiani e paralleli III stagione edito da Fusibilialibri. Soffi di nuvole è stata la sua prima raccolta di poesie, edita da Scatole parlanti (marzo 2017).

 








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